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La cagata pazzesca

Creato il 31 agosto 2011 da Faustodesiderio

Quando sento parlare di Molisannio e di salvezza del Sannio affiora spontaneamente alle mie labbra la frase che il ragionier Ugo Fantozzi pronunciò dopo l’ennesima visione del film La corazzata Potemkin, prima tra l’incredulo silenzio dei colleghi e poi nel tripudio universale: “La corazzata Potemkin è una cagata pazzesca”. Per carità, so bene che tra i sostenitori del Molisannio ci sono anche persone serie che all’idea hanno dedicato impegno e studio personale. Lo so bene. Ma so altrettanto bene, come lo sapete voi, che i molisanniti sono la quarta fila del sottobosco politico beneventano e il Molisannio è un aborto politico che perfino la semantica rifiuta. Se infatti, per assurdo, dovesse farsi il Molisannio, sarebbe prima di tutto la regione italiana con il nome più brutto e  – per stare in tema -  cacofonico. “Salve, Piemonte!” canta Carducci, ma lo può fare perché i nomi delle regioni italiane sono belli: Lombardia, Toscana, Calabria e perfino là dove ci sono due o più nomi a nessuno è mai venuto in mente di unirli in un obbrobrio.

Sentite come suona bene Emilia Romagna che fin dal nome ti fa apparire innanzi la forma bella di donna o ascoltate il passo di carica di Friuli Venezia Giulia: ma voi ve le immaginate queste regioni chiamate Emiromagna o Frivenegiulia? Appunto, cagate pazzesche. Ma a noi i “salvatori del Sannio” ci vogliono rifilare Molisannio per farci diventare lo zimbello d’Italia.

No, non è solo questione di nome. Anche la cosa è, come ho già detto, pessima. Il Molisannio è una forma di autoghettizzazione e di autoesclusione che peraltro non raggiungerebbe neanche lo scopo di tenere unita la provincia beneventana così com’è. Perché, di grazia, comuni e realtà che hanno commerci e rapporti con Napoli e Caserta dovrebbero far capo a Campobasso? Come si può capire, il Molisannio è prima di tutto un modo sbagliato di mettere a tema l’idea di Sannio e in sostanza di pensarlo. Nasce dalla malattia e non dalla salute. Da una situazione di disagio e non di forza. Il Molisannio vuole conservare antichi vizi e non incentivare nuove virtù. E’ concepito non come un’istituzione e un assemblea legislativa regionale bensì come il classico carrozzone che finalmente non sarebbe in mano ai napoletani e sarebbe tutta cosa nostra. In fondo, questa cosa è stata già praticata alla grande proprio in Molise da Michele Iorio: se ne volete sapere di più potete leggere con profitto il libro di Vinicio D’Ambrosio Il Regno del Molise (che vanta anche la prefazione di Sergio Rizzo) edito proprio a Benevento da Il Chiostro. Per farvi solo un piccolissimo esempio: il Molise è una regione di soli 320mila abitanti ma spende milioni per avere sedi diplomatiche a Roma e Bruxelles e paga un numero di dipendenti otto volte superiore, in proporzione, a quelli della Lombardia. Naturalmente, i politici regionali molisani sono retribuiti più del governatore di uno Stato americano. Avete capito che cosa sarebbe il Molisannio o devo essere ancora più chiaro?

C’è poi la faccenda della “salvezza”. Questi dicono “salviamo il Sannio”. Per mia indole diffido di tutti quelli che si presentano come i salvatori della patria o di qualsiasi cosa. Per fortuna noi ci siamo sempre salvati più o meno da soli e continueremo a farlo e se c’è una cosa che abbiamo imparato dalla storia degli antichi sanniti è che il potere va limitato sia con il coraggio sia con lo sberleffo e perfino con il pernacchio (le celeberrime forche caudine furono la ritualizzazione del pernacchio fatto ai potenti romani). Ma la cosa più importante è che qui non c’è nulla ma proprio nulla da salvare. “Salviamo il Sannio” è una frase priva di senso perché il Sannio non esiste. Il Sannio non c’è in nessun luogo. Non c’è una storia, una cultura, un’istituzione che possiamo dire sannite. I Musicalia, ai quali mi legano sentimenti di amicizia e di stima, hanno fatto un grande lavoro di ricerca della cultura popolare e delle origini, ma ciò che è emerso non è minimamente comparabile con la cultura popolare napoletana, mediterranea, spagnola e comunque non è cultura popolare sannita. E il motivo è semplicemente banale: il Sannio è un mito. Cioè: il Sannio non esiste. Il popolo beneventano  – ma la parola “popolo” prendetela per quel che vale -  non è il popolo sannita. Come gli italiani non sono i romani, così i beneventani non sono i sanniti e non sono neanche longobardi, ma sono figli delle sottane dei preti e delle contadine che spesso erano trasformate in streghe. I tanti salvatori del Sannio che non vogliono mai un ente in meno ma sempre un ente in più non hanno mai letto un rigo di Zazo, di Salmon, di Johannowsky e la parola Sannio gli rimbalza nel cervello come le filastrocche della nonna. Ma per fare una regione ci vuole una cultura, non una sottocultura.

Il Sannio, dunque, è pura invenzione. Le invenzioni mitiche, se sono effettivamente tali, possono avere anche una grande forza, ma sono sempre miti e poggiano sul nulla, a meno che non siamo noi a reinterpretarli. Ecco perché ho detto “il Sannio siamo noi” volendo dire che o siamo noi in grado di creare il Sannio oppure il destino della comunità beneventana e dintorni sarà sempre oscillante tra il predominio napoletano e il ritiro nel rifugio dell’enclave. Non si tratta di aggiungere Avellino al Molisannio. Si tratta di capire se siamo capaci di pensarci come regione ossia di essere noi i legislatori di noi stessi: è questa la differenza che passa tra una cosa seria e una cagata pazzesca. E’ chiaro?



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