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La bimba Down dev’essere risarcita perché è nata

Creato il 31 ottobre 2012 da Uccronline

http://1.bp.blogspot.com/-0Wtmf8piuYA/TfYEJzvE_NI/AAAAAAAAAJs/_0DUxfzQ53M/s1600/cassazione2.jpgNon ha mancato di creare scalpore la recente sentenza della Corte di Cassazione, per la quale, la bambina nata affetta dalla sindrome di Down, ha diritto ad essere risarcita. Non poteva d’altronde essere diversamente, considerando tutte le implicazioni, sia morali che giuridiche, che investono il pronunciamento dell’Alta corte.

Se infatti la disabilità è un ‘danno’, tale che per la corte sarebbe stata un’opzione viabile, se non proprio auspicabile, l’aborto, quella che è posta in essere è una «grave discriminazione nei confronti dei disabili», commenta il professor Filippo Vari, docente di Diritto costituzionale all’Università Europea di Roma. Gli effetti dell’affermarsi di una giurisprudenza di questo stampo sarebbero chiari ed agghiaccianti. Se si ammette che la vita di un disabile non vale la pena d’esser vissuta, il passo per teorizzare un fantomatico diritto di non nascere se non sano’ è breve – e da lì, al ‘diritto’ di non nascere, se non con determinate caratteristiche la distanza è ancora minore. Inquietanti scenari vagamente eugenetici salutano da lontano. Se nascere diventa un “danno” fonte di responsabilità civile di terzi (nella fattispecie del medico, condannato al risarcimento), cos’è che impedirebbe in generale, al malato di rivalersi anche sulla madre, rea di dolo e negligenza nel non aver «esercitato il suo diritto di autodeterminazione nell’interesse del figlio», come sottolineato da Carlo Casini, presidente del Movimento per la Vita.

Anche dal punto più squisitamente giuridico, la sentenza ha sollevato dubbi. Il pronunciamento, -nota il prof. Vari- oltre a smentire nettamente, per alcuni aspetti, altri giudizi della Cassazione stessa, si pone «in contrasto anche con la giurisprudenza costituzionale». Se infatti opinabilmente, la Corte costituzionale ebbe a definire il concepito come “uomo” e non come “persona”, la Suprema corte lo declassa ulteriormente a mero “oggetto di tutela”. Neanche la sentenza numero 27 del 1975, che fece d’apripista all’aborto, «arrivò a dire che il figlio non è un essere umano», commenta Casini. E per quanto sia evidente la naturale legittimità dell’aspirazione «ad alleviare le sofferenze causate dalla nascita di un figlio disabile», è altrettanto evidente che questa non possa essere messa in negazione della dignità, della vita, ed in ultima analisi, dell’umanità di chi ne sarebbe soggetto.

Nicola Z.


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