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La costruzione di una grotta per Nuestra Senora de Guadalupe

Da Marialuisapesce @marialuisapesce

Quindici anni fa trasferii le migliaia di libri e scritti in una casetta azzurra. Dal punto di vista di certi "moderni" c'è un modo rapido e infallibile per diventare di punto in bianco una sorta di "eccentrica" in un qualunque quartiere sempre più "per bene" del deserto Sudovest del Pese... ed è creare una cappela per la Nuestra Senora de Guadalupe secondo l'antica, venerabile tradizione...e cioè interrando per metà, in verticale, nel proprio giardino, una vecchia vasca da bagno... e collocando sotto l'arco formato dalla vasca una bella statuetta della Guadalupe, per poi piantare qualche fiorellino laddove finisce la porcellana e inizia la terra.[...]Ora mi serviva soltanto un'anima volenterosa dai muscoli forti che mi aiutasse a scavare là, in quella terra ostinata, una buca profonda più di un metro per collocarci, in piedi, una vasca di due metri. Da "vecchia credente" fiduciosa che quando siamo in cerca di una cosa buona e giusta essa ci viene incontro, pregai perchè l'anima giusta inciampasse sul mio cammino e trovasse mi guadalupe e me.
Mi ritrovai ben presto faccia a faccia con un tizio ubriaco che disse di aver sentito in giro che stavo "cercando qualcuno per costruire qualcosa".
Esitante gli mostrai i miei disegni e lui si vantò di essere il tipo giusto, "tutto muscoi e buona voglia", che ci voleva per costruire, da una vasca, una grotta per la Guadalupe. Quell'uomo malfermo sulle gambe avrà avuto al msssimo quarantacinque anni, benchè ne dimostrasse novecento: aveva un colorito smorto, capelli sporchi, e una barba incolta con peli grigi e marroni che sbucavano dappertutto.

E come tutti quelli che per un certo periodo della loro vita sono stati borrachos, alcolisti cronici, quando, più avanti negli anni, sono ancora forti bevitori, trasudava da tutti i pori quell'odore stantio del "giorno prima".[...]

Si vedeva che aveva bevuto di tutto: pulque, tequila, rum, cicchetti, grappini, birra a fiumi.

Ma l'ubriaco giunse anche provvisto di una raccomandazione di qualcuno di cui mi fidavo su questa Terra... e con una raccomandazione di qualcuno di cui mi fidavo in Cielo... lei, che nel mio cuore sussurrava: "Sì, è questo l'uomo che ti ho inviato."

E così, a testa bassa e un pò perplessa, dissi di sì. Anche se era difficile immaginare una collaborazione meno promettente. Eppure sembrava esserci anche dell'altro...

L'uomo imbattutosi nella mia vita era un muratore, di mestiere, e un'anima che aveva trascorso l'infanzia in istituti che gli avevano fracassato le ossa dello spirito, lasciandolo come morto.

Si vedeva che era forte fisicamente, dalla cintola in su, grazie ad una vita passata a trasportare mattoni, stendere intonaco e lavorare di filo a piombo a regola d'arte.

Però una delle sue gambe era quella di un uomo forte, ma l'altra... era la gamba di un ragazzo, gracilissima, con una caviglia da bambino.

Poliomelite. Se la trascinava dietro zoppicando a ogni passo.

A otto anni i suoi genitori, gente dalla vita difficile, lo aveva lasciato davanti alle porte di un istituto per poliomelitici. Non erano più tornati. Mollato là per anni in affido, poi sganciato e riappeso in vari orfanotrofi, il piccolo sopravvissuto alla polio divenne uno di quei ragazzini che sotto la branda tenevano la birra, l'unica madre su cui molti di loro potessero contare per far passare le lunghe notti.


E queste erano le storie arteriose che il muratore aveva dentro quando giunse da me zoppicando, gli occhi annebbiati cerchiati di rosso, puzzolente, farfugliante, malfermo... e in qualche modo radioso.

