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L’ultima ruota del carro – La recensione

Creato il 11 novembre 2013 da Oggialcinemanet @oggialcinema

11 novembre 2013 • Recensioni Film, Vetrina Cinema, Videos •

il commento di Claudia Catalli

Summary:

L’ultima ruota del carro – La recensione

L’ultima ruota del carro. Un titolo che individua già la sensazione di umiltà di chi è abituato a stare dietro le quinte, in silenzio, a lavorare a testa bassa senza pretese né grandi ambizioni, se non quella di provare ad essere felice. Non è da tutti essere l’ultima ruota del carro: devi saper ascoltare, accettare, guardare senza vedere, sopportare, saper sorridere di fronte alle tragedie, sostenere, “campare” direbbero i nostri nonni. Ernesto è tutto questo messo insieme. Un uomo di una semplicità disarmante, l’italiano medio che guarda la corruzione ma non ha il coraggio di combatterla, e nel frattempo prova a vivere come può la sua vita avventurosa a bordo di un furgoncino che tutto attraversa, compresa l’Italia tappezzata da volti finto-sorridenti e slogan di ottimismo. E’ un traslocatore sensibile all’arte e all’amore per una donna, la stessa da quarant’anni, il protagonista di questa storia. E Giovanni Veronesi ce lo racconta con un’epopea sentimentale che prova a calcare le orme della grande tradizione della commedia all’italiana.

L'ultima ruota del carro

Vuole far ridere e commuovere, e ci lascia anche sospesi nel giudizio. Cede il passo al buonismo (“Abbiamo già vinto la lotteria io e te”), offre il fianco a critiche per la mancanza di quel graffio di cinismo – il tocco di amarezza che i vari Scola e Monicelli sapevano dare nel caratterizzare l’italiano medio – e tuttavia ha il coraggio di mostrarsi per ciò che è. Un film popolare, per dire a tutti i signori nessuno che guardano che forse loro, come i loro padri, non sono ‘campati’ invano. Forse è giunta l’ora che si torni a raccontare al cinema questi signori nessuno: chi paga le tasse pur non arrivando a fine mese, chi si sacrifica, chi sceglie sempre la stessa donna (Alessandra Mastronardi, più angelica che mai) ed è pronto a condividerci gioie, dolori, litigate furiose (Elio Germano dà sempre il meglio di sé nelle scene più estreme).

La normalità, questa sconosciuta nel paese degli eccessi. E normale, sempre che tale aggettivo abbia un senso, è anche il tenore del film. Lontano dalla faciloneria di certe commedie da “manuale”, Giovanni Veronesi osa un passo in più e il tentativo è nobile. Riuscito quando affronta il tema del male incurabile, su cui arriva a ironizzare e farci sorridere (grazie anche ai tempi comici di Germano). Il cast non è da meno: oltre ai due protagonisti, Ricky Memphis fa ridere nei panni del camaleonte che cambia a seconda di dove tira il vento (politico), Virginia Raffaele interpreta un certo rampantismo femminile che è arrivato a occupare posti prestigiosi in questo Paese, e se Sergio Rubini si affianca a questa umanità viscida, Alessandro Haber se ne distanzia, interpretando un artista allergico ai compromessi, foss’anche quello di una semplice forchetta.

Un film tutt’altro che perfetto, e tuttavia ideale per il pubblico di Roma: quello di una capitale stanca e cinica, che ha dimenticato il valore delle piccole cose e che grazie ad Ernesto rischia di ritrovare un senso e un tempo che sembrano perduti.

di Claudia Catalli per Oggialcinema.net

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