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L'Italia s'è desta?

Creato il 19 marzo 2013 da Rightrugby
L'Italia s'è desta? (Warning: post da "bastian contrario". Del resto qualcuno lo deve pur fare, prima che anneghiamo tutti, sommersi dalla melassa).
Ho negli occhi l'immagine felliniana: Vittorio Gasmann in uno dei (bei) film anni Settanta, occhi strabici barba incolta e canottiera unta da borgataro, che zompa da un balcone con la bandiera italiana in mano ululando in deliquo: "'Amo vintoooo!", e giù sonoro pernacchio con allegato gesto dell'ombrello. Quell'immagine "sudamericana", un cliché italico insopportabile da denuncia anti defamation, viene purtroppo confermato ancora una volta in queste lande dove invece di approfondire gli aspetti tecnici organizzativi e psicologici delle vittorie, si trova più comodoso campare soffiando sulle esaltazioni - e sul loro inevitabile contrappasso, le cacce alle streghe (ricordate la fine di Mallett?).
Non vorrei dar l'impressione di negare la giustificata gioia per le ultime prestazioni Azzurre, né generalizzare. Nel fare però un tour delle opinioni post Sei Nazioni Azzurro, cadono le braccia: Brunel santo subito, sue battute motivazionali tipo "nel giro di due anni possiamo vincere il Sei Nazioni", scambiate per obiettivi operativi; addirittura si trova chi più o meno affermi serio, prossima tappa spezzar le reni al Sudafrica in giugno!
Servirebbe un piccolo, modestissimo bagno di analisi razionale, al fine di risparmiarci yo yo emozionali ancora freschi, tipo quelli che "con la Francia l'altra volta era un exploit, stavolta no". Basterebbe sollevar lo sguardo proprio al Sei Nazioni 2013 nel complesso, per avere conferma che ogni partita fa storia a sé, che tutto è relativo: s'è già dimenticato il percorso degli Azzurri? Si guardi allora alla Francia, che dopo un Novembre capolavoro si ritrova a stringere il Cucchiaio di Legno; simile è il destino dell'Irlanda dopo un primo successo fuori casa; e che dire dell'Inghilterra, rimessa dal Galles - col contributo Azzurro - dov'era nel novembre pre-All Blacks? Tanto da far dire a Sir Clive Woodward in versione padrone-del-terrazzo, "ci han visto il bluff".
Quel che è successo agli Azzurri nel torneo sono due buone vittorie e tre sconfitte, di cui due pesanti. Abbiamo eguagliato il risultato migliore, quello del 2007 in cui in più ne vincemmo una fuori casa.
Le vittorie, e ci mettiamo anche la sconfitta "onorevole" con l'Inghilterra, son arrivate da prove di carattere, fondate su ottime performance difensive. Nel primo caso con la Francia abbiamo azzeccato ottimamente dei ribaltamenti di fronte; poi abbiamo impostato un secondo tempo in avanzamento con l'Inghilterra  dopo aver risolto le difficoltà in mischia con una sostituzione; abbiamo infine con l'Irlanda il cruciale avanzamento basato su una netta superiorità in rimessa laterale. Una serie di progressi che far gridare qualcuno al recupero del Sacro Graal della continuità, ma due rondini in fila non fanno primavera, anche perché in mezzo c'è stato purtroppo dell'altro.
Le due sconfitte "brutte" son arrivate dalla combinazione di mala gestione in campo (la mediana e la terza linea, messa inopinatamente sotto da quella scozzese) e per via di un game plan semplicemente sbagliato in ambedue i casi - se è ancora lecito criticare Brunel. La fiammella positiva c'è ma è flebile, occorre alimentarla con attenzione, non agitarla festosi come se adesso non si tornasse più indietro. Oltretutto, dimentichiamoci d'ora in poi la possibilità di colpi a sorpresa su avversari che ci sottovalutino (come la Francia quest'anno).
Analizziamo l'ultima partita con l'Irlanda in una visione d'insieme.
Premessa: la settimana prima, Twickenham aveva giustamente lasciato più consapevolezze che amarezze. Un risultato giusto, una sconfitta "col bonus" impensierendo gli avversari. La partita aveva indicato chiari punti di forza Azzurri: la fase difensiva impeccabile, il pack in fase dinamica, il gioco d'apertura nelle fasi in avanzamento, i trequarti sotto il profilo individuale non ancora corale. Aveva mostrato anche le nostre debolezze: la disciplina e/o la capacità di leggere e adeguarsi all'arbitraggio, la prima linea titolare in uno stato di forma non adeguato, le scelte del mediano.
Gli Azzurri vengono schierati all'Olimpico per l'ultima gara con una formazione che giustamente prende atto degli stati di forma ed esclude coraggiosamente uno dei leader dello spogliatoio - e bastava guardar con che sguardo abbracciava i compagni a fine gara all'Olimpico, per indovinare i pensieri che passavano per la testa di Castrogiovanni (proprio per questo resto convinto per pura stima che aldilà dei guai muscolari, si sia chiamato fuori da sé a Twickenham e anche stavolta: chapeau se l'ha fatto, all'intelligenza di un vecchio leone).
