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La Corea del Nord nelle maglie del cyber-space globale: l’instabile equilibrio tra repressione interna e rapporti internazionali

Creato il 05 febbraio 2015 da Bloglobal @bloglobal_opi

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di Matteo Antonio Napolitano

Nell’alveo della contemporaneità, il fitto intreccio delle sfide globali “tradizionali” si interseca irrimediabilmente con le dinamiche legate alla nuova geografia della comunicazione, coinvolgendo in profondità l’ambiente delle Relazioni Internazionali e portando i suoi attori a confrontarsi su un terreno invisibile, ma al contempo denso di significati strategici.

La Corea del Nord occupa, nel contesto del multiforme cyber-space asiatico, una posizione di assoluta particolarità, ricca di complesse sfaccettature e di controversi sviluppi. Per effetto di risonanza con la generale condizione del macrocosmo sociale nordcoreano, anche lo spazio concettuale della rete risente delle pesanti restrizioni di quella che è stata definita la nazione più opaca e oppressa del mondo [1], guidata dall’ennesimo leader facente parte della dinastia dei Kim, Kim Jong-un, e sempre attiva nella sistematica repressione d’ogni tentativo di emancipazione.

Nonostante la Costituzione, più volte emendata negli anni compresi tra il 1972 e il 2012 e strettamente legata agli equilibri politici di vertice, contenga disposizioni normative concernenti la libertà d’espressione e d’associazione e la tutela dei diritti umani [2], queste, pur rimanendo valide sul piano strettamente formale, appaiono, sul piano sostanziale, totalmente prive di significato. Paradossalmente, anziché fungere da supremo garante, la Carta costituzionale tutela il mantenimento del potere a livello elitario poiché, assicurando perpetuità agli strumenti propagandistici, sancisce la superiorità del sistema statale sugli interessi e le prerogative degli individui [3]. È in questo framework, autoritario e accentrato, che si inserisce anche la regolamentazione del cyber-space.

Le redini sistemiche, riferimento primario del capillare coordinamento politico, vengono tenute sotto controllo dal Korea Computer Center, il principale centro di ricerca governativo sull’Information Technology, fondato nel 1990 e sviluppatore, tra le molteplici attività, di Red Star OS, un sistema operativo basato su Linux che dispone di un browser Mozilla Firefox modificato, chiamato Naenara, utilizzato per navigare sull’omonimo portale web della rete intranet nordcoreana, conosciuta come Kwangmyong. Malgrado, ancora oggi, sia poco diffuso l’utilizzo del personal computer in contesti casalinghi, questa rete locale, riservata a un bacino di user interni comprendente scuole elitarie, alcune istituzioni legate al mondo della ricerca, imprese e cittadini e resa disponibile da parte dello Stato proprio per ovviare alla pericolosità della possibile interconnessione su scala mondiale degli utenti Internet, prevede la possibilità di usufruire di un servizio e-mail e di avere accesso a selezionate informazioni provenienti dal World Wide Web. Come conseguenza diretta di quest’ultima previsione, alcune università hanno iniziato ad utilizzare dei software open-source [4], aprendosi a più avanzate possibilità tecnologiche.

Dalle osservazioni fatte, si possono chiaramente dedurre le modalità con cui gran parte della popolazione sottoposta a Pyongyang venga tenuta fuori dalle “insidie” del Web. Sebbene le fonti specifiche in merito al monitoraggio della rete risultino essere quantitativamente esigue e, fatta salva qualche rara, prudente, ma non meno importante apertura, quasi del tutto occidentocentriche [5], analizzando nel profondo l’allarmante quadro emergente dalla documentazione reperibile è agevolmente riscontrabile la misura del limite d’accesso a internet, riservato esclusivamente a ufficiali di alto rango, a un ristretto numero di studenti universitari e ad altre élite scrupolosamente selezionate dalle massime autorità della capitale.

Implicazioni sul piano dei rapporti internazionali

Nell’ottobre del 2010, in occasione del sessantacinquesimo anniversario della nascita del Partito dei Lavoratori di Corea, lo stesso in cui Kim Jong-il dichiarò suo figlio unico successore alla guida del Partito, e di conseguenza del Paese, alcuni giornalisti stranieri vennero chiamati ad assistere all’evento. In quell’occasione, tramite delle singole postazioni installate in una sala stampa allestita presso l’Hotel Koryo di Pyongyang, si ebbe la prima connessione completa a internet dalla Corea del Nord. Questo evento, senza precedenti nella storia nordcoreana, fu importante poiché, nella sua singolarità, segnò irrimediabilmente i successivi passi [6].

A dispetto della chiusura interna e dei blocchi perpetrati nei confronti dei netizen nordcoreani, da quel momento, la presenza online dei media ufficiali della capitale è notevolmente aumentata. Dalle connessioni effettuate tramite dei server foreign-based, si passò a domini “dot-kp” gestiti da server operanti nel network della Star JV, una joint-venture tra il governo della Corea del Nord e la società thailandese Loxley Pacific [7].

