Magazine Cultura

La Banda dei Cinque

Creato il 27 ottobre 2011 da Mrs Garrick

Accadde all’improvviso. In furioso ritardo sulla tabella di marcia generazionale, la fase adolescenziale in cui ci si lamenta del fatto che Bologna è provinciale e capitalista e non si vede l’ora di andarsene mi colse di sorpresa alla vigilia dei trent’anni, quando ormai non l’aspettavo più. A quel punto decisi che il lavoro ‘fisso’ poteva aspettare. Indecisa tra allevare pecore in Irlanda e acconciarmi i capelli in dreadlocks e partire per Barbados, me ne andai in Inghilterra. Fu più facile del previsto. Lasciai Bologna in un giorno di sole, colma di filiali sensi di colpa per aver preferito il Fish & Chips alle lasagne della nonna, con un paio di cd di Guccini nella valigia e London Calling dei Clash, esaltata all’idea di aver almeno momentaneamente rimandato il (per me) terrificante appuntamento con una vita dalle 'strade troppo strette e dritte per poter cambiar rotta' per citare Ligabue. Colpa de La Banda dei Cinque e della Rai che mandò in onda quella serie quando avevo otto anni. Serie tratta dai libri per ragazzi della scrittrice inglese Enid Blyton, che raccontava le avventure dei quattro vivaci cugini Kirrin - i fratelli Julian e Dick, la loro cugina Georgina e il suo cane Timmy, il quinto della banda. Ambientata negli anni Settanta in una bucolica (quanto immaginaria) Inghilterra, la serie abbondava in isole deserte, castelli in rovina e passaggi segreti in cui si nascondevano ladri e contrabbandieri che i nostri intrepidi investigatori, con la naturale tendenza dei bambini a ficcare il naso ovunque, contribuivano inevitabilmente ad assicurare alla giustizia. Uh!

image

Ce n'era abbstanza da solleticare la mia altrettanto vivace fantasia di bambina solitaria (mia mamma non mi chiamava orso per niente...) specializzata in sogni ad occhi aperti... Figlia unica, cresciuta nel quadratino numero dieci di TuttoCittà che è il Quartiere San Donato a Bologna, avrei voluto che i miei amici si chiamassero Julian, Anne, Dick; avrei voluto essere come George, che in realtà si chiamava Georgina, ma come me era un vero e proprio maschiaccio e così si faceva chiamare George (e anche lei era figlia unica). Non avendo un cane vero avevo chiamato il mio cane di peluche Timmy. Passavo ore con i miei cugini a giocare alla Banda di Cinque in casa dalla nonna, trasformando la camera da letto della povera donna nel palcoscenico di qualche incredibile avventura. Mio cugino, che all'epoca biondo come un cherubino, era Julian, mentre a sua sorella minore spettava il ruolo della piccola Anne. Ci mancava Dick, ma davvero la sua assenza non ci disturbava più di tanto.
Avrei voluto uscire dal portone di casa e vedere brughiere nebbiose e cespugli di ginestre spinose della campagna inglese. E invece ciò che vedevo erano i capannoni del Fiera District poco lontano, e campi coltivati a perdita d’occhio e una casa diroccata in cui si diceva avesse sostato Garibaldi. Era il 1978 e bastavano due pedalate per uscire dalla città. La vecchia strada su cui si affacciava il palazzo in cui abitavo era stretta, e dopo il vecchio ponte della ferrovia, scorreva tra due ali di campi di papaveri punteggiati da grandi case coloniche che testimoniavano la memoria di un passato contadino ancora tangibile. Alcune avevano ancora la stalla con mucche e maiali e l’aia popolata da anatre, galline, e gatti pigri che si scaldavano al sole. La strada stretta della mia infanzia ha lesciato il posto ad una foresta di svincoli per la tangenziale, per il cinema multisala, per entrare nei parcheggi della fiera e degli alberghi fatti per la fiera. Che ci vuole la mappa per districarsi. E ovviamente no alle biciclette.

 (Questo post è dedicato a Je-est che non sa cos'è la Banda dei Cinque...)

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Magazine