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La conversazione

Da Nicolapasa
Esercizio di stile Ovvero come scrivere qualcosa che non vuol dire nulla ma scriverla bene Mio padre era solito cominciare la conversazione riprendendola dalla fine di un pensiero che egli era andato costruendo dentro di sé e si era modulato in un vivace e asfittico dibattito nella sua mente vizza e antiquata. Non c'è di che pensare… diceva a volte o ho quest'idea così perché è così e così… oppure per questi motivi deduco che non ne caviamo un ragno dal buco… La nostra casa non era nient'altro che un interstizio tra due palazzi governativi. Uno era il palazzo dove una volta aveva sede il ministero per cui aveva lavorato mio padre e dove aveva conosciuto mia madre. Era come se una scatola fosse precipitata tra i due alti muri scuri e lisci e levigati e neri come ebano. Stavamo su tre piani, uno sulla testa dell'altro. Tre scatolette una sopra l'altra. Mia madre è morta. Non c'è di che dire della strana e perniciosa tendenza che sviluppò mio padre giusto all'indomani della chiusura del ministero e della sopraggiunta, prematura, morte di sua moglie la madre del suo unico figlio che poi sarei io. Il rito funereo della conversazione si svolgeva sempre alla stessa ora nello stesso giorno nello stesso punto in quell'interstizio originato da una complessa convergenza di spazio e tempo e opportunità. L'ufficio per cui e in cui lavorava mio padre, i trascorsi anni della sua giovinezza triste era annidato al settimo piano dell'edificio che sovrasta tutt'ora incolume e derelitto, come un vecchio in perenne digressione dalla morte, prossima all'orizzonte, ma attardata in qualche annoso ufficio, la nostra catapecchia impilata nell'interstizio spaziotemporale tra i due edifici governativi. a tarda sera cominciai a riflettere sull'importanza del tempo, diceva mio padre rincasando frettolosamente, ansioso di riprendere la conversazione laddove il giorno prima, come il giorno dopo, era stata sospesa volo di una mosca a mezz'aria intrappolata in una bolla d'aria inazzurrata di cenere, cerchi di bottiglia nell'aere immoto, luce diffusa da piccoli fori esagonali al di sopra della finestra oscurata, vetri opachi di noia e polvere, resti di insetti morti sul davanzale, rumore di pioggia al di là del vetro, la sera incupiva lenta non che non ci avessi mai riflettuto prima, ma alla nostra età la riflessione acquista un senso più proprio al termine, riflessione leggo dal vocabolario bla bla è un oggetto deviato dalla sua traiettoria originaria da una superficie di qualsivoglia natura sbadiglio retroattivamente (mentre) sorseggio un liquore a base di zucchero e mele, la sporca luce della sera illumina un polpaccio nudo, calzino a mezz'asta, il livore ha un sapore incerto superficie è l'esperienza dura sedimentata su cui il pensiero cozza e devia assumendo contorni e forme nuove e inaspettate,

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