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L'ultima parola. Risposta egocentrica a Loredana Lipperini

Creato il 03 giugno 2011 da Spaceoddity
Ho avuto modo di leggere un recente post che Loredana Lipperini ha pubblicato sul suo blog, Lipperatura. La giornalista vi parte da diverse concezioni della libertà per soffermarsi sul ruolo che questa stessa libertà ha nell'atto della lettura. In particolare, ci si concentra sulla metamorfosi del lettore in scrittore, trasferendo in questo nuovo ruolo lo spazio che gli viene concesso nell'incontro con un'opera.
Loredana Lipperini - abituata da anni di mestiere al dialogo professionale con lettori e ascoltatori radiofonici - riporta esempi di commenti sui siti di e-commerce, nei quali risulta evidente quanto si faccia presto a confondere la libertà con un assoluto arbitrio e un ingenio esercizio dell'atto locutorio.
Non occorre essere "specialisti" della letteratura per provare imbarazzo di fronte alla sfacciataggine con cui persone spesso incapaci di scrivere due parole in una lingua accettabile si sbracciano per squalificare capolavori e classici della cultura mondiale. Conosco bene quest'atteggiamento, che insisto nel definire ingenuo: in fin dei conti è il settimo anno che mi sforzo di presentare Dante ai miei studenti e non c'è volta che non vengano fuori battute anche pesanti sulla quantità di droghe disponibili nel medioevo e sulla necessità per Beatrice di essere un po' più espansiva col suo amante, per evitargli momenti di solitudine dannosi per sé e per il prossimo.
La letteratura sembra il regno del malinteso: il malinteso per cui si scriverebbe quel che passa per la testa - o per gli organi nei quali il sangue passa - e per cui la sincerità - e dunque il valore di un'opera- coincide con ciò è automatico e incontrollato: in tal modo, un'opera rientra nei circuiti consumistici dell'emozione che si nutre di se stessa. Un esempio, lo faccio io a mie spese: per quanto mi incuriosisca e per quanto io lo stimi, Italo Calvino non rientra nella mia sfera affettiva, insomma: non lo amo.
Io ho un titolo, non dico la preparazione, che mi impone cautela. Ho un'abitudine al dialogo talmente radicato da essere quasi più un difetto che un punto di forza, nel senso che io maturo solo nell'atto di socializzare, da cui questo blog, con grave danno per quegli argomenti che vado approfondendo e che fanno di me un pessimo specialista. Eppure, non mi limito a ciò che già conosco e la lettura è, in effetti, un atto di scoperta del nuovo, nel quale avanzo e verso il quale avanzo da conscio sprovveduto.
La differenza tra "me" e un lettore che critichi un capolavoro qualsiasi del canone tradizionale consiste in quella tra una socratica attesa di un contraddittorio e la pretesa di aver messo un punto fermo su un libro, un autore, una questione (atteggiamento meno titolato, forse, ma gratuito e consentaneo alla più bieca accademia, esempio pessimo di come si dovrebbe affrontare il frutto di un'operazione intellettuale).
In altri termini, anche un lettore specialista, o diciamo "un lettore con esperienza", può dire stupidaggini, sbagliare, cambiare idea: ci mancherebbe altro. Né, d'altra parte, questo lettore ha più diritto di parola di colui che legge poco, o libri meno condivisi dall'intelligentsjia intergalattica: altrimenti colui che, per la prima volta, spontaneamente apre un libro dovrebbe tacere proprio quando sta cominciando ad acquisire gli strumenti per parlare in modo consapevole. La libertà - in quanto diritto civile - deve essere garantita a tutti.
Per parte sua, un lettore con esperienza sa che l'atto della lettura non si esaurisce in un giudizio; e sa che un giudizio è frutto e, a sua volta, motore di un modo di essere. Soprattutto, questo super-lettore sa che cambiare giudizio corrisponde a un investimento complessivo su se stesso (e, come scriveva un giovane Under 25 delle antologie tondelliane, non puoi prendere l'autobus allo stesso modo dopo aver letto Proust).
Sarebbe, dunque, il caso di precisare che un lettore con esperienza è un lettore aperto, che si fa plasmare da ciò che legge, perché attiva quegli strumenti critici maturati per sfuggire al plagio. La libertà - intesa quale libertà interiore - va conquistata, maturata, è un dono che ci si fa ed è senz'altro la marca distintiva di un'aristocrazia dell'anima: un'aristocrazia vera, che non governa, ma si governa.
Per me, un lettore aperto è un lettore che ha imparato, nel fare la spesa, come ci si comporta, come si guarda la frutta e chi te la vende, come si cerca di scoprire da dove viene, se può essere infetta, come ci si mette al riparo, un uomo o una donna che parla per avere risposta, per essere contraddetto/a o avere insperate conferme, ma da un altro uomo o da un'altra donna.
L'arte, il modo in cui si sceglie di affrontare il mondo da sé, con gli strumenti che si sanno padroneggiare, è un incontro con l'altro, con la sua irriducibilità. La chiusura al mondo porta alla formulazione di brevi asserti senza ritorno o a ritorni altrettanto autoreferenziali, utili sul piano linguistico: vanno presi come semplici "atti di parola", che nulla dicono, né di chi li esprime, né dell'oggetto su cui si esprimono.
Il perché delle cose è una conquista, il dialogo un'obiettivo che ci riguarda tutti.

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COMMENTI (1)

Da  Spaceoddity
Inviato il 03 giugno a 21:19
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Naturalmente, nell'ultima frase, un obiettivo (senza apostrofo)