In aggiunta ai siti filo-governativi lanciati dal nuovo corso inaugurato nel 2010 – si pensi, a titolo di esempio, al sito dell’Agenzia di stampa KCNA (Korea Central News Agency), il primo in assoluto ad esser stato lanciato, o al sito del Rodong Sinmun, il quotidiano legato al Partito dei Lavoratori –, il regime decise di creare, utilizzando lo user name “Uriminzokkiri” (“La Nostra Nazione” in lingua coreana), un account ufficiale su ognuno dei maggiori social network presenti in Rete: Twitter, YouTube e Facebook. Relativamente a quest’ultimo, un account con il nome sopra indicato era stato cancellato nell’agosto del 2010, salvo apparire sotto una nuova veste poco tempo dopo.

L’ingresso dirompente nel tentacolare universo dei social network, unitamente alla svolta avutasi con la prima connessione completa, ha alla base delle motivazioni poste su almeno due livelli: uno ideologico-propagandistico e l’altro più strettamente strategico. Per ciò che concerne il primo livello, vista la sua particolare nebulosità, si può banalmente parlare di “occupazione” di spazi utili, da un lato, per ostentare all’interno in maniera maniacale le virtù del giovane leader, dall’altro, per fornire all’esterno un’immagine edulcorata dei motivi ideologici posti a fondamento delle decisioni in ambito politico. Per quanto riguarda, invece, il secondo livello, il discorso assume, in dimensione strategica e con il complessificarsi degli sviluppi relazionali legati al contesto cyber, delle caratteristiche decisamente più critiche.

Dal momento in cui le massime autorità di Pyongyang decisero, ferme restando le dovute cautele, di aprire il loro spettro d’azione al cyber-space, per effetto di riflessione vennero insignite del connotato “virtuale” anche le classiche tensioni caratterizzanti i rapporti internazionali del black hole asiatico con la Corea del Sud, in primo luogo, e con gli Stati Uniti d’America.

Nonostante sussistano delle marcate differenze tra le due Coree, i rapporti odierni, sempre molto tesi per via sia delle provocazioni militari promosse dalla Corea del Nord sia del dilemma sicurezza in Corea del Sud, sono il risultato di una continua influenza reciproca. Questa influenza, come ovvio, non può non riguardare il cyber-space. A fronte della Sunshine Policy e dei tentativi di distensione, portati avanti grazie all’impulso del Presidente Premio Nobel per la pace sudcoreano Kim Dae-jung e dei suoi successori fino al 2008, il progresso tecnologico e le possibilità legate allo sviluppo di internet hanno condotto lo scontro tra i due Paesi verso una nuova dimensione. Le conseguenze di questa novità, iniziarono ad intravedersi quando, nel 2010, si ebbero le prime percezioni sulla “connessione” nordcoreana. In quel frangente specifico, non si poté fare a meno di notare come, per fronteggiare l’avanzata della Nord Corea, soprattutto sui social network, le autorità di Seul optarono per una chiusura verso l’esterno, cadendo in una paradossale contraddizione. Per questo specifico motivo, se da una parte continuò a sussistere l’immagine radiosa di Paese tecnologicamente avanzato e dalle grandi prospettive, dall’altra, si fece più oscura quella autoritaria, la stessa che, per motivi di difesa, impedì ai cittadini sudcoreani di accedere ai siti del Nord e bloccò le discussioni in merito alle vicende riguardanti la realtà di Pyongyang [8].

Nello stesso esplosivo binomio provocazione-esigenza di sicurezza, originato specificatamente da quanto sopra esposto, è possibile inquadrare anche gli eventi più recenti, nello specifico, il presunto coinvolgimento di hacker nordcoreani nell’attacco del dicembre 2014 al sistema informatico della KHNP (Korea Hydro and Nuclear Power Company), azienda leader del settore nucleare e idroelettrico in Corea del Sud. Questo attacco, probabilmente non inerente alla rinomata intransigenza nordcoreana nei riguardi del suo programma nucleare, riporta al centro del dibattito una questione di fondamentale importanza: il bisogno di una forte “cooperazione nella regione del Nord-Est Asiatico”, idonea a fronteggiare sia i problemi relativi alla cyber security che gli intricati nodi della nuclear security. Negli ultimi anni, gli sforzi della Corea del Sud in questo senso sono stati degni di nota. Sebbene, dopo alcuni tentativi di coinvolgimento, persista la resistenza a trattare da parte della Corea del Nord, l’iniziativa NAPCI (Northeast Asia Peace and Cooperation Initiative) [9], promossa dalle autorità di Seoul, ha messo chiaramente in evidenza la debolezza dei singoli Stati di fronte alle grandi opportunità presenti in quest’area e sensibilizzato la comunità internazionale nei riguardi della problematica volatilità regionale in settori-chiave per lo sviluppo, suscitando il particolare interesse del Giappone e della Cina e facendo leva sul potenziale pivotal role degli USA.

È proprio nel solco tracciato dall’ingente e generale questione della sicurezza nel Nord-est Asiatico che si inseriscono anche i rapporti tra gli Stati Uniti e la Corea del Nord, specialmente riguardo le questioni derivanti dalle ultimissime minacce alla cyber security arrivate da Oriente.

