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La biscottiera

Da Gynepraio @valeria_fiore

P. Qualunque cosa succeda, non dire mai mai mai alla mamma che un cibo ti piace.
G. Perché, papà?
P. Perché in quel caso, si dimenticherà sistematicamente di comprartela. Che vuoi, è fatta così. Quindi: se a cena c’è la parmigiana di melanzane, cosa dirai?
G. Mmmmmh, che buona la parmigiana, è il mio piatto preferito!
P. No, figlia mia, te l’ho appena detto: devi mangiare e stare zitta.
G. Ah, già, scusa papà.

Mia madre è una donna eccezionale, bionda, simpatica e tettona, anche perché ha un cuore enorme. Però sul fronte dell’approvvigionamento alimentare, ha un grosso limite: fa la spesa là dove si trova, non è abitudinaria e deve ogni giorno cucinare cose diverse. Siccome mi gioia es tu gioia, dinanzi ad un apprezzamento gongola sinceramente per aver fatto la cosa giusta: ricordiamoci che ha sposato un uomo convinto che le soddisfazioni ed i riconoscimenti son denari che van spesi con dovuta proprietà (semicit). Finita l’effimera euforia da complimento, rimuove freudianamente l’accaduto e smette di comprare e cucinare ciò che ti piace. Accade con il pane, la mortadella, l’insalata russa, il crudo (insomma, tutti i cibi favoriti di mio padre).

A me, accadeva con i biscotti. C’è in casa dei miei genitori questa scatola di latta, che esiste almeno dal 1982 perché non ne ricordo altre. Veniva e viene estratta tutti i giorni e, secondo l’ispirazione materna, partoriva frollini, petit, pasticceria secca. Nessuno di essi mi faceva impazzire, nel senso che non era mai quello che volevo. Che per inciso erano le gocciole.

biscottiera

Ma, una o due volte l’anno, produceva un miracolo. Nel corso del tempo, si accumulava sul fondo della scatola un mix di briciole, zucchero, granella di mandorle, uvetta, pepite di cioccolato. Insomma, avanzi. Questo mix, versato nel latte (non intero né caldo: ma che ve lo dico a fare?) generava una merenda deliziosa. Una specie di zuppetta da svezzamento, dolce, tiepida, confortante. Al massimo una o due volte l’anno.

Di colpo rivalutavo tutti quei biscotti di cui mi ero lagnata nei mesi precedenti. I savoiardi, figli di papà buoni a nulla. Granturchese, gonna tartan e nervi fragili. Macine, spocchia presuntuosa da eterne uscite con buco. Galletti, sciovinisti per definizione. Abbracci, coppia mista ante litteram. Tarallucci, scemi del villaggio. Gingerbread, inspiegabilmente già diffusi in casa mia prima che lo zenzero diventasse il nuovo prezzemolo. Pavesini, assenza di nerbo e ironia. E ancora loacker, ringo, grancereale, ritornelli, orosaiwa. Anche gocciole, ma veramente poche.

La biscottiera di mia madre è allegoria del mondo, dove anche le persone peggiori hanno qualcosa da dare, ma quelle speciali s’incontrano di rado.  E’ metafora della vita, in cui l’attesa paziente viene ricompensata da un piccolo miracolo.

Guardando questa foto di ieri, mi rendo conto che la biscottiera è anche la dimostrazione che persone non cambiano mai, mia madre in primis.

In casa dei miei genitori non è cambiato nulla

Come nelle migliori tradizioni


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