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L’organizzazione aziendale e i rotoli di carta igienica

Creato il 01 marzo 2012 da Ciro_pastore
L’ORGANIZZAZIONE AZIENDALE E I ROTOLI DI CARTA IGIENICA
Quando un’azienda o un intero settore produttivo va in crisi strutturale c’è sempre una spiegazioneL’ORGANIZZAZIONE AZIENDALE E I ROTOLI DI CARTA IGIENICAÈ ancora possibile passare da generosi “ stipendifici” ad aziende efficienti e funzionali? Come tutti sanno, il TPL nella nostra Regione è in uno stato comatoso. Molte realtà, soprattutto della “gomma”, sono già alle procedure fallimentari. È il caso dell’azienda di Caserta e provincia,ACMS, che vive, peraltro, una vicenda giudiziaria emblematica del degrado organizzativo in cui il management è precipitato in questi ultimi anni. Un’indagine della Procura Regionale della Corte dei Conti nata dalla perseveranza, fra gli altri, di un magistrato, tal Ferruccio Capalbo, orgoglioso alfiere - per singolare coincidenza - di un cognome che dice molto a chi in Campania si occupa di Trasporto Pubblico. Da quanto trapela, sarebbero emerse responsabilità di politici e manager in merito ad un’allegra gestione del denaro pubblico che veniva, per così dire, dilapidato anche, ma non solo, per conquistare e mantenere consenso clientelare/elettorale. Le modalità dell’inchiesta sono del tutto innovative perché si caratterizzano per aver dato seguito al sequestro giudiziario preventivo dei beni degli indagati. Insomma, la magistratura contabile mira al recupero delle somme eventualmente “malversate”, andando a colpire così la tasca di chi non ha voluto, o saputo, svolgere con la dovuta capacità professionale le funzioni manageriali affidate loro. Permessi sindacali distribuiti a pioggia, ed al di fuori da ogni parametro legale, voci retributive fantasiose a copertura di accordi di secondo livello che consolidavano, sotto forma di ticket mensa, irrealizzabili “premi di produzione”. Premi che paiono ai magistrati non meritati, visto che l’azienda non produceva utili ma affogava già nei debiti. Questo il quadro melmoso riferito ad ACMS, ma c’è da giurare che tale modus operandi si possa essere diffuso anche all’interno di altre realtà del settore. Insomma, non resta che attendere l’esito dei processi contabili in corso, nella speranzosa attesa che le indagini vengano estese anche altrove. Insomma, non resta che alzare un coro fiducioso: “Meno male che Ferruccio c’è”, parafrasando il più noto slogan forzista.Non è fantasioso immaginare, infatti, che le aziende di TPL si siano con gli anni trasformate in generosi “stipendifici ”, in cui efficienza e reale efficacia del servizio di mobilità si sono inesorabilmente ridotte a semplici optional in una macchina tesa, invece, a fare assistenzialismo di Stato. Soprattutto alla fine degli anni ’80, pletore di dipendenti hanno rimpinguato gli organici che, se da una parte incrementavano i costi di gestione, dall’altra, non producevano un innalzamento della quantità e della qualità del servizio reso ai cittadini/utenti. Contemporaneamente, in maniera scellerata, la politica imponeva tariffe tra le più basse dei paesi industrializzati, inseguendo ipocritamente il consenso popolare. Servizio scadente e tariffe irrisorie sono state, in questi ultimi decenni, merce di scambio scellerato che ha, però, condotto le aziende verso l’indebitamento. Contemporaneamente, i Sindacati (tutti, nessuno escluso) sono stati arruolati nel sistema fortemente consociativo, che regge tutt’ora il settore. Politica e management liberi di guidare le aziende a proprio piacimento e Sindacati messi nella condizione di ben figurare con i propri tesserati. Nascevano, così, accordi aziendali di secondo livello molto generosi e, probabilmente, non giustificati da reali aumenti della produttività (premi di produzione e ticket mensa, ad esempio). Ma anche, gestione dei permessi sindacali molto comprensiva derivante da prodighe interpretazioni delle