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“La battuta perfetta” di Carlo D’Amicis

Creato il 30 luglio 2010 da Sulromanzo
“La battuta perfetta” di Carlo D’AmicisDi Deborah Pirrera
Carlo D’Amicis, “La battuta perfetta” (Minimum fax), la rivoluzione passa per la TV
“Nello scrivere questo libro emerge il mio forte disagio nel vedere cosa siamo diventati; vorrei che questo libro venisse percepito dai lettori sottoforma di pietas, da intendere nel senso letterale del termine, strettamente latino, nei confronti della fragilità umana che è alla base di tutto questo”.
Con queste parole Carlo D’Amicis, una delle voci di radio Rai tre e della nota trasmissione Fahreneit, descrive e anticipa il suo recente romanzo “La battuta perfetta” edito da Minimum fax.
A leggerlo, in realtà, si fa fatica a rintracciarla questa “pena” di cui D’Amicis parla; più che altro ne viene fuori un romanzo al vetriolo, a tratti satirico e tristemente realistico nella ricostruzione di un cinquantennio di storia dell’Italia attraverso la televisione e i suoi protagonisti, dall’era craxiana a quella berlusconiana.
“Lo so” dice ancora l’autore “può essere un libro crudele ma, a mio avviso, il vero problema è che oggi la questione morale importa all’uomo molto meno di quanto sarebbe giusto”.
Questa la trama.Filippo Spinato, e suo figlio Canio, sono entrambi degni rappresentanti di un profondo sud. Il primo, solerte funzionario Rai, si trasferisce a Roma mettendo a repentaglio l’equilibrio familiare certo di riuscire come apostolo di una missione educativa che la Tv degli anni ’50 ’60 dovrebbe incarnare. Tutti i suoi sogni cadranno ad uno ad uno lasciandolo vittima attonita di laidi meccanismi anche politici. Canio, invece, si muoverà in quel di Milano “venduto” alla Tv commerciale degli anni ’80 ’90, per poi divenire consigliere e barzellettiere dello stesso Berlusconi. Nel fallimento di entrambi, padre e figlio, si legge quello di un Paese intero scaduto in una ridicola e prevedibile tragedia morale… Particolarmente dense le pagine che descrivono il rapporto conflittuale tra Filippo e Canio, facce di una stessa medaglia. “Non ho potuto del tutto prescindere dalla mia sfera privata, anche se io cerco sempre di dare al lettore una visuale più ampia. Se penso alla mia adolescenza la cosa che mi torna più chiara alla mente è il ricordo dei pranzi che si facevano a casa mia. Mio padre, come Filippo Spinato, aveva un’idea del decoro e delle relazioni molto austera. I nostri pranzi erano vincolati alle sue domande, in genere due a pasto, di cui una relativa al mio andamento scolastico. Oggi riesco a ricordare quei momenti con una certa tenerezza, ma posso affermare che mio padre mi ha dato tanto sì, ma anche tolto parecchio”.Nelle pagine di questo libro c’è posto anche per la speranza che, come spesso accade, risiede nei veri sentimenti ma bisognerà cercarla tra le pagine finali.“È complicato tirare le fila di un libro che si muove su un duplice livello. Lo definirei un libro in cui esiste il privato ma anche la dimensione corale nella storia di una identità collettiva, quella del nostro Paese che viene rispecchiata dai personaggi televisivi e nei refrain di certe note canzonette che facevano da sottofondo a trasmissioni e pubblicità. Nell’epilogo di questa vicenda c’è una dimensione cristologia nelle parole dei due protagonisti, rimasti schiacciati dal loro stesso agire che aveva come scopo una sorta di evangelizzazione. Alla fine li definirei, appropriatamente, due poveri cristi”.
È doveroso aggiungere che a fare da sfondo a tutta la vicenda c’è la figura di Pasolini, comunque presente, sotto forma di una coscienza sempre abbastanza forte che aleggia alle spalle dei personaggi.Se ne consiglia a tutti la lettura.

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