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La città verticale – Osvaldo Piliego

Creato il 22 gennaio 2016 da Temperamente

Devastante. La città verticale di Osvaldo Piliego è un romanzo devastante. Va bene accendere i riflettori sulle periferie, le miserie di chi le abita, l’effetto calamita di Maria De Filippi e i suoi programmi, il sottomondo che si muove all’insaputa di tutti (o molti). Va bene anche se la città nella cui pancia tutto ha vita è Lecce, meta di un sacco di turisti, che ne colgono solo il meglio. Va bene non fare i perbenisti e usare un linguaggio forte e descrivere certe scene con spirito pasoliniano.

Ho accettato il passaggio dei punti di vista, tra i mini-capitoli, da un personaggio all’altro, le cui storie si rivelano pian piano, e ho sottolineato piccole schegge di filosofie di vita che non mi appartengono (ma “giova” alla flessibilità mentale, ché troppe conferme dei propri pensieri possono indurre a una chiusura).

La città verticale è un condominio incredibile, che si tiene in piedi grazie ad un tacito patto di insana solidarietà (o forse l’unica forma possibile); una trama di accordi mai proferiti, di vite incastrate.

Ma, devo ammetterlo, mi è costata fatica andare fino in fondo. O meglio, entrare in quegli appartamenti che accoglievano festini, sapere delle vite disordinate (e certamente disperate) dei personaggi, chiudere le porte di certe camere da letto per starci dentro, rimanere in alcuni sogni, scendere negli scantinati, respirare certi odori e poi salire sul terrazzo.

Viviamo in una società complessa, che cerca semplificazioni e vie d’uscita (quando non di fuga), in cui i corpi sono santuari svuotati di ogni sacralità; l’alcol il fumo e la droga sono gli amici che non deludono e con cui partire quando si vuole, quando si è soli e si ha bisogno di compagnia o semplicemente di qualcosa che tolga spazio al vuoto; gli scandali restano nel silenzio di una confessione (e/o di un confessore) e “gli Altri” sono i burattinai che muovono i destini di chi cerca di combatterli ma ne resta soggiogato. C’è bisogno di agire con interventi e offrire alternative, perché se la cultura “non dà a mangiare” la disperazione finirà per mangiare sogni di salvezza, desideri di riscatto e tutto verrà inghiottito.

Se la bellezza si nasconde anche tra la nefandezza ed è possibile riconoscere uno scorcio di leggerezza e meraviglia, resta il fatto che la brutalità – scelta o riflessa – non lascia scampo. E l’ecatombe è l’unica soluzione possibile. O almeno così è stato per la città verticale.

Sono rimasta con il naso arricciato e le labbra interrogative quando sono giunta al vertice e al limite ultimo della città verticale. Forse perché non c’è stato proprio un limite.

Osvaldo Piliego, La città verticale, Lupo Edizioni 2015, pp. 241, 15 euro


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