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L'italiana fiaba della lussuria

Creato il 14 luglio 2011 da Massimoconsorti @massimoconsorti

Romano: “E perché dovrei dimettermi?"

 

L'italiana fiaba della lussuria. Romano: “E perché dovrei dimettermi?
Se non ci fossero contemporaneamente sulla scena la reintroduzione dei ticket sanitari e la richiesta di rinvio a giudizio per mafia del ministro dell’agricoltura, l’innalzamento dell’età pensionistica sulla base delle “aspettative di vita” e un tizio di nome Marco Milanese che lucrava spudoratamente sulle “consulenze”, l’abolizione delle agevolazioni fiscali e il “tango” sull’arresto di Alfonso Papa tirapiedi di Gigi Bisignani, potremmo dire di vivere in un paese in grosse difficoltà in cui tutti devono mettersi le mani in tasca per contribuire alla rinascita. Ma la protervia con la quale si richiedono sacrifici da una parte e la cocciutaggine nel mantenere inalterati i privilegi di casta dall’altra, ci indispettiscono parecchio oltreché farci incazzare come iene nella savana alle quali Calderoli ha rubato la carcassa di gnu. Ci sono stati altri momenti di “queliana” grossa crisi, un presidente del consiglio di nome Giuliano Amato, qualche anno fa, dalla sera alla mattina, fece un prelievo di Stato coatto nei conti correnti dei cittadini e, a parte il fastidio iniziale, gli italiani compresero che forse quel provvedimento era necessario. Ma oggi, dopo aver assistito allo spreco più immorale di denaro pubblico da parte di un gruppo di mezzeseghe senza vergogna, alla sola idea di dover pagare lo stipendio di Ghedini, di Stracquadanio, di Brunetta, di Calderoli, di Castelli, di Maroni, di Borghezio (anche se in quota parte con l’Europa), della Minetti, del Trota analista dei new-media e poi dare 10 euro allo stato per una prescrizione medica ci fa girare vorticosamente le palle. Siamo convinti da sempre che, come in tutte le famiglie, anche le nazioni possano avere momenti di stasi. Ci sta. Ce lo insegna la storia. È nell’ordine delle cose. Quello che invece non ci sta e non potrà mai esserci, è che da una parte si richiedono sacrifici ai soliti noti (impiegati, lavoratori a reddito fisso, operai, pensionati, personale della scuola, giovani) dall’altra Gnazio prende l’aereo di Stato per andarsi a vedere la partita dell’Inter e Bossi lo mette nel didietro al Tricolore stipendiato come ministro tanto dai ragusani quanto dai valtellinesi. Insomma ci si chiedono sacrifici mentre loro, i politici, la casta, i fannulloni ministeriali, i portaborse, i liberi servi, le mignotte tanto a notte e rendite vitalizie post prestazione, gli eunuchi e i maggiordomi delle gazzette radiotelevisive continuano a prosperare non pagando mai pegno e prendendo dai contribuenti il necessario per comprarsi la barca, il suv, l’Ipad, l’Imac, l’Iphone e qualche signorina compiacente di passaggio. Fosse un problema di schizofrenia consiglieremmo a Giorgio Napolitano, sindaco d’Italia, un Tso generalizzato per i membri del governo, ma la schizofrenia rischia di trasformarsi in pandemia perché gli italiani si sentono ancora una volta presi a schiaffi e non sanno che pesci pigliare per vincere il loro ormai ventennale senso di impotenza. Da lunedì prossimo le ricette mediche costeranno 10 euro a prescindere, un “codice bianco” al pronto soccorso 25 euro e, nonostante il fatto che il popolo tutto sarà costretto a pagarsi l’assistenza sanitaria, questo governo di nullafacenti cronici e di dilettanti allo sbaraglio gli vuole pure imporre come morire, sancendo definitivamente per legge che la nostra vita non ci appartiene ma è in mano al cardinale Bertone, a Ratzinger, a Casini, a Rutelli, a Giovanardi, alla Binetti e a Formigoni. Il governo che ci impone di andare in pensione dopo tre mesi dalla scadenza dei quarant’anni di contributi perché “è aumentata l’aspettativa di vita”, è composto dalle stesse persone che, rinviate a giudizio per mafia, dicono tranquillamente “e perché cazzo dovrei dimettermi?”. E noi per che cazzo di motivo dovremmo continuare a pagarti lo stipendio? La schizofrenia sta tutta nel fatto che lui può decidere se dimettersi o no, mentre noi siamo costretti a pagargli lo stipendio pena l’arresto e la denuncia per evasione fiscale. Fare sacrifici per questo Stato e per questa classe politica dovrebbe essere una contraddizione in termini e invece è la durissima realtà dei fatti. E chi prova a darci del qualunquista è un emerito pirla. Dall’opposizione tuonano Pierfy Casini, l’uomo dei cardinali, il difensore divorziato della sacralità della famiglia, della vita e di Totò Cuffaro; Pierluigi Bersani alias il ventriloquo dalemiano nel Pd e quel Tonino Di Pietro che si è autopromosso statista diventando improvvisamente il paladino dei tolleranti. Venerdì prossimo questi signori daranno il via alla manovra ammazza-sociale di Tremonti. Pur votando contro non si opporranno, aborrendo ogni tipo di ostruzionismo possibile. Sono giorni che vanno ripetendo la storiella delle “dimissioni del giorno dopo”, come se l’uscita di scena di Silvio fosse la conseguenza della pillola abortiva e non dei disastri ad personam fatti agli italiani. Ma Silvio non se ne andrà, per la gioia di tutti coloro che non hanno ancora maturato il periodo utile per il vitalizio parlamentare. Solo un conto finale. Un parlamentare (1) costa al contribuente 37.086.079 euro mensili a fronte di uno stipendio base di 19.325.396 euro mensili. Un portaborse (parente o familiare del parlamentare) 7.804.232 euro mensili. Pensione minima mensile dell’Inps: 460,97 euro. E i qualunquisti siamo noi, gli immarcescibili fautori del “’ndo culo”.


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