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La battaglia di retroguardia degli editori

Creato il 27 settembre 2010 da Stukhtra
La battaglia di retroguardia degli editori

foto: flickr

Perché l’ebook è un prodotto ancora immaturo

di Marco Cagnotti

Nella mia biblioteca ci sono alcune migliaia di libri. Se potessi, me ne sbarazzerei: desidero una casa sobria, nuda, quasi zen. Non sono un feticista del libro come oggetto, non percepisco il fascino della carta. Posso immaginare sensibilità diverse dalla mia, ma a me piace andare alla sostanza, ossia all’informazione contenuta in un libro, e non mi fossilizzo sul contenitore. Cioè sul supporto cartaceo, appunto, del quale farei volentieri a meno. Perciò guardo con grande speranza alla transizione verso il digitale. Il Kindle e l’iPad potrebbero essere il primo, timido vagito di un mondo nuovo. Mi fanno sognare una biblioteca di libri digitali: economici, consegnati al volo, comodi da gestire, ordinare, catalogare, con i testi facilmente consultabili. Le librerie spariranno, sostituite da gruppi di lettura spontanei aggregati intorno al comune sentire. Utopia? Certo, perché gli editori finora si sono rivelati miopi e incapaci.

 

Già, gli editori. A che servono? Difficile dirlo, nel mondo dell’editoria digitale. Certo non a stampare, com’è ovvio. Quanto a curare le proprie edizioni… bah! Molti, troppi non lo fanno più da tanto tempo. Specie i più grandi. Le librerie pullulano di libracci scritti male e stampati peggio, pieni di refusi e di imprecisioni. La preziosa, delicata arte dell’editing ormai s’è persa. Per non parlare della qualità delle opere: qualsiasi schifezza, purché sia di un volto noto della televisione, gode della dignità della stampa. Ma allora, se non seleziona con severità gli autori e non cura con scrupolo le loro opere, a che diavolo serve ormai un editore? Solo a stampare e a distribuire? Se è così, la rivoluzione digitale lo renderà a breve obsoleto. Gli autori si rivolgeranno direttamente ai lettori, magari attraverso un distributore già presente in Internet, e solo i migliori, darwinianamente, meriteranno il successo. E non è solo un’ipotesi: Andrew Wylie, un importante agente letterario statunitense, ha annunciato di voler offrire le opere dei propri autori direttamente ad Amazon, scavalcando così gli editori tradizionali.

Insomma, mentre i grandi editori cercano timidamente di trasformarsi in librerie on line (ché ben poco altro, abbiamo visto, sanno fare), i distributori assumono il ruolo di editori senza averne la tradizione e la cultura. Entrambi però stanno commettendo errori clamorosi.

Per cominciare, pretendono di lucrare vergognosamente. Un’opera il cui prezzo della versione cartacea è di 10,20 dollari viene proposta in forma digitale a 8,40 dollari. Tolte la materia prima per la produzione (carta, colla, inchiostro) e la distribuzione, che cosa rimane se non il lavoro dell’autore e quello dei curatori (ammesso e non concesso che quest’ultimo ci sia)? E vorreste farci credere che incidono per l’80 per cento del prezzo di copertina? Ci avete presi per idioti? Sappiamo benissimo com’è (a spanne) la suddivisione del prezzo di copertina: 5 per cento all’autore (nel migliore dei casi), 30 all’editore, 30 al libraio e il restante 35 al distributore. Ora, con l’editoria elettronica, eliminando il libraio e il distributore e lasciando all’autore la stessa miserrima percentuale, il conto della serva è presto fatto: un libro digitale dovrebbe costare un terzo del prezzo di copertina dell’edizione cartacea. E anche così, considerando che non c’è carta, non c’è tipografia, non c’è magazzino, l’editore ci guadagnerebbe molto di più. Invece no. Invece succede che in percentuale l’ebook costi un’enormità. Ho perfino scoperto casi in cui, grazie a uno sconto speciale del libro su carta, quest’ultimo costava meno dell’edizione elettronica. Follia pura.

C’è poi la questione dei formati proprietari. Se oggi acquisto un libro tradizionale, posso prestarlo a chiunque. Fra 30 anni sarà ancora lì, sempre leggibile. Dopo la mia morte finirà in qualche biblioteca pubblica, a disposizione per parecchi altri decenni. Un’opera sotto forma di bit invece no. Il formato digitale è il primo della storia che non si trasmette da sé (a differenza della carta, della pergamena e perfino dell’incisione nella pietra), ma richiede all’utilizzatore un preciso, periodico e volontario atto di copiatura per passare da un formato all’altro, da un hardware all’altro, pena l’obsolescenza e la perdita dell’informazione. A ciò si aggiunga l’incompatibilità fra i formati ora disponibili. Se compro un libro digitale da Amazon poi non posso leggerlo con il software di Apple, e viceversa. Allora devo immaginare tante biblioteche quanti sono i distributori on line, fra loro incompatibili? Se poi un compagnia fallisce e smette di supportare e aggiornare il software di lettura, che cosa succede ai miei libri? Diventano illeggibili al prossimo aggiornamento del mio sistema operativo o cambio dei miei computer? Ma siete matti?

L’ebook è una trovata geniale. Ma gli editori sembrano concentrati su una battaglia di retroguardia e abbarbicati a un modello di business che definire obsoleto è un eufemismo. Se non si svegliano, e presto, finiranno per farsi male. E, quel che è peggio, per far male al mercato.


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