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La crisi del “fattore K” in Argentina: anteprima di un nuovo possibile default

Creato il 15 aprile 2014 da Bloglobal @bloglobal_opi

La crisi del “fattore K” in Argentina: anteprima di un nuovo possibile default

di Francesco Trupia

In Argentina la vittoria del Frente Renovador di Sergio Massa alle scorse elezioni legislative di mid-term di ottobre ha impresso una pesante sconfitta all’attuale Presidente Cristina Kirchner. Dopo aver perso dodici dei ventiquattro distretti del Paese, tra cui i cinque densamente più popolati, la crisi economica ha diminuito le chances di riconferma per il terzo mandato consecutivo alla già ribattezzata politica del “fattore K”.

Durante gli ultimi mesi il Presidente argentino ha subìto un ulteriore ridimensionamento non solo sul piano politico. Per la coalizione governativa la sconfitta elettorale di ottobre ha condotto alla perdita di 2/3 dei parlamentari necessari per effettuare le auspicate modifiche costituzionali. Sul piano economico, invece, le proiezioni della Moody’s Corporation hanno bocciato l’operato della Kirchner e del Ministro dell’Economia Axel Kicillof. Sulla scia di quella gestazione economica indicizzata fin dalla fine del 2013, l’agenzia di rating ha declassato l’economia argentina dopo il crollo delle riserve straniere pari attualmente a 27,4 miliardi di dollari. Perdendo ben sette livelli nella scala dell’Investment Grade rispetto ad un anno addietro, l’Argentina ha visto i propri bond surclassati dall’agenzia statunitense che dalla posizione B3 a quella di Caa1, insieme a Paesi come Venezuela, Egitto, Ecuador, Pakistan e Cuba. Come durante gli anni dell’ultimo default finanziario, in cui la Federal Reserve Bank di New York organizzò un’azione di salvataggio dei principali hedge fund affinché venisse scongiurata una crisi finanziaria globale, l’instabilità di Buenos Aires viene avvertita da altre economie emergenti come Turchia, Russia, Sudafrica e Messico. Le dichiarazioni della Moody’s, intenta nell’esercizio del proprio diritto di libera manifestazione del proprio pensiero [1], al di là del giudizio di merito strettamente economico riportato sulla sua pagella, condanna inevitabilmente l’Argentina e milioni di suoi cittadini agli scenari del 2001.

In ambito finanziario la svalutazione del pesos rispetto al dollaro statunitense è passata da un rapporto di 8=1 all’attuale 13=1. Già macchiata dal fenomeno speculativo del Dólar blue (definito anche Dólar paralelo), sviluppatosi tra Brasile-Uruguay-Paraguay e capace di aumentare la forbice tra mercato nero con quello nazionale del 40%, la moneta nazionale ha perso negli ultimi mesi il 30% del suo valore, calcolando un tasso di svalutazione generale nel medio-periodo pari al 14%.

Appare evidente che le politiche intraprese dalla dinastia Kirchner, intrise di vecchio populismo peronista ed incentrate in rischiosi progetti di sviluppo economico-sociale, evidenziano un fallimento quasi totale. Sebbene la condotta politica del governo Kirchner riceveva ottimi voti per un bilancio dello Stato apparentemente in pareggio ed un’inflazione tenuta costantemente sotto controllo, non bisogna nascondere che l’economia argentina fosse costantemente viziata da un tasso di disoccupazione a due cifre (circa il 10%), mai sceso nell’ultimo decennio. Qualora fossero riconfermati i risultati delle scorse legislative nelle prossime elezioni nazionali di fine anno, il kirchnerismo lascerà agli argentini in eredità una società palesemente fratturata. L’economista Joseph Stiglitz, in tempi non sospetti, affermava che «se la coesione sociale è in grado di influire positivamente sui risultati economici è anche vero il contrario: politiche eccessivamente austere, siano esse politiche monetarie o fiscali di contrazione, come quelle condotte in Argentina, hanno tagliato i sussidi ai poveri, producendo prevedibilmente origine a disordini.» [2]

