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La crisi d’identità dei Denver Nuggets

Creato il 15 novembre 2013 da Basketcaffe @basketcaffe

L’inizio di nuova stagione NBA porta sul tavolo del tifoso-analista ben trenta film, uno per ognuna delle trenta franchigie. All’inizio del film si hanno informazioni solo sugli attori protagonisti e sui rumors che ne hanno accompagnato “l’uscita”. Tutto il resto va analizzato durante la proiezione. Il lungometraggio che racconta la storia dei Denver Nuggets versione 2013 si può senza alcun dubbio classificare nella categoria “dramma“.
Riferimenti cinematografici a parte, la franchigia del Colorado appare in evidente difficoltà in questo inizio di stagione, ed i tanti cambiamenti che hanno investito la squadra ne sono essenzialmente la causa.
Ha pesato in maniera sostanziale innanzitutto il cambio in panchina con l’arrivo di Brian Shaw al posto di George Karl e nelle “basketball operations” con il GM Masai Ujiri sostituito da Tim Conelly.

I motivi della separazione con Geroge Karl non sono di dominio pubblico e quindi è solo possibile abbozzare qualche ipotesi, magari in riferimento alle quattro eliminazioni consecutive al primo turno dei playoffs ma anche al mancato rinnovo di contratto del coach, arrivato alla sua ultima stagione in Colorado. Sull’abbandono di Ujiri se ne sa ancora meno e nonostante il feedback positivo ricevuto nella maxi-trade che portò Carmelo Anthony nella Grande Mela, il rinnovo contrattuale di Nenè da 65M$ nel Dicembre 2011 (per poi essere spedito a Washington tre mesi più tardi) e la scelta di puntare tutto sulla crescita di JaVale McGee potrebbero aver incrinato i rapporti del GM con la dirigenza Nuggets.

Ma il vero problema dei Nuggets, più che a livello di strategia societaria è sul campo: la nomina di Brian Shaw come capo allenatore (in aggiunta ai tanti infortuni nei ruoli chiave) si riflettono sulle statistiche in campo, che non lasciano adito a dubbi circa l’involuzione di gioco di Denver.

Statistiche salienti dei Denver Nuggets

 
A corredo di tali statistiche va poi evidenziato come una delle squadre più brillanti per gioco offensivo (la scorsa stagione viaggiava a 106 punti di media a partita) quest’anno sia diventata molto meno produttiva (100.4 punti a partita) con soli tre uomini in doppia cifra di media (contro i sei dello scorso anno).

Le assenze di Danilo Gallinari e di Wilson Chandler alle prese con infortuni lunghi, in aggiunta alla partenza verso Golden State di Andre Iguodala (non adeguatamente sostituito dai Nuggets) possono in parte giustificare la difficoltà nel ritrovare il ritmo giusto. Tuttavia il tempo per poter rifiatare è ancora lontano e nelle prossime sette gare Denver affronterà tutte squadre con record positivo (due volte Minnesota e Dallas, poi Houston, Oklahoma City e Chicago) e le prospettive per Shaw e soci non sono affatto rosee.

In ultima analisi andranno chiarite alcune situazioni riguardanti sopratutto il settore lunghi: escludendo da tale discorso McGee (su cui la dirigenza sembra porre un’incrollabile fiducia) l’arrivo via free-agency di J.J. Hickson pare aver messo in discussione il futuro di Kenneth Faried (ci sono stati dei rumors di uno scambio con i Knicks in cambio di Iman Shumpert, che New York avrebbe rifiutato). E ci sarà anche da capire se i giocatori attualmente nel roster saranno quelli adatti al tipo di gioco che vuole dare Shaw, cresciuto a pane e Triple Post Offense sotto coach Jackson, e a pane e difesa da assistente di coach Vogel.

Fatte le dovute considerazioni una domanda importante resta sul tavolo: Denver è classificabile come squadra smantellata e da ricostruire o c’è ancora la speranza di rivedere i Nuggets tutta grinta e spettacolo ammirati l’anno scorso? La parola va al parquet.


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