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La carne è un capriccio

Creato il 31 luglio 2015 da Alby87

Vegetariani e vegani non sono mai o praticamente mai gourmet o grandi chef. Il fatto stesso che facciano a meno del sapore della carne indica chiaramente che per loro si tratta di qualcosa di rinunciabile o sostituibile: e quale grande gourmet o grande chef al mondo potrebbe mai pensare che esista un sapore, un solo sapore su questa grande terra, che sia sostituibile?

Loro fanno una rinuncia, ma evidentemente una per loro facilmente accettabile. Dopotutto, tutte le nostre attività danneggiano gli animali; perché rinunciare alla cotoletta e non all’aria condizionata o al computer? Evidentemente per loro la cotoletta non è così importante; sicuramente meno del computer o dell’aria condizionata (per inciso, io l’aria condizionata non ce l’ho e quando ce l’ho la tengo spenta la maggior parte del tempo).

Ma qui sta il loro più grosso limite: dato che per loro a conti fatti quella rinuncia non è davvero importante, chiedono con estrema leggerezza a tutti di fare come loro, e si prendono il lusso di bollare il mangiar prodotti animali come una specie di capriccio e basta.

Si tratta dell’errore peggiore che si possa fare in battaglia: sottovalutare ciò che si combatte. Il cibo è cultura, è storia, è scienza ed arte. Il cibo è sensazioni, emozioni, meraviglia e nostalgia, gioia ed amarezza. Gli aromi ed i gusti si piazzano nella nostra mente, nella parte dove tutte le esperienze più significative abitano, e non se ne staccano più. Possiamo dimenticare tutto quello che abbiamo visto durante un viaggio in un paese esotico, e ancora ricordarci tutti i sapori che vi abbiamo sperimentato.

Il cibo può essere amore e passione. Evidentemente, per loro non lo è, o lo è ad un livello molto elementare. Magari gli piace, ma non lo amano; esattamente come a chiunque può piacere la musica, ma solo pochi la amano.

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L’incapacità di riconoscere la grandezza piena della rinuncia che chiedono è il loro limite più grande. Ed è reso ancora più grande dal fatto che, come arte, la cucina è insieme alla musica la più facile da apprezzare anche per l’incolto; quindi se è vero che chiedere di rinunciare alla carne ad uno che già magari è un barbaro gastronomico che toglie il grasso al prosciutto non è chiedergli gran cosa, è comunque un bel sacrificio perfino per lui.

Da questa mancanza di intuito psicologico derivano tutte le manovre comunicative semplicemente disastrose che mettono in atto. Partono da preconcetti assolutamente sbagliati, partono dall’idea che il sapore della carne non sia altro che un capriccio di secondaria importanza, e così lo trattanno quando parlano al pubblico; non riescono neanche a far finta di considerare l’amore per il gusto della carne qualcosa di importante nella vita delle persone, qualcosa che vive nella tradizione, nella cultura e nel cuore della gente. Pensano che il punto sia spazzare via il capitalismo con i suoi allevamenti intensivi.

Ma come si fa … Ma avete mai sentito dire a qualcuno: “oh, quanto mi piacciono gli allevamenti intensivi!”? Se domani si fa un referendum contro gli allevamenti intensivi lo si vince, ovvio che il punto non è quello, proprio per niente.

Il punto è spazzare via la torta della nonna, il ragù della domenica, la soppressata di paese. E quelli non li spazzi via facilmente, e di sicuro non dicendo alla gente che sono una specie di capricci insignificanti.

Ma il capitalismo, in quest’impresa, è il loro più potente alleato (dopotutto, lo è sempre stato): se qualcuno riuscirà mai a spazzar via ogni residuo di tradizione e cultura dal cibo, quello non potrà essere che il capitalismo. Il capitalismo adora l’uniforme ripetersi del sapore della soia, così facile, così vendibile a tutti, così vuoto d’arte, così vuoto di cuore.

Gli hamburger di McDonald’s tutti uguali, identici in ogni parte del mondo; chi si accorgerebbe mai se venissero tutti sostituiti con hamburger di soia?

Se il vegetarianesimo diverrà mai predominante, sarà perché nei nostri piatti non ci sarà più nient’altro che soia, e ormai nessuno si ricorderà più di che sapeva il pollo. Oppure il pollo sarà diventato così senza sapore che nessuno noterà la differenza fra la soia e il pollo, perché no? Siamo già abbastanza avanti su quella strada.

Oh, sì! Ci attende un grande e luminoso futuro! Senza conflitto, senza sopruso, senza contrasto … a conti fatti, senza niente.

Ossequi.

P.S.: L’articolo ha avuto un certo successo, e vari commenti sia in pagina che in giro per la rete. I più divertenti sono proprio quelli dei veg*, perché mi hanno tutti confermato il loro limite psicologico: non sono capaci di considerare la cultura gastronomica come una cosa rilevante per la vita delle persone, la sanno solo minimizzare.

E pensare che era facile mostrare che mi sbaglio. Sarebbe bastato scrivere: “sì, mi rendo conto che il sacrificio che chiedo quando chiedo di diventare vegetariani o addirittura, vegani, è molto grosso e radicale, e che non tutti possono essere disposti a farlo”.

Nah, meglio liquidare come capriccio. Deridere o sminuire ciò che è importante per le persone: io ho subito questo trattamento tutta la vita e a tutti i livelli del mio essere, posso assicurarvi che è una cosa che fa molto incazzare la gente. Si tratta proprio di una tecnica comunicativa idiota.

Niente, non c’è proprio speranza. Per questo sarebbero destinati ad essere minoranza in eterno, fatta salva la possibilità che la cultura gastronomica muoia invece di morte naturale, uccisa dalla pervasiva cultura della soia industriale …



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