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L’Occidente deve porre fine all’ipocrisia e riconoscere la “Dottrina Monroe” della Russia

Creato il 16 aprile 2015 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
L’Occidente deve porre fine all’ipocrisia e riconoscere la “Dottrina Monroe” della Russia

Quello che segue è, in traduzione italiana, un articolo di commento comparso su “International Affairs”, sito in inglese della rivista del Ministero degli Esteri della Federazione Russa.

 
Ipotizziamo che la Guerra Fredda avesse avuto avuto un finale diverso: l’Unione Sovietica ha prevalso e gli Stati Uniti si sono ritirati dall’Europa occidentale e hanno persino sciolto la NATO.

Ipotizziamo che – nonostante la scomparsa della minaccia USA-NATO – l’Unione Sovietica avesse deciso di mantenere in essere il Patto di Varsavia, anche se con nuovi membri.

Ipotizziamo che dal 1990 il ricostituito Patto di Varsavia si fosse espanso prima in Europa occidentale e nei Balcani occidentali e meridionali, poi nell’emisfero occidentale con nuovi membri come, per esempio, Germania, Francia, Belgio, Olanda, Gran Bretagna, Norvegia, Spagna, Portogallo, Italia, Grecia, Turchia e anche Cuba, Nicaragua, Bolivia, Venezuela, Ecuador, Honduras e Guatemala. A proposito: supponiamo, inoltre, che l’Unione Sovietica avesse proposto a Cuba un sistema antimissile del Patto di Varsavia, semplicemente come misura difensiva contro il “terrorismo globale”.

Facciamo un’altra ipotesi. Ipotizziamo che la Russia avesse provocato in Messico un colpo di Stato post-moderno, una cosiddetta “rivoluzione colorata”, con la conseguente estromissione del presidente democraticamente eletto e installazione di un gruppo non eletto di gangster, narco-terroristi e altri criminali filo-russi.

Per favore, chiedetevi: cosa direbbero il Presidente Barack Hussein Obama e i suoi satelliti europei in merito a questa serie di eventi?

Rimarrebbero seduti in silenzio o, addirittura, loderebbero l’operato del Cremlino?

Abbraccerebbero l’Unione Sovietica come un amico e un alleato?

Riporrebbero la loro fiducia nel Presidente Vladimir Putin, con il Patto di Varsavia giunto fino al confine meridionale degli Stati Uniti?

Ovviamente no! Sappiamo tutti che l’intera élite burocratica sovranazionale, l’establishment politico “occidentale” da Washington a Bruxelles più la macchina da guerra della propaganda, le coorti delle ONG, e la “intellighenzia” liberal e post-nazionale, urlerebbe come uno – detto in maniera politicamente corretta – “sfacciato”, sentitosi aggredito perché qualcuno lo ha chiamato “sorella”!

Esclamerebbero: “I Russi ci hanno ingannato e tradito! Ci avevano promesso che il Patto di Varsavia sarebbe stato smantellato. Credevamo alle loro promesse. È per questo che abbiamo smantellato la NATO. Si stanno preparando ad attaccarci. Per la Russia la Guerra Fredda non è mai finita!”.

Esorterebbero il Presidente Barack Obama a invadere il Messico, al fine di estromettere il regime illegittimo per reinstallare il presidente democraticamente eletto. Nel frattempo, Washington si leccherebbe i baffi alla possibilità di invadere di nuovo e conquistare, una volta per tutte, Cuba.

Bene, indovinate un po’! Inganno e doppio gioco rappresentano esattamente il modo in cui l’élite di governo degli Stati Uniti – e dei suoi satelliti europei – si sono comportate nei confronti della Russia dopo la fine della Guerra Fredda. Hanno promesso alla Russia che, sciolto il Patto di Varsavia, la NATO non si sarebbe espansa verso Est. Era una bugia. Non hanno mai avuto intenzione di onorare il loro impegno.