Alla fine del 2013 le manifestazioni di protesta sottolineavano un malcontento sociale legato soprattutto all’impossibilità sempre maggiore di accedere ai beni primari. Piuttosto che imporre una sfida per l’accesso al Primo Mondo, tale scenario costringe l’Argentina al baratro delle soglie terzomondiste. Da un paio di mesi, infatti, si assiste al costante aumento dei prezzi dei prodotti di base, con un andamento che gli analisti hanno previsto per il 2014 variare dal 35% al 40%. I tassi sulla recessione, disoccupazione e possibile default si traducono concretamente in saccheggi di numerosi negozi, nello stallo dell’attività privata, nella mancanza di compravendita straniera, nella perdita del potere d’acquisto e in un timore sempre più diffuso tra gli argentini. Il rischio di raggiungere i livelli del 2001, quando la metà della popolazione era al di sotto della soglia di povertà, appare oramai inevitabile.

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Il governo di Buenos Aires non ha potuto negare ciò che anche il popolo, vero indice dell’economia reale di qualsiasi Paese, afferma da tempo: la crescita del costo della vita avviene con percentuali doppie rispetto alle cifre propinate dal governo. Anche i dati sull’inflazione hanno subìto modifiche dopo che i dettami del Fondo Monetario Internazionale avevano imposto all’Argentina il cambio del sistema di monitoraggio dei prezzi, previa l’esclusione dal suo Istituto. Le statistiche non parlano più di un’inflazione sotto controllo all’11%, bensì di un tasso pari al 34,9%. Comparando tale dato statistico con quello del 2002, in cui il 40% dell’inflazione sentenziava il crollo del Paese, appare palese che il rischio default è più concreto di quanto si possa credere. Invero, incomprensibili appaiono le scelte dell’establishment della Kirchner che nelle proiezioni governative di gennaio aveva elargito un tasso fuorviante e non empiricamente vero. [3]

L’intervento del Fondo Monetario Internazionale, che si è detto pronto ad agire attraverso una strategia che possa risollevare la situazione, conferma la sconfitta di Cristina Kirchner all’interno di uno dei suoi campi di battaglia più favorevoli: la lotta alla finanza internazionale. La partita che il Presidente credeva di aver vinto si fondava sulla convinzione che proprio l’Istituto di Washington non rappresentasse, oggi come nel 2001, la giusta risposta al ripristino della crescita. Ricordando le fallimentari operazioni di salvataggio proprio dell’FMI, gli oppositori filogovernativi della finanza internazionale non appaiono convinti sulle strategie che potrebbero intraprendersi. Sebbene il possibile default sembri alle porte, l’FMI e la Banca Mondiale hanno confermato la possibile via d’uscita grazie alla creazione di un sistema bancario stabile e solido, che possa degnamente sostituirsi alle politiche di un kirchnerismo non più all’altezza e incapace di fornire una sana ripresa economica. L’unico rischio rimane quello sul piano politico: non ricreare un sistema di tagli alle spese ed aumenti delle imposte che aveva innescato nel 2002 una conflittualità sociale arginata solo con l’ingresso della legge marziale.

Inoltre, una possibile mancanza di crescita nel breve termine dovrà fare in modo di evitare che proprio il futuro sistema bancario auspicato dall’FMI e dalla Banca Mondiale conceda finanziamenti esclusivamente a multinazionali e grandi aziende, escludendo piccole imprese ed attività commerciali locali. Furono propri tali errori a consegnare l’Argentina nelle mani di governi provvisori ed inconcludenti dopo che l’ex Presidente Fernando de la Rúa fu costretto ad abdicare a causa dell’insopportabile instabilità.

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Con un tale scenario economico sembra segnata la fine della dinastia Kirchner. Dopo l’elezione di Néstor Kirchner nel 2003, deceduto in seguito nel 2010, la successiva doppia elezione al Congresso della moglie Cristina Fernández sembrava condurre l’Argentina verso un consolidamento del potere politico. Come per i coniugi Juan ed Evita Peròn, i Kirchner sembravano poter condurre il Paese sudamericano verso un’importante crescita sub-regionale ed internazionale. Ma nel trimestre appena concluso, la politica del “fattore K” non può nascondere una pericolosa deriva.

