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L'ONESTA' DEL MOLOCH (ovvero) Della beata nientitudine -28-

Da Nivangiosiovara @NivangioSiovara
L'ONESTA' DEL MOLOCH (ovvero) Della beata nientitudine -28-ci voleva proprio.ci voleva proprio anche questa. Anche questa tocca a me
Così, ecco, ci riunimmo noi tre sani per decidere il da farsi, ma in quel momento gli elementi a nostra disposizione ci sembravano ancora troppo scarsi perché potessimo prendere una decisione, eravamo incerti e sapevamo di non poter agire senza una panoramica completa della questione. Così pensammo che sarebbe stato più giusto incontrarci tutti e quattro. Lui compreso. E così facemmo. Imix naturalmente confermò: era malato. In quel momento, certo, poteva lucidamente disporre di sé, del suo corpo, delle sue azioni, delle sue decisioni, ma nessun medico poteva sapere ancora fino a quando, perché quello stupido male avanzava inesorabile ed imprevedibile e ad un insetto lo avrebbe ridotto, sì, ma senza schiacciarlo (a quello avremmo dovuto pensarci noi?). Esistevano delle inutilissime terapie che avrebbero rallentato il processo della malattia. Ma di certo, un giorno, si sarebbe svegliato come nella Metamorfosi di Kafka. Poi, per terminare il discorso, finalmente ci ricordò che il nostro patto era stato siglato da tutti ed ognuno doveva sentirsene sempre pienamente partecipe ed onorato. Sì, disse onorato. Che lui non si sarebbe tirato indietro di fronte ad una responsabilità del genere nel caso in cui fosse occorsa ad un altro e non a lui, che ora più di allora si rendeva conto di come tutto ciò fosse giusto e pienamente sensato. Queste parole di "incoraggiamento", le pronunciò più che altro per quegli altri due, che in quei momenti opponevano, almeno a sguardi, una resistenza direi sentimentale, un pò nauseante, arrivando a sostenere, poi - non senza retorica - che comunque non si può ammazzare la gente! Per poi attaccare con un pietoso tentativo di scavalcare il problema attaccandosi alla speranza più bassa... la scienza: che la medicina nel frattempo, chi può dirlo, farà passi da gigante, vedrai, un giorno, magari fra dieci anni un principe medico azzurro ti bacerà in fronte e tu ti sveglierai da quel tuo lungo sonno riposato e fresco, dieci anni più giovane di noi che nel frattempo siamo stati qui a patire. Ma sì, vedrai, ci sarà un bravo medico - abbi pazienza, ascolta - (dicevano) un bravo medico che saprà riesumare quel tuo cervello da lì dove lo stai seppellendo. Imix non nascose di non avere alcuna speranza. Ci fece capire chiaramente che non ci sarebbe stato niente da fare, che avrebbero dovuto passare i secoli, non i decenni, e che, se anche fosse stata trovata una cura, nel frattempo, chissà poi cosa quel lungo sogno distruttore avrebbe risparmiato davvero del suo sognatore. E che, di certo, come naturale, temeva meno una morte indolore, magari nei primi fumi della malattia vera e propria. Così ci propose... no, che dico... ci ordinò, di attenerci a questi punti: 1)  Ci avrebbe spedito copie di rapporti medici ogni due settimane, in cui sarebbe stato chiaramente indicato ogni indizio di crollo finale incontrovertibile; 2) Fare in modo che la sua morte risultasse un incidente, di modo che la sua famiglia potesse agevolmente riscuotere il premio dell'assicurazione, di modo che potessero trarre giovamento economico da una così grave perdita, invece di dover subire il trascinarsi, l'inerzia di un dolore ed una pena ed una spesa ed un impegno così gravi gravose come quelle di avere un simile malato in casa; 3) Che noi ci si riunisse, a parte, ovviamente, e che si decidesse un modo casuale per assegnare il compito ad uno di noi per - così disse, lo giuro - per terminarlo e che una volta deciso chi sarebbe stato il terminatore, naturalmente, lui non ne venisse a conoscenza.

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