Dopo gli attacchi hacker del gruppo The Guardians of Peace ai danni della Sony del dicembre 2014, in risposta alla produzione e distribuzione del film The Interview, e le relative sanzioni statunitensi contro Pyongyang, comprendenti una serie di durissimi attacchi contro individui e aziende nordcoreane, intelligence compresa, le tensioni tra i due Paesi hanno subito una forte acutizzazione, suscitando numerose polemiche sia in ambienti istituzionali che in ambienti maggiormente informali. A dispetto del fatto che, almeno nella fase iniziale di tutta la vicenda, l’offensiva fosse vista come mero atto di vandalismo informatico e non come atto di guerra, i mutati equilibri derivati dalla decisa e repentina risposta di Washington fanno propendere per la considerazione esattamente contraria.

La prudenza di Obama e la guardia difensiva degli Stati Uniti, in ogni caso, restano alte. La consapevolezza dei solidi rapporti bilaterali con le massime autorità di Seoul, i legami strategici multilaterali nel Nord-Est asiatico e le delicate relazioni politico-economiche mantenute con la Cina, costituiscono delle basi importanti per l’impostazione sia dei legami, sia dei confronti più diretti con la Corea del Nord. Per questi motivi, l’attenzione posta dal presidente Obama sulla sicurezza informatica in occasione del discorso sullo stato dell’Unione del 21 gennaio 2015, quando ha commentato «se non agiamo, la nostra nazione e la nostra economia saranno più vulnerabili», e la successiva accortezza mantenuta durante l’incontro con i creatori di YouTube alla Casa Bianca [10], in cui è stato menzionato il ruolo di internet (piuttosto che quello degli eserciti) nella lotta contro il regime di Kim Jong-un, lasciano intravedere, da una parte, lo stato di confusione relazionale dato dal poco limpido isolamento nordcoreano, dall’altra, il timore di scatenare un conflitto armato che inevitabilmente colpirebbe in modo deleterio i partner degli Stati Uniti nell’area interessata. Le insidie legate agli armamenti nucleari nordcoreani, voce di spesa perennemente in attivo nei bilanci di Pyongyang, restano sempre vive.

Dalle complesse questioni emerse nel corso della trattazione, è possibile comprendere alcuni dei motivi per cui le sfide globali non potranno più trascendere l’estensione virtuale dei loro intrinseci sviluppi. Con l’ingresso dirompente del cyber-space nel campo delle relazioni tra Stati, la competizione internazionale ha trovato una sua inedita spazialità, contraddittoria, insidiosa, ma ancora fertile. La via del prossimo futuro, non solo per la Corea del Nord e per il Nord-Est Asiatico, passa anche da qui.

* Matteo Antonio Napolitano è Dottore in Relazioni Internazionali presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”    



[1] B. ROGERS, North Korea in the dark, in “The New York Times”, January 28, 2013.

[2] Le disposizioni in questione sono contenute negli artt. 8 e 67. Il testo della Costituzione è consultabile online, in lingua inglese e in lingua coreana, all’indirizzo: http://www.naenara.com.kp/en/great/constitution.php?1.

[3] Cfr. DAE-KYU YOON, The Constitution of North Korea: Its Changes and Implications, in “Fordham International Law Journal”, Vol. 27, Issue 4, Article 2, 2003, p. 1304.

[4] Cfr. Voce “North Korea” in “Internet enemies” di Reporters Without Borders all’indirizzo: http://en.rsf.org/north-korea-11-03-2011,39755.html.

[5] Le fonti utilizzate, oltre agli articoli sull’argomento pubblicati dalle maggiori testate a livello mondiale, sono principalmente: i “Country Reports on Human Rights Practices” del Dipartimento di Stato degli USA, i Report della Freedom House, le pubblicazioni del “Berkman Center for Internet & Society” dell’Università di Harvard, gli aggiornamenti di “northkoreatech.org”, diretto dalla preziosa esperienza di Martyn Williams, e i monitoraggi delle più autorevoli Organizzazioni Internazionali e ONG.

[6] Cfr. Pagina dedicata alla Corea del Nord sul sito freedomhouse.org relativa all’anno 2011, consultabile all’indirizzo: https://freedomhouse.org/report/freedom-press/2011/north-korea#.VMZVTv6G8a0 e il già citato riferimento alla voce “North Korea” sul sito di RWB.

[7] M. WILLIAMS, North Korea’s Internet Domain Is in New Hands, in “PC World”, May 19, 2011.    

[8] Cfr. ONI Country Profile: South Korea, in R. DEIBERT, J. PALFREY, R. ROHOZINSKI, J. ZITTRAIN (edited by), Access Contested. Security, Identity, and Resistance in Asian Cyberspace, Cambridge – London, MIT Press, 2012, p. 351.

[9] Cfr. MOFA Republic of Korea, North East Asia Peace and Cooperation Initiative, 2013.

[10] Cfr. M. WILLIAMS, Obama says Internet could bring down Kim regime, January 26, 2015.

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