Lo scorso 2 marzo la Kirchner ha aperto la sessione del Congresso con un discorso di circa tre ore, seguito da migliaia di argentini nelle piazze principali di ogni città. Nell’incalzante monologo la rappresentante del governo ha voluto sottolineare come le sue politiche di re-industrializzazione, educazione scolastica, politica internazionale, lavoro e problema riguardante povertà ed emarginazione sociale, abbiano reso l’Argentina uno dei Paesi con i trend più positivi dell’intero Continente, compresi gli Stati Uniti d’America. Nonostante le forti affermazioni della Kirchner, che sottolineano l’ennesima condotta personalistica ed istrionica del suo governo, i dati ufficiali descrivono una situazione nazionale diametralmente opposta alle convinzioni espresse al Congresso. Dopo aver mentito sul tasso d’inflazione ed aver ceduto solo successivamente all’aut-aut dell’FMI, anche tali affermazioni appaiono l’ennesima montatura governativa.

Le nuove politiche del lavoro discusse al Congresso non riescono a nascondere i dati ufficiali sui salari, rinegoziati in crescita del 20-25% su base annua. La parallela svalutazione della moneta nazionale ha confermato che l’intero settore industriale si è costantemente mantenuto su valori nulli, subalterni agli interessi delle multinazionali internazionali. Infatti, pochi giorni addietro, Kicillof ha firmato l’indennizzo di cinque miliardi di dollari alla compagnia petrolifera spagnola Repsol dopo l’inutile esproprio del 51% da YPF nel biennio precedente. Dopo aver fatto “la voce grossa”, il governo di Buenos Aires rischia di essere condotto davanti la Commissione delle Nazioni Unite sul diritto commerciale internazionale se creerà dei conflitti sull’esecuzione del pagamento dell’indennizzo. Con l’assenza di crescita interna e con l’assenza di finanziatori esteri, è evidente che il prossimo pagamento dell’indennizzo ricadrà sulle fasce sociali già fortemente indebolite.

Quella che potrebbe essere rinominata come la Perestrojka del kirchnerismo non comprende solo il fallimento su un settore della politica argentina. Se il culto della personalità della Kirchner sfiorava i livelli visti in Venezuela per Chávez o a Cuba per Castro, soprattutto durante i duri attacchi all’Occidente ed alle sue condotte [4], l’inchiesta su “La via K del denaro” minerà irrimediabilmente l’immagine del governo. Nonostante l’ufficializzazione della festa provinciale a Santa Cruz ogni 27 ottobre per ricordare la figura di Nestor Kirchner, l’attuale Presidente non ha potuto fermare lo scandalo che i giudici argentini hanno smascherato negli ultimi mesi. Proprio il marito dell’attuale Presidente, avrebbe creato durante il suo mandato un sistema corrotto di appalti pubblici capace di spostare ingenti capitali dalla sua provincia natale, quella di Santa Cruz, verso l’Uruguay e successivamente verso diversi paradisi fiscali svizzeri. Grazie ad un rapporto bancario giunto il mese scorso in Uruguay che attesta il passaggio di oltre sedici milioni di dollari all’Helvetic Service Group in Svizzera, le convinzioni dei giudici sul “Sistema K” sono state confermate.

L’analista indiano Parag Khanna, analizzando la situazione argentina, aveva affermato che «soltanto la buona volontà dell’intero Continente è in grado di salvare questa nazione che, un tempo, era la nazione leader dell’America Latina» [5]. Auspicando una ripresa economica apparentemente impossibile da ripristinare, che non riuscirebbe a salvare la Kirchner dalla sconfitta alle prossime elezioni, il ruolo regionale dell’Argentina appare subalterno all’interno dei blocchi economici del Mercosur e dell’Alleanza del Pacifico. L’intero Continente, a differenza di ciò che auspicava Khanna per l’Argentina, sembra andare ad una velocità di crescita doppia rispetto al passato.

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I rapporti tra Mercosur ed Unione Europea hanno repentinamente virato la propria direzione: dai piani di sviluppo agricolo in cui l’Argentina era il principale partner, sono gli investimenti di sviluppo energetico a dettare le future prospettive di crescita tra le due macroaree. La costruzione di un cavo sottomarino che colleghi Lisbona e Fortaleza, migliorando così il settore delle telecomunicazioni, è il progetto che avvicina maggiormente Brasilia a Bruxelles. All’interno