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L’origine del pianto

Da Pasquale Allegro

L’origine del pianto Ci sono nuvole di rabbia e di dolore che ti esplodono negli occhi. Ecco svelato il mistero.Un giorno io e Marco, il nostro amico di Londra, di certo abituato al fumo, quello di Londra s‘intende - e poi perché mai quell’aria sia frantumata in minuscole particelle fuligginose non gliel’ho mai chiesto -, le strade le percorrevamo insieme, amici per un incontro che si sarebbe rivelato poi di grande importanza per far conoscere il racconto di quel tempo passato insieme.Strade di gente e Carnevale, tra maschere e linguacce, nel vento che ti si schianta addosso, tra i coriandoli che non sono certo minuscole particelle fuligginose, ma ripiegano  comunque negli occhi e prudono, gomito a gomito con la polvere e i pezzi di cielo di quella stagione. E le labbra rosse dei pagliacci, il naso rosso dei pagliacci, e bambini dietro quelle maschere. Sono tristi i pagliacci che ridono, e più quel sorriso è tirato e più la sofferenza è un racconto a denti stretti. Ci sono questi bambini che ti guardano con occhi veri che riposano umidi nell’incavo d’oriente, perché lo sguardo di un bambino che non sorride non è mai occidentale; con bocche che ridono, di un sorriso teso fino alle orecchie, ma bocche vere che parlano: “Avete qualche spicciolo per favore? Abbiamo tanta fame...”.Marco è amico mio, non si traveste mai, è un ragazzo piccolo e tarchiato e non gli basterebbe soltanto fidarsi del suo sarto, ma ha un cuore robusto e sensibile, è un cavallo forte dentro, quando corre nella vita, ma ne sente comunque il peso, perché non è mica da soma il quadrupede. E sorride Marco a quella richiesta, un sorriso che non ha maschera, non è un pagliaccio fuori, ma è un cavallo sensibile dentro. Tira fuori qualche monetina, credo fossero due monete da un euro, dorate fuori e con un cuore argentato in mezzo, mi pare fossero proprio da un euro, nonostante la giornata di vento e di fumo negli occhi.Tre bambini, tre piccoli pagliacci incontrati per caso per le strade del mondo, in una mascherata da niente. Dio solo sa quanto fossero tristi quelle pupille umide, ed io e Marco adesso lo sappiamo pure; solo che vivere per noi è da sempre una realtà sociale, uno scambio di opinioni veloci e asciutte, social network, non una strada diversa nel disagio del vento e della nebbia, in uno sprazzo di tempo che s’infrange sul momento in cui bambini pagliacci dagli occhi tristi ti chiedono l’elemosina. Ci sono monete e monete. Ci sono quelle che tintinnano, tin tin lungo sempre più sottile, e il suono non muore mai se quel fondo è un pozzo di barattolo. E poi ci sono quelle che dormono subito non appena quel fondo è un sacchetto morbido di juta, marrone naturale come le gocce di terra e di pioggia. E il pagliaccetto dal sorriso tirato adesso ride anche con gli occhi, e s’accende di nuovo colore per una frazione scomposta di felicità; ringrazia col capo e corre, saltella con gli altri due che gli lanciano dietro parole: “Quanti sono, quanti sono?”. E corrono insieme fino a scomparire nel vicoletto grigio di città, di quelli costretti tra umidi muri di pietra e muffa verde cobalto, come l’acqua quando riposa lungo le pareti.Io e Marco passiamo davanti a quel vicolo, e macchiette lontane ci ricordano quei tre costumi dalle parrucche vere della miseria, che saltellano in coro per un momento appena di provvisoria felicità. Per così poco, ci diciamo, per così poco e per così poco tempo. E poi quei colori di clown svaniscono infine dietro il termine opposto della strada, e al loro posto appaiono attraversando sagome incolore, come la realtà quando non è mascherata: tre quattro forse cinque uomini o forse donne, percorrono adesso quello spazio socchiuso tra le pareti, umidi muri di pietra e muffa verde cobalto che piangono sempre, perché piove per tutti ma per alcuni l’acqua è un abbraccio che non li lascia mai. Come per un pagliaccetto dal sorriso mascherato e dagli occhi tristi, che saltella per una manciata di spiccioli, ma finiti quelli non rimane che un luccichio di miseria e lacrime ad annegare in occhi verde cobalto. Perché all’origine del pianto che non si spezza mai, ci sono nuvole di rabbia e di dolore che ti esplodono negli occhi. Ecco svelato il mistero, singhiozzo.

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