Magazine Diario personale

L’uomo che ammutolì Bologna

Da Big @matteoaiello

Appena il Filisteo si mosse avvicinandosi incontro a Davide, questi corse prontamente al luogo del combattimento
incontro al Filisteo.
Davide cacciò la mano nella bisaccia, ne trasse una pietra,
la lanciò con la fionda e colpì il Filisteo in fronte.
La pietra s’infisse nella fronte di lui che cadde
con la faccia a terra.

Se comincio citando il prequel della Saga di Tolkien, vuol dire che questo post è roba seria.

La favola fantasy di Davide e Golia è la metafora più utilizzata ed abusata per raccontare le imprese sportive di chi partiva come agnello sacrificale, ma che alla fine ce l’ha fatta, ribaltando tutti i pronostici.
Dato che la pallacanestro vi (e sottolineo vi) piace, vi racconterò una storia che ha dell’incredibile. E’ una storia vera perché ne sono stato testimone, seppur non da protagonista assoluto.
Ammetto però che ci sono alcuni passaggi che non ricordo benissimo. Per questo li romanzerò un pochino. In fondo, sta nella bravura dello scrittore mischiare finzione e realtà.
No?

Era l’alba del terzo millennio quando, insieme ad alcuni ragazzi che come me erano cresciuti nel glorioso pallone della Freccia Azzurra, decidiamo di partecipare al Nike Playground League, torneo outdoor di 5 vs 5 a copertura nazionale. Il nome della nostra squadra lo sceglie il nostro Capitano, nonché giocatore simbolo: The Macellai dato che, ai tempi, si divideva tra la palestra e la cella frigo. Nome che chiaramente fa intuire il livello della squadra.
Nonostante i ripetuti proclami, a Firenze della pallacanestro non gliene frega un caxxo a nessuno. Infatti, alle selezioni cittadine non si presentano tantissime squadre. Nonostante ciò, i The Macellai distruggono la concorrenza e conquistano il pass per le finali nazionali come Firenze Uno.

Le finali si svolgono a Bologna nella meravigliosa cornice dei Giardini Margherita. Ci sono campi ovunque e al centro troneggia il maestoso campo centrale con tanto di gradinate su tutti e quattro i lati. Appena arrivati (ed è la stessa sensazione che ho provato alle finali FISB a Riccione), ci sentiamo dei pesci fuor d’acqua. Sono tutti belli, alti, abbronzzati e soprattutto fisicati (oggi in più avrebbero i tatuaggi). Sono i cosiddetti ballerz, gente che se la sente di brutto e che crede di provenire da Harlem o da qualche altro cazzutissimo ghetto d’oltreoceano. Di conseguenza, si atteggiano a gangsta niggaz chiamandosi per soprannomi rigorosamente anglofoni (o a.k.a. come direbbero loro): Jump, Lift, Smoove, Hollywood e King (quello non manca mai) per citarne alcuni, si salutano dicendo Bro’ e in campo si ostinano a provare le fumose giocate da playground che hanno visto in qualche mixtape dell’And1. Non riuscendoci. Perché ovviamente, a differenza degli autentici born in the USA, la maggior parte di loro sono degli incapaci.
Però hanno una presenza scenica che incute timore.

Smarriti all’interno dei Giardini Margherita e guardandoci intorno sempre più spaesati, andiamo allo stand principale dove ci consegnano le double face e scopriamo contro chi dobbiamo giocare.
Il torneo è diviso in una prima parte a gironi composti da quattro squadre, con le prime due che si sarebbero qualificate agli scontri diretti.
Quando leggiamo la provenienza dei nostri avversari ci viene lo sconforto: siamo inseriti, da teste di serie, in un girone di ferro contro Bologna Due, Venezia Tre e Milano Quattro.
Gli organizzatori non potevano sapere che la miglior squadra di Firenze era composta da una banda di coglioni di altezza media di poco superiore al metro e ottanta e che alcuni, maggiorenni da poco, avevano già salutato la curva e non potevano sapere quanto caxxo era basso il livello alle selezioni provinciali.
Anche perché altrimenti, non saremmo mai passati.
Ma le sorprese non sono finite: l’esordio è proprio sul campo centrale contro i padroni di casa bolognesi.
Ci guardiamo e cominciamo a ridere.
“Sai che figura di merda che si farà?”.
“Davvero, ci piglierà per il culo tutta Bologna”.
Ma è proprio un questi momenti che si vede un vero Capitano: “Ooooh! Avete rotto il caxxo! Se fanno i fenomeni si pigliano a schiaffi!”.
Mi sembra giusto.
Le sue parole ci caricano a bestia e come i Sette Nani andiamo saltellanti e baldanzosi verso il campo centrale.
Terminata la partita che si stava giocando, lo speaker annuncia le due squadre e appena dice “The Macellai” le risate del pubblico mi fanno accorgere che le gradinate sono stipate in ogni posto. C’è addirittura chi è seduto sulle gambe di qualcun altro pur di non perdersi il match.
Non sono bravo con i numeri ma credetemi, c’era davvero tanta gente.

Già dal riscaldamento, il pubblico comincia ad urlare “Bologna! Bologna!“. E’ un delirio totale.
Dopo qualche tiro e qualche terzo tempo, siamo pronti per la palla a due.
Sembra il sequel di Space Jam.
Noi piccoli, magrini e coglioni.
Loro enormi, muscolosi e incazzati.
Hanno addirittura un allenatore in panchina per gli schemi e la divisa da gioco con tanto di cognome dietro al numero.
La bolgia aumenta con i loro primi due canestri ed intimorisce me e tutta la squadra. Nel primo tempo ci sovrastano fisicamente. Sono bravi, ma nonostante il coach e la tattica, il loro gioco è basato soltanto sulle penetrazioni. Anche perché gli rimbalziamo addosso.
Ma se i Looney Tunes avevano Michael Jordan, noi abbiamo il nostro. Infatti, restiamo in partita per merito del Capitano, perché è l’unico che riesce a gonfiare la retina con regolarità.
In che modo è irrilevante.
All’intervallo siamo sotto di sette.
“Teo! Che incominci a giocare anche te, porca puttana!”
Ha ragione. Durante il primo tempo ho fatto veramente cagare. Ho messo un paio di canestri, ma diciamo che non è la mia giornata migliore. Più che altro, sto rifiutando troppi tiri e il tizio che devo marcare, il più alto di tutti, ha abusato di me spalle a canestro.
“E bisogna tu ti dia una mossa che almeno si cheta tutti questi stronzi”.
Devo reagire.
Già, ma in che modo?
Non mi è mai riuscito.
Infatti rientro in campo e sono sempre un cadavere.
Metto un canestrino dalla media, però continuo a rifiutare tiri su tiri. Non so spiegarmi il perché, ma non me la sento. Eppure ci sono tante belle bambine sugli spalti (e di solito quando ci sono le bambine gioco sempre piuttosto bene) con quell’accento che mi scombussola tutto l’ambaradan anche se a parlare ci fosse Donatella Versace, ma compiccio poco o nulla.
I minuti passano e siamo sempre sotto.
Arriviamo fino a meno tre, ma nonostante gli sforzi non riusciamo ad impattarla. Inoltre, la stanchezza e tutte le botte prese cominciano a farsi sentire.
Loro vanno a più undici con un canestro da tre punti del playmaker, festeggiato da un boato arrivato fino alle due Torri di Piazza Ravegnana.
Ormai hanno la partita in mano e anche il nostro Capitano, che continuava a rispondere a modo suo ai loro canestri, sembra non averne più.
Time out a circa due minuti dalla fine.
Loro sono ancora freschi come rose e arrivano in panchina dandosi il cinque e facendosi i complimenti a vicenda, osannati come cavalieri medievali durante una giostra.
Noi siamo stanchi e indolenziti. Sembriamo dei reduci del Vietnam. Mentre prendiamo fiato, il Capitano prova a darci la carica, ma la spia della benzina è sulla riserva.
Infondo chissenefrega. Siamo in scampagnata a Bologna e abbiamo avuto una double face griffata Nike che è figa da morire.
Il nostro lo abbiamo fatto. Anzi, abbiamo fatto anche troppo a restare in partita.

Appena rientriamo in campo, segno in penetrazione il meno nove. Loro tornano in attacco e l’energumeno che devo marcare sbriciola con un blocco uno dei nostri. L’arbitro gli fischia fallo e mentre lui polemizza, noi andiamo a raccogliere tutti i pezzi del nostro compagno di squadra. Mentre lo accompagnamo in panchina, il Capitano mi si avvicina: “Teo, io non voglio perdere contro questi merdosi! Te porta palla, appena arrivi sui tre punti ti blocco e la spari, ok? Anche perché non ne posso più”.
Ok Capo.
Ricevuto.
Sotto nove, palla in mano, prendo palla sulla rimessa. L’ energumeno mi lascia passare la metà campo e appena arrivo sui tre punti vedo salire il nostro eroico Capitano che lo inchioda su un blocco assassino a metà schiena. Faccio un palleggio di sinistro e mi accorgo di essere solo.
Tiro da tre.
Canestro.
Meno sei.
Mentre torno in difesa, mi si affianca il Capitano che mi urla: “Ancora! Ancora!“, riuscendo finalmente a gasarmi. Adesso riesco a vedere ogni bambina bolognese presente sugli spalti e non le voglio di certo deludere.
Loro vanno sul sicuro affidandosi al fisico come hanno fatto per tutta la partita, ma l’esterno muscolare abusa dei suoi deltoidi facendo sfondamento.
E’ ancora palla nostra.
Supero la metà campo in palleggio, il Capitano porta ancora il suo blocco assassino sul mio difensore, ma questa volta non riesco a tirare perché mi raddoppiano. Riesco però a passare il pallone a Lorenzo Amendola, l’unico oriundo della squadra perché scuola Affrico, che spara un altro tiro da tre. La specialità della casa.
Canestro.
Meno tre.
Il loro allenatore chiama subito time out.
Torniamo in panchina e siamo tutti rinvigoriti.
“Dai caxxo, non molliamo ora eh!! Dai che si cacano addosso!!”.
Al rientro in campo, loro decidono di giocare col tempo stando cinque fuori, passandosi la palla velocemente. Ci fanno correre da una parte all’altra fino a quando il loro esterno lascia partire un passaggio senza senso che finisce nelle mani di uno dei nostri che mi passa subito il pallone.
Arrivo in attacco camminando e faccio finta di essere un playmaker, chiamando un fantomatico schema. Il mio difensore si aspetta un altro blocco assassino alle spalle così arretra guardandosi dietro, lasciandomi però lo spazio per prendere un tiro da tre punti di assoluta incoscienza.
Canestro.
Pari!
Pari a venti secondi dalla sirena!
Tornando in difesa mi guardo intorno e sorrido, scuotendo la testa.
Calma, Yo estoy aquì.
Bologna Due è nel panico.
I giocatori non sanno più cosa fare.
Infatti, invece di tirare allo scadere dei ventiquattro, uno di loro si butta in penetrazione riuscendo a raccattare un fallo.
In lunetta fa 1/2.
Prendo il rimbalzo e mi ritrovo con la palla in mano ad una quindicina di secondi dalla fine.
So già che il tiro dell’ipotetica vittoria lo prenderò io, ma non so ancora cosa fare (perché l’ho sempre deciso prima e mai guardando il difensore). Mentre palleggio penso a Jordan contro Utah.
Già, Michael Jordan.
C’è un problema però: nei The Macellai/Looney Tunes non sono io Michael Jordan.
E’ un altro.
E lo vedo, alla mia sinistra poco dentro l’arco dei tre punti, che mi chiama il pallone con l’occhio sanguigno e la faccia di uno che sa già che sta per scrivere la storia dei Giardini Margherita.
Faccio due palleggi di sinistro in penetrazione andando a cercare il suo difensore che prontamente mi raddoppia. Salto come se volessi tirare per poi scaricare il pallone su di lui. Arresto a due tempi e meccanica classica di tutti i mancini con il pallone dietro la testa e il gomito largo. Da una parabola a quel tiro che non finisce più. Tutta la squadra segue la traiettoria spingendo con gli occhi lo Spalding dentro il canestro.
Ma non ce n’è bisogno.
Ciuff.
Più uno.
Il pubblico è incredulo e sinceramente anche noi.
L’unico urlo che si sente è quello del nostro match winner che mi corre incontro a pugni serrati e con gli occhi sgranati, montandomi in collo. Gli altri tre Macellai fanno lo stesso. Ci abbracciamo sulla lunetta del tiro libero e siamo così in botta che nessuno si accorge che la partita non è finita e che mancano ancora due secondi. Loro fanno subito la rimessa e il playmaker scaglia il pallone per il tiro della disperazione da oltre metà campo. Tiro che batte sul tabellone, tocca il ferro ed esce.
Incredibile ai Giardini Margherita: i The Macellai battono Bologna Due.
Il pubblico ha smesso di fare casino. Sono tutti in silenzio a guardarci festeggiare come se avessimo appena vinto la Coppa del Mondo.
Qualcuno comincia ad applaudire. Applausi che logicamente non sono rivolti a noi.
O forse sì.

Ci sentiamo imbattibili.
Niente e nessuno può fermarci.
Invece veniamo spazzati via sia contro Venezia sia contro Milano, arrivando terzi e venendo eliminati al girone dove passarono i meneghini e i maledetti di Bologna che dopo la sconfitta contro di noi vinsero le due partite seguenti.
Dettagli.
Resta il ricordo di una partita meravigliosa e non solo.
Se vi capita di andare ai Giardini Margherita guardatevi intorno. Da qualche parte c’è la statua di Tommaso Paoletti, il Capitano, il match winner e il Michael Jordan dei The Macellai.
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Come promesso questo post è dedicato a te.
L’unico merdoso che poteva convincermi a ricominciare a giocare.


Archiviato in:I Hate This Game Tagged: basket, bologna, buzzer beater, giardini margherita, nike, playground

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