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LA CITTÀ INVISIBILE (4) - Come nei classici romanzi d’appendice, il racconto proseguirà fintanto che i lettori ne saranno interessati…

Creato il 04 aprile 2013 da Ciro_pastore

LA CITTÀ INVISIBILE (4) - Come nei classici romanzi d’appendice, il racconto proseguirà fintanto che i lettori ne saranno interessati… LA CITTÀ INVISIBILE (4) Come nei classici romanzi d’appendice, il racconto proseguirà fintanto che i lettori ne saranno interessati…
Da qualche tempo a Diarcopolis, nell’ultimo disperato tentativo di risanarne le esangui finanze, era giunto il Gran Ciambellano Petrus De Vox, spedito, in quella impoverita città, da eminenti figure del fantomatico Central Staat. Il Central Staat un tempo aveva avuto il controllo totale delle finanze di Diarcopolis che, in fondo, era stata sottoposta ad una sorta di suo protettorato politico ed economico. Diarcopolis, infatti, pur avendo sempre avuto, fin dalla notte dei tempi, una sua struttura governativa ed amministrativa, per un lungo periodo aveva subito l’influenza egemone del Central Staat, da cui Diarcopolis si era sottratta, ma con i risultati che tutti conoscevano. Ora, di fronte all’imminente tracollo di Diarcopolis, i governanti del Central Staat, avevano pensato bene di restaurare il vecchio protettorato, mettendola nuovamente sotto tutela. Fu così che il Gran Ciambellano aveva ricevuto l’incarico di verificare l’entità del buco finanziario e la veridicità della sua composizione. Molti, infatti, erano i dubbi sulle modalità con cui l’enorme debito si era formato ed altrettante erano le perplessità su quanti fossero realmente i debiti stessi.
Re Polonio e la Principessa Valentina, loro malgrado, erano costretti a collaborare con il Gran Ciambellano De Vox che, peraltro, era uomo dai modi affabili e dalla asseverata competenza tecnica. Quello che era certo, però, è che il Central Staat lo aveva incaricato di essere severo, o quanto meno di darne l’impressione. Il salvataggio, quelli di Diarcopolis, dovevano meritarselo: occorreva fargli capire che quella era l’ultima chance che gli veniva offerta.
Ovviamente, Sindacans e burocrati temevano che l’operato del Gran Ciambellano facesse emergere qualche loro “marachella” del lontano e del recente passato. Non sempre, infatti, le loro scelte erano state improntate all’esclusivo ìnteresse del Regno di Diarcopolis. Spesso, troppo spesso forse, sia i burocrati dalla doppia faccia che i leaders dei Sindacans dal triplo volto, avevano allegramente gestito le sorti di Diarcopolis, stringendo amorevoli rapporti con il grande gruppo dei commercianti ed artigiani che fornivano i loro preziosi servigi, non sempre indispensabili alla sopravvivenza di Diarcopolis. Nel tempo, infatti, si era formata una temibile casta di mercanti che, come scritto nei Vangeli, purtroppo, erano dediti a “profanare il tempio”. Era una vera e propria casta che conosceva tutte le regole, scritte e non scritte, del Palazzo. Per loro, nonostante non ne avessero ufficialmente il permesso, le porte del Palazzo erano sempre aperte ed erano così autorizzati a scorrazzare in lungo e in largo nelle stanze di Versoil. La loro presenza era costante e tutto ciò contribuiva a creare uno strano clima di amichevole compartecipazione alle scelte dei burocrati, a cui, spesso e volentieri, si accompagnava una interessata finta distrazione dei capi dei Sindacans.
Questo era lo scenario in cui era venuto ad essere catapultato il Gran Ciambellano De Vox che non sembrava possedere gli strumenti interpretativi e, soprattutto, investigativi per dipanare una matassa così intricata. Tutto lasciava presagire, così, che assolto solo formalmente al suo ingrato compito, se ne ritornasse a continuare il suo antico lavoro nella struttura del Central Staat. Gli sarebbe bastato, infatti, mettere in atto qualche innocuo taglio ai debiti pregressi, magari provvedere a qualche sforbiciatina sulle spese future. Insomma, niente di veramente rivoluzionario. Anzi no, qualcosa di rivoluzionario forse lo avrebbe propostp: una decisa e consistente riduzione dei costi relativi al personale di basso livello che si occupava di far funzionare la ferrovia fantasma di Diarcopolis. Ricordate? Quegli omini stanchi, delusi, amareggiati, che già avevano fino ad allora sopportato buona parte dei sacrifici fatti per raddrizzare la situazione.
Gli “omini”, così li chiamavano con malcelato disprezzo sia i burocrati che i capi Sindacans, erano più depressi che mai. Tutto era sulle loro spalle e tutti sembravano indicarli come gli unici colpevoli dello sfacelo. Unica loro speranza erano proprio i diarchi. Re Polonio e la Principessa Valentina, erano gli unici potenti ad esser costretti, loro malgrado forse, a fare qualcosa per gli “omini”. I due diarchi, infatti, sapevano bene che Diarcopolis non poteva esistere senza gli “omini”. Neppure il salvataggio finanziario voluto dal Central Staat poteva evitare la fine ingloriosa di Diarcopolis, se questo salvataggio doveva essere basato sul solo sacrificio degli “omini”. I due diarchi erano costretti dalla natura stessa di Diarcopolis ad essere paladini di quegli esserini smunti e smagriti che si aggiravano sempre più smarriti e denutriti fra le macerie invisibili di quella che fu la città delle ferrovie. (continua?)
Il Signore degli Agnelli

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