Così, mentre il Patto di Varsavia andava sciogliendosi, la NATO – un blocco politico-militare particolarmente aggressivo colpevole, tra l’altro, di guerre illegali, criminali, non dichiarate contro Stati sovrani (vedere la Repubblica Federale di Jugoslavia) e uno dei due più importanti strumenti dell’egemonia americana (essendo la cosiddetta Unione “Europea” l’altro) – si espandeva verso Est, assorbendo i Paesi che precedentemente avevano fatto parte del Patto di Varsavia. Questa espansione ha portato l’alleanza militare dominata dagli Stati Uniti sempre più vicino ai confini della Russia. Sono stati pianificati sistemi antimissile in prossimità della Russia. In seguito, la NATO ha proposto di includere al suo interno la Georgia e l’Ucraina, il che avrebbe posto gli USA proprio ai confini con la Russia e persino portato sotto la giurisdizione della NATO (USA) la base navale strategicamente e storicamente più importante della Russia, quella di Sebastopoli in Crimea.

Eppure, a partire dalla metà degli anni 1990, i leader russi si sono fermamente opposti all’espansione (o “allargamento”, per dirla nella “nuova lingua” politicamente corretta di USA, UE e NATO) della NATO; inoltre, negli ultimi anni, hanno messo in chiaro che non sarebbero rimasti a guardare quello che per loro è Paese confinante strategicamente importante, l’ “Ucraina” (il nome attuale delle terre che storicamente erano la Piccola Russia, la Novorossija, e la Galizia) diventare un baluardo statunitense contro l’Heartland russo.

Il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha ragionevolmente considerato l’illegittimo rovesciamento del Presidente ucraino democraticamente eletto (e filo-russo) come la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ha risposto accettando la volontà collettiva del popolo di Crimea, chiaramente e incontestabilmente manifestatasi in un enorme plebiscito per il ritorno sotto la Russia, alla quale la regione storicamente appartiene da sempre – evitando così che gli USA stabilissero una base navale NATO sulla penisola, trasformandola in un trampolino di lancio per la “madre di tutte le rivoluzioni colorate”, vale a dire l’attacco finale a Mosca, il conseguente rovesciamento dei leader legittimi dello Stato russo, l’eliminazione della sovranità nazionale russa, la scomparsa definitiva della Russia come attore geostrategico, l’umiliazione della Grande Vecchia Nazione Russa, la disgregazione etnico-politica, la balcanizzazione e il declassamento della Federazione Russa – analogamente al precedente jugoslavo – e la degradazione geopolitica della Grande Potenza dell’Heartland continentale eurasiatico in un’altra “Bosnia”.

Di conseguenza, il respingimento di queste possibilità da parte del Presidente Putin non dovrebbe rappresentare una sorpresa. Dopo tutto, l’Occidente si era mosso nel cortile di casa della Russia e aveva minacciato i suoi interessi strategici fondamentali, un argomento ribadito con forza e ripetutamente dal Presidente Putin. Le élite politiche e intellettuali, sia negli Stati Uniti che nella cosiddetta “Unione Europea” sono state colte di sorpresa dagli eventi solo perché aderiscono a una visione errata della politica internazionale. Esse tendono a credere che la logica del realismo politico abbia poca rilevanza nel XXI secolo, insistendo invece con assiomi liberal-internazionalisti, o anche post-moderni, astratti, i quali ovviamente fungono come legittimazione semi-normativa dell’imperialismo liberale.

Eppure, c’è stato un tempo in cui i leader e i responsabili politici americani erano soliti agire come statisti ragionevoli invece che come fanatici attivisti di una ONG: capivano perfettamente, e accettavano del tutto, che grandi o anche medie potenze rivendicassero una zona di sicurezza e un’ampia sfera d’influenza nella loro vicina regione geografica. Infatti, proprio come una potenza regionale emergente, gli Stati Uniti affermarono coraggiosamente una simile politica con la proclamazione della Dottrina Monroe nel 1823, il cui passaggio chiave avvertiva le monarchie europee di quel periodo: “Considereremo qualsiasi tentativo di estendere il loro sistema a qualsiasi parte di questo emisfero come pericoloso per la nostra pace e la sicurezza”.

Tuttavia, i politici statunitensi ora denunciano come illegittimi gli analoghi tentativi fatti dalle grandi o medie potenze regionali per istituire anche modeste zone di sicurezza. Questo punto è particolarmente evidente nella comportamento di Washington verso la Russia.