leggi. Aggiungiamoci, poi, altre piccole “transazioni” come le assunzioni padre-figlio e una gestione ecumenica della legge 482 (quella sull’assunzione obbligatoria degli invalidi, per intenderci), ed il consociativismo è assicurato.Negli anni, si è andato consolidando, così, un clima parassitario che si basava inizialmente sul ripianamento “a piè di lista” del Ministero dei Trasporti: le aziende spendevano e spandevano, ePantalone alla fine pagava sempre. Successivamente, con l’assegnazione alla Regione, le cose sono peggiorate dal punto di vista finanziario, ma l’allegra gestione è proseguita fin tanto che il fondo nazionale per il trasporto locale ha coperto le magagne. Ora, però, il meccanismo si è inceppato per carenza di finanziamenti, stante la crisi economica nazionale acuita dalle stringenti regole del Patto di Stabilità. Ed ecco, allora, affiorare paurosamente tutti i guasti del passato, remoto e prossimo. Sono emersi, così, i bilanci in forte disavanzo, i debiti e le diseconomie che già c’erano, ma che ora nessun ripianamento dall’alto copre più. Qualche finto ingenuo ora scopre che gli organici sono stati gonfiati a dismisura, che la spesa corrente era fuori controllo, che si è stati troppo generosi nel far crescere le retribuzioni, peraltro, appesantite da spesso ingiustificati upgrade delle promozioni. Ancora oggiudite udite, nel pieno della crisi, in molte realtà si distribuiscono premi a quadri e dirigenti a fronte di fantasiosi obiettivi raggiunti .L’Accordonedel 16 dicembre scorso va a sancire, forse, la fine di un’epoca. Incentivi all’esodo, mobilità e contratti di solidarietà sono gli strumenti che verranno messi in campo per tamponare le falle. Si tratta, certamente, di strumenti necessari, anzi indispensabili, ma non basteranno a risolvere definitivamente i problemi strutturali del TPL. Occorre essere finalmente concreti ed affrontare con decisione una decisa riforma dell’offerta alla clientela. Il servizio offerto, infatti, sostanzialmente è rimasto immutato negli ultimi 30 anni, anzi in termini quantitativi si è fortemente ridotto. La logica deve essere, invece, quella di una maggiore frequenza delle corse, utilizzando treni a composizione singola. Ne consegue che organizzazione del lavoro, distribuzione del personale e produttività individuale devono essere completamente ridisegnati. Non è più possibile, ad esempio, sostenere apparati amministrativi in sovrannumero, tarati sugli organici del passato e resi improduttivi dai progressi tecnologici. Non è più possibile avere appalti di manodopera esterna per mansioni che andrebbero redistribuite fra i dipendenti. Non è più possibile lasciare languire negli uffici baldi giovani (o ancora arzilli/e cinquantenni) avendo, contemporaneamente, svuotato le officine manutentive. Non è più possibile tentare di combattere il sempre crescente fenomeno dei portoghesi, con una sparuta pattuglia di inidonei demotivati. Occorre, in definitiva, spostare le risorse umane presenti verso attività più operative e maggiormente utili. Si può, e si deve invece, aumentare il numero dei macchinisti tanto da garantire, con l’adozione integrale dell’agente-unico, l’incremento esponenziale delle corse. Le recenti norme sul sistema pensionistico, peraltro, hanno allungato decisamente i tempi di permanenza in servizio di molti ultracinquantenni, per cui sarà difficile trarre vantaggi da strategie, anche più esasperate, di esodo incentivato. Bisogna provare a ricondurre anche queste potenzialità, ora inespresse e depresse, in un alveo maggiormente produttivo. La necessaria brevità di questa nota, impedisce il dilungarsi nei dettagli. È certo che bisogna abbandonare la strategia dei “pannicelli caldi” e darsi tutti una regolata per evitare che queste aziende vadano a rotoli (di carta igienica) concludendo la loro storia ultracentenaria in ingloriosa… merda (metaforica, s’intende).Ciro Pastore – Il Signore degli Agnelli

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