Altro cambio, la partita d'addio di LoCicero cuore e spavalderia, è stata degna; molto del merito va al pilone destro Cittadini in grado di reggere Healy e a un vero leader in mezzo, Ghiraldini.
Il cambio in terza linea (Favaro per Barbieri), va sottolineato, non ha inciso sull'autorevolezza della prestazione del pack Azzurro. Pur così diversi tra loro - più openside vero il primo, più quasi nr.8 il secondo. Se fosse stato chiamato  Derbyshire sarebbe stato più o meno uguale: abbiamo insommma un reparto con ricambi all'altezza dietro a due star di livello mondiale come Parisse e Zanni. E la lezione impartita alla terza linea irlandese dei due Lions merita di venir rimarcata.
  La partita: l'Italia parte subito alla grande con Parisse intercettore a sgretolare la rimessa irlandese. E' il vero grimaldello della partita, che assieme al pari e patta in scrum sottrae agli irlandesi ogni ancoraggio, ogni porto sicuro, riducendoli ai calci up&under (come lanciar la monetina: al loro Kearney noi  a saltare contrapponiamo Parisse e McLean). La falcidia fisica degli avversari già rimaneggiati (problemi loro) contribuisce allo sfaldamento e quindi alla frustrazione dei Trifogli, che alla fine si tradurrà in tre cartellini gialli contro uno. Il primo a dare il segno già alla mezz'ora è stato monumento Brian O'Driscoll, autore di un fallo alla Zidane in quella che potrebbe essere la sua ultima partita in nazionale.
Tutto bene quindi? Non tutto. Una Inghilterra o un Sudafrica avrebbero sfruttato una superiorità praticamente unanswered, per incamerare una ventina di punti di margine. Noi no, non siamo ancora capaci di concretezza.
Difatti gli Azzurri chiudono un primo tempo dominato con un miserrimo vantaggio di tre punti. Nel secondo tempo arriva finalmente la meta, cercata da Venditti in una situazione che pareva destinata a finire nell'ennesima poco produttiva serie di zuccate o maul affossate da tre punti; ma da quel 16-6 ci facciamo recuperare, fino a ballare per lunghi minuti sul filo del rasoio del 16-15! Da brivido.
L'esaltazione per la vittoria finale non dovrebbe mai accecare, far rimuovere il ricordo di com'è andata, altrimenti la prossima volta saremo di nuovo alle solite. E bene fa Brunel a porre l'accento sulla prova di carattere, non certo sulla "svolta". Si riferiva certamente a quei minuti frantic con un solo punto di vantaggio. Sul piano del gioco e della concretezza, abbiamo ancora strada da fare e sudore da spargere, con buona pace degli esaltati del "'amo svoltato".
Sul piano della continuità infatti, abbiamo sia conferme (il pack, Garcia, Venditti, McLean, Masi), che passi avanti (Gori più lineare anche se non ancora esente da errori nelle scelte e nel gioco al piede; Canale, stavolta meno "mallettiano integrale" e più propositivo); ma ci sono stati anche dei netti arretramenti. Aldilà della conferma della incapacità di concretizzare (non ci riferiamo solo ai piazzati), Orquera col pack Azzurro avanzante come nel secondo tempo a Twickenham e i meccanismi di scambio con Masi ben oliati, come mai offre una prestazione così opaca, sconnessa? Non dico come un Michalak qualunque (ironia), ma siamo quasi alla prova con la Scozia, senza l'attenuante della mancanza di protezione. Una buona e una meno, questa non è continuità.
Intendiamoci, tutto è bene quel che finisce bene, ma è più un pfuiii di scampato pericolo che la sensazione d'aver svoltato. Foss'anche, Francia, Inghilterra e Galles (all'incontrario) docent, tutto resta sempre relativo e time bound.
Il cantiere è ancora aperto insomma, c'è ancora da portare il caschetto protettivo. La necessità di continuare un gran lavoro non solo psicologico, senza compromettere le fondamenta della solidità difensiva, è ancora viva e i pericoli dello scivolone indietro non sono del tutto scongiurati.
C'è ancora qualche "buco nero potenziale" su cui far luce, in prospettiva mondiali. Prima di tutto il piazzatore, poi l'apertura e/o il suo ricambio. Preoccupa anche la situazione in retrovia: la Under20 è sempre ad annaspare, decisamente indietro rispetto ai coetanei europei, poco aiutati dalla svolta tutta "esperienziale" dell'Eccellenza e dall'eccesso di cautele italiche sul "non bruciare i giovani".
Quel che pare esserci e su cui edificare è una ossatura, un'idea di gioco da sviluppare, fondata prima di tutto sulla partecipazione alla Celtic League (se cessasse quella ...), sulla solidità difensiva, sul dominio in fase statica, sulle capacità individuali dei trequarti (tra parentesi non ricorda tutto questo il Perpignan di Brunel vincitore del Bouclier, tanto quanto Canale e Garcia ricordano la coppia Marty -Mermoz? Manca "solo" un piede perfetto come quello di Porical ...). Abbiamo una direzione, non siamo ancora arrivati da nessuna parte e la continuità è tutta da dimostrare day by day. Sappiamolo che è meglio, a scanso di improvvidi "chi mi spiega cos'è successo stavolta?" stile Scozia-Italia.

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