Sul serio, radioso. Chiunque avesse occhi per vedere, avrebbe notato che c'era ancora qualcosa, nel suo buio, laggiù nel profondo, dentro di lui... una piccola candela accesa che tremolava al vento.

Proseguimmo.

Mano mano che gli raccontavo storie sulla Guadalupe, la Nostra Madre Benedetta, i nostri appuntamenti passarono dall'incontrarsi al bancone scrostato del var a un tavolino dal logoro ripiano di quercia giallino.

Mi resi conto che a favorire quel piccolo progresso, dal solo bere al cibo vero e proprio, era il parlare della Senora, la Guadalupe.

E il suo goffo e non indolore ri-cenrarsi in un cuore più santo, più grande di un cuore umano, proseguì con il progredire del nostro progetto. Gradualmente.

Gli raccontai la storia di Nostra Signora sulla collina di Teperac, di come lei scelse di apparire al piccolo Don Diego. Alla descrizione del piccolo fragile indio, le orecchie del muratore si drizzarono. e restarono dritte. Si vedeva che dentro di lui qualche cosa era in ascolto.

Gli raccontai di come quel piccolo dolce indio fosse stato testimone di inenarrabili orrori e tuttavia in qualche modo fosse riuscito a sopravvivere con un cuore intatto. [...]

Come presi ad accennare alle storie legate alla mistica della Guadalupe, il muratore assunse l'autentca espressione di un bambino, anzichè quella dell'orso maltrattanto di un circo.

Gli spiegai come non agli uomini d'oro lei scelse di apparire , ma a lui che rappresentava la gente che lei ha più a cuore: quella in qualche modo abbandonata, quella comunque sia non amata, gli "intoccabili".

Il muratore intanto, chinando il capo, aveva fatto come a volte fanno gli uomini quando dalle loro vecchie fosse ancestrali sentono salire le lacrime... inforcano gli occhiali da sole anche se sono in casa e si stringono il naso con due dita, lassù tra gli occhi, come stessero meditando chissà che profondi pensieri, mentre in realtà dentro stanno piangendo. Forte.

E così il progetto della grotta crebbe e crebbe.

Non c'è altro modo per dirlo che chiaro e tondo: il muratore, verso la metà dei lavori per la grotta, smise di bere.

Così, di punto in bianco.

Non ci fu nessun "intervento", nessun affidamento a una comunità di recupero, che pure lo avrebbe aiutato molto, se ci fosse andato anni prima. Gli avevo parlato pacatamente una sera; gli avevo detto che sentivo una fitta al cuore nel vedere la sua gran bellezza e creatività così profondamnete ottenebrate dall'alcool.

Questo solo per fargli capire che era amato, notato, benvoluto da qualcuno che si interessava a lui.

Ma il resto, il come e il perchè... è mistero, come dicevano delle cose spiritualmente incomprensibili le mie care "folli in nero" (le nostre suore).[...]

Questo fu uno dei messaggi più chiari della Guadalupe.[...]

China sulle nostre ferite e ossa rotte spirituali, lei ci esorta a smettere di crederci soli nelle prove che affrontiamo... quando invece lei è sempre con noi, e possiamo sempre correre da lei, sempre nasconderci sotto il suo manto inviolato, sempre farci guidare dalla sua saggezza tanto duramente conquistata... perchè anche lei sopportò miracoli e sofferenze in vita sua, e perse tuttò ciò che la sua anima aveva di più prezioso nel mondo ottenebrato dall'umana stoltezza, debolezza, fragilità di spirito...

Eppure è ancora qua, radiosa di luce, Vaso di Sapienza Eternamente Diffusa, a esortarci di ricordare che per invocarla non c'è nulla di complesso da fare: basta chiamarla con quel nome del cuore inscritto nell'anima di ognuno di noi prima di inviarci sulla Terra, quell'unica parola che ciascuno di noi conosceva bene prima di sapersi nutrire e reggere in piedi da solo... la Primissima Parola scritta nei cuori di tutta l'umanità di tutto il pianeta:

Madre

Tratto da Forte è la Donna, di Clarissa Pinkola Estes, Frassinelli Editore 2011


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