Gli Stati Uniti e i suoi satelliti della NATO e dell’UE ufficialmente ripudiano persino il concetto di sfere di influenza, sostenendo che questo non ha posto nel sistema internazionale moderno. Condoleezza Rice, il Segretario di Stato del Presidente George W. Bush, lo ha esplicitamente sottolineato in risposta all’intervento militare russo in Ossezia del Sud nell’agosto 2008. La Rice ha rigettato l’idea del primato russo lungo il perimetro della Federazione Russa, definendola come la manifestazione di “una qualche arcaica sfera di influenza”.

Anche l’attuale Segretario di Stato statunitense John Kerry esprime opinioni simili. Nel novembre 2013 ha addirittura dichiarato che “l’era della Dottrina Monroe è finita”. A seguito della pienamente motivata riunificazione della Crimea alla madrepatria russa e dello scontato sostegno del Cremlino alle forze patriottiche e democratiche nella cosiddetta “Ucraina” orientale e sud-orientale (Piccola Russia, Novorossija) che lottano per la libertà, la dignità e perfino per la propria sopravvivenza fisica contro il clan criminale che aveva preso il potere a Kiev dopo il colpo di Stato, il Ministro degli Esteri americano ha affermato che “nel XX secolo non ci si comporta alla stessa maniera del XIX secolo” invadendo un vicino di casa!

Ovviamente, l’atteggiamento occidentale è l’epitome dell’ipocrisia. Contrariamente alla retorica ufficiale, la Dottrina Monroe è ben viva. La grande potenza statunitense – che è anche la potenza egemonica regionale nella propria area geografica, l’emisfero occidentale – è intervenuta militarmente di recente, negli anni Ottanta (Grenada e Panama) o anche negli anni Novanta (Haiti), all’interno della sua tradizionale sfera di influenza.

Pertanto, è estremamente sorprendente e altamente ipocrita che Washington non riconosca che l’ “Ucraina” ha, da tempo, una rilevanza economica e strategica per Mosca. Nessun governo russo doveva accettare un tentativo di sottrarle l’ “Ucraina” per portarla nell’orbita geopolitica dell’Occidente. Questo è ciò che Washington e i suoi satelliti nell’ “UE” hanno fatto, sostenendo i manifestanti di EuroMaidan che hanno rovesciato Viktor Janukovyč, il Presidente dell’Ucraina regolarmente eletto.

È sempre un esercizio utile per i politici vedere una situazione come se le posizioni delle varie parti fossero rovesciate. Immaginate quale sarebbe la reazione degli Stati Uniti se la Russia espandesse un’alleanza militare da essa stessa guidata e procedesse a integrarvi i Caraibi, l’America centrale, e persino il Canada, e poi scatenasse (la Russia) un “colpo di Stato post-moderno” (“rivoluzione colorata”) per spodestare un governo filo-USA in Messico o in Canada. Come minimo, i funzionari e i media statunitensi griderebbero a una palese violazione della Dottrina Monroe e considererebbero le mosse della potenza rivale come profondamente minacciose.

Allora, perché la Russia dovrebbe guardare a simili macchinazioni occidentali in modo diverso? La cruda verità è che gli Stati Uniti e i suoi satelliti si sono introdotti in una tradizionale sfera di influenza geopolitica, geostrategica, geoeconomica e geoculturale russa, in una zona che il Cremlino ragionevolmente ritiene estremamente cruciale per la sicurezza nazionale.

È un peccato, e potenzialmente un disastro, che ai politici statunitensi manchino in maniera evidente le basi del realismo politico e non siano in grado di comprendere e accettare il fatto che la Russia sta operando come le grandi potenze tendono a fare nella propria sfera di influenza. Se i funzionari degli Stati Uniti smettono di comportarsi come dei missionari protestanti post-millenaristi o come le ONG radicali della sinistra liberal che “agiscono spontaneamente”, e decidono di agire come seri statisti, dovrebbero riconoscere che il loro comportamento ha violato un implicito equivalente russo della Dottrina Monroe e dovrebbero immediatamente tirarsi indietro prima che sia troppo tardi.

(Traduzione dall’inglese di Alessandro Lundini)


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