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La Bulimia dell'Immaginario: Persona di Ingmar Bergman
Creato il 03 gennaio 2013 da Alessandro Manzetti @amanzettiLo sconvolgimento estetico di Persona dal libro Maestri del Cinema - Ingmar Bergman di Jacques Mandelbaum (Cahiers du Cinèma) dal capitolo La conquista dell'interiorità Un prologo sconvolgente vi riassume in pochi minuti la storia del secolo e di quella del cinema, mostrando il ragazzo solo del Silenzio, interpretato dalla stesso attore, quindo una variazione auto-referenziale di due donne inquietantemente simili, riunite in una grande casa al mare. La prima è l'attrice Elisabeth Vogler (Liv Ullmann), colpita da una inspiegabile afasia nel bel mezzo di una rappresentazione dell'Elettra; l'altra è la loquace infermiera Alma (Bibi Andersson), che parla per tentare di riannodare un dialogo, lasciandosi andare a confidenze sempre più intime. Segnato dalla tragedie della storia (immagini del ghetto di Varsavia e del Vietnam) nonchè dei divari sociali, Persona è il capolavoro bergmaniano della reversibilità delle apparenze, della porosità dei volt, della perdita completa di sè. Sul piano formale, come su quello narrativo, la figura chiave del film è la fusione, mentre il caos è il suo tormento e l'annientamento il suo destino. Con l'uso dei bianchi saturi, i cambi di direzione della colonna sonora, il perforarsi e il consumarsi della pellicola (che prende fuoco), lo svanire delle anime, la metamorfosi dei corpi e la nascita di una mostruosa chimera - per non parlare della trasfigurazione intima sottesa al film (Bergman lascia Bibi Andersson per Liv Ullman) - il cineasta si cimenta qui in una delle più potenti evocazioni del male così come fu sperimentato nel corso del XX secolo con l'attuazione dello sterminio altrui. Rimettendo in discussione la vocazione del cinema come testimonianza (la distruzione della pellicola, il nastro che gira a vuoto alla fine del film) e contemporaneamente celebrandone mirabilmente la potenza onirica, all'epoca Persona si è spinto più di ogni altro film nell'espressione di un cinema che coglie la bulimia dell'immaginario, il fallimento dell'umanità e il disincanto del mondo. La maschera della tragedia antica a cui fa riferimento il titolo del film, che mette a tacere la voce dell'attore (Elisabeth) per in compenso liberare quella dello spettatore (Alma) testimonia infine dello sconvolgimento estetico che la trgedia dei tempi moderni affida all'arte. Una simile messa in discussione della rappresentazione bel cinema narrativo si ritrova già, è vero, in resnais (L'anno scorso a Marienbad, 1961) o in Antonioni (Deserto rosso, 1964), ma bisognerà attendere gli anni '70 perchè un film raggiunga quel tipo di punto di non ritorno, e in particolare le opere di Godard, Garrel, e Akerman. Lo stesso Bergman non si spingerà più oltre, anche se L'ora del lupo (1968) potrebbe a prima vista darne l'impressione. Persona o dell'arte dell'esordio dal libro Maestri del Cinema - Ingmar Bergman di Jacques Mandelbaum (Cahiers du Cinèma) dal capitolo La conquista dell'interiorità La sequenza iniziale di Persona, un frenetico montaggio di piani eterogenei la cui esposizione sfida la persistenza della retina, è una delle più famose del cinema. Concepita "per" e "da" questo media, la decomposizione dei suoi elementi è possibile solo grazie a una tecnologia (DVD e fermo immagine) che ne snatura la portata estetica, fondata sullo choc visivo e sulla paralisi psichica prodotti del suo scorrere. L'enumerazione che segue sembrerebbe un puro esercizio di pedanteria analitica o il convincimento ingenuo del potere incosciente del fotogramma, se non fosse semplicemente motivata da una irresistibile curiosità. Ossia: due lampade di proiettori che si accendono lentamente e sembrano entrare in contatto producendo una salva incandescente, una striscia di pellicola che scorre nel proiettore con il suono tipico di quel passaggio, una luce che lampeggia su sfondo bianco, l'iscrizione start in nero a testa in giù, una immagine non meglio identificata sbarrata da un numero, una serie di trattini bianchi che formano una "zeta" su sfondo nero, un pene in erezione, una sfilza di immagini non meglio identificate con altre cifre, cilindri metallici, uno schermo saturo di luce, un effetto simile a palpebre che sbattono e un suono di perforazione che accompagna il movimento della cinepresa verso quello schermo, la proiezione su quest'ultimo di un cartone animato alla rovescia con un personaggio a testa in giù che ripete lo stesso movimento, una bobina che gira, un pezzo di pellicola che scorre, due mani bianche di bambino su sfondo nero mentre compiono gesti da prestigiatore, una immagine bianca, l'iscrizione su questa superficie di un piccolo quadrato in cui è proiettato un frammento di film muto raffigurante un uomo che indossa un berretto da notte e viene inseguito da uno scheletro e un demone, una migale, una mano che tiene ferma la testa di una pecora sgozzata mentre si svuota di sangue, un coltello che trancia la testa, le viscere sotto la carne sventrata, una palma di mano nella quale un martello conficca un chiodo, tronchi d'alberi nella neve, un tratto di punte acuminate di una cancellata, una serie di cadaveri in un obitorio fotografati in primissimo piano (visi, mani, piedi), il volto di una donna anziana che all'improvviso apre gli occhi, un adolescente che si sveglia sotto l'impulso del trillo di una suoneria, indossa un paio di occhiali, comincia a sfogliare un libro di Lermontov, poi si gira verso la cinepresa, tende la mano verso di essa, e nel controcampo che segue tocca una parete trasparente dietro la quale si sovrappongono alternativamente i volti di due donne (Bibi Andersson e Liv Ullman).
Seguono i titoli di testa in lettere nere su sfondo bianco, ogni piano separato da un flash visivo, dove compaiono in successione un bronzo che si contorce nelle fiamme, un fotomontaggio di due labbra mostrate in verticale, un bacino d'acqua, una foresta nella neve, delle rocce, un fotogramma del film muto, così come l'apparire ricorrente del volto del ragazzo e delle due donne. Una dissolvenza in bianco che diventa una stanza bianca, una porta di apre introducendo una infermiera (Bibi Andersson) che domanda: "Voleva vedermi, dottore?". L'ingresso di questo personaggio che pronuncia le prime parole segnala l'inizio di Persona, di cui resta solo da definire in cosa consistano esattamente i sei minuti che lo precedono.
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Inviato il 03 gennaio a 16:57
se vuoi davvero scoprire cosa contengono i 6 minuti del mitico prologo di Persona leggi il mio libro. http://www.amazon.it/Grande-Cinema-Ingmar-Bergman-Spiegato/dp/1470921553/ref=sr11?ie=UTF8&qid=1357232213&sr=8-1