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L’uomo di paglia antikeynesiano di D.K. Levine

Creato il 30 marzo 2015 da Keynesblog @keynesblog

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Un articolo divulgativo dal titolo “L’Illusione keynesiana” dell’economista David K. Levine ha suscitato un ampio dibattito nell’econobogosfera. Tra i critici, Brad De Long e Paul Krugman. Tra i sostenitori John Cochrane.

Piuttosto che annoiare il lettore con un lungo resoconto, proviamo a spiegare cosa non va nella storia di Levine partendo da alcuni passaggi.

Un’economia di baratto

Levine:

Consideriamo uno stato popolato da persone vere che producono e consumano cose. Per semplificare, immaginiamo che vi si trovino quattro persone: uno che produce cellulari, un venditore di hamburger (chiamiamolo “paninaro” per brevità), un parrucchiere e un disegnatore di tatuaggi. Ipotizziamo che il paninaro desideri solamente possedere un cellulare, il parrucchiere solo un panino, il disegnatore di tatuaggi solo un taglio di capelli e il venditore di cellulari solo un tatuaggio, e così il cerchio si chiude. Assumeremo che ciascuno possa produrre, rispettivamente, un cellulare, un panino, un taglio di capelli e un tatuaggio e che ognuno valuti l’unità di ciò che vuole comprare più dell’unità di ciò che vuole vendere. Cioè, il parrucchiere è disposto a tagliare capelli se può ottenere un panino, e così via. Ciò che succede è abbastanza chiaro: il tipo dei cellulari ne produce uno, lo cede in cambio di un tatuaggio al disegnatore di tatuaggi, il quale cede il cellulare in cambio di un taglio di capelli al parrucchiere, il quale lo cede in cambio di un panino al paninaro. Tutti lavorano, tutti ottengono ciò che vogliono e tutti sono felici.

Ora, supponete che il venditore di cellulari all’improvviso decida che non gli piacciono più i tatuaggi, almeno non così tanto da voler lavorare per ottenerne uno…

Quella descritta da Levine è un’economia di baratto, non un’economia monetaria come quella della Teoria Generale. La differenza è fondamentale. In una economia monetaria l’imprenditore (nell’esempio tutti sono imprenditori) non vende dei beni in cambio di beni, ma di moneta. E non gli interessa la moneta, se non in piccola misura, perché con essa può acquistare altri beni. Gli interessa perché ne ha bisogno per rimborsare i debiti monetari contratti con il banchiere o le obbligazioni vendute sui mercati finanziari. Questa è l’essenza di un’economia monetaria.

Ma Levine farà molto di peggio quando introdurrà la moneta nel suo racconto.

Il moto perpetuo che non lo era

Levine:

Il fatto è che la prescrizione keynesiana – spendi di più e non preoccuparti del conto che ti verrà presentato – sembra troppo bella per essere vera, un po’ come la macchina del moto perpetuo o come certi disegni di M. C. Escher. Quello che segue mostra un canale con l’acqua che fluisce in discesa e curva un paio di volte fino a raggiungere una cascata che fa funzionare un mulino, per poi rifluire in discesa fino a tornare in alto.

Escher_Waterfall

Levine torna più volte sul paragone tra la macchina idraulica a moto perpetuo di Escher e il modello keynesiano. Ma quest’ultimo è all’incirca l’opposto della macchina di Escher. Come sa ogni buon “keynesiano idraulico” – prendiamo il “keynesismo idraulico” con le pinze non essendo una rappresentazione particolarmente accurata della Teoria Generale –  il moto nella macchina dell’economia è tutt’altro che perpetuo. Il modello del moltiplicatore implica un moto smorzato. Dato un impulso, uno stimolo, l’iniezione di nuova domanda nel “flusso circolare”, essa produce un effetto via via più tenue perché l’ “acqua” viene drenata dal risparmio. Nulla di tutto ciò si può trovare nella macchina di Escher. Come in qualsiasi macchina a moto perpetuo, non c’è alcuna perdita o smorzamento.

L’avversione per la liquidità

Infine Levine affronta il problema delle aspettative ed introduce la moneta nel suo schema:

Keynes parla anche del ruolo delle aspettative nel fallimento della coordinazione – ottimismo e pessimismo. Per esempio: i pessimisti si aspettano che la moneta non abbia alcun valore, essi non scambiano, pertanto non ha valore: una profezia che si autoavvera; gli ottimisti si aspettano che la moneta abbia un valore, quindi scambiano e la moneta serve ed ha valore: anche questa è una profezia che si autoavvera.

In effetti Keynes argomenta l’esatto opposto di quanto scrive Levine. Per Keynes l’incertezza e le aspettative pessimistiche giustificano l’uso della moneta come riserva di valore. Su questo poi Keynes basa la teoria della preferenza per la liquidità attraverso la quale spiega come mai il tasso di interesse non è in grado di riequilibrare il sistema economico come la teoria classica supponeva. Levine inverte il ragionamento keynesiano e quindi crea la propria originale teoria dell’ “avversione per la liquidità”. Ma l’affermazione di Levine è incomprensibile: se mi aspetto che (cioè se credo che in futuro) le mie scorte monetarie non avranno valore, allora cercherò di disfarmene il prima possibile, attraverso un qualche scambio, piuttosto che continuare a detenerle. 

Ora, si può ritenere valida o meno la teoria keynesiana. Non è questo il punto. Il punto è che Levine attraverso una serie di metafore male assortite costruisce una sua immaginaria teoria keynesiana e poi la critica. E anzi arriva a ridicolizzarla. E’ la classica fallacia dell’uomo di paglia


Archiviato in:Economia, Teoria economica Tagged: David K. Levine, John Maynard Keynes, moltiplicatore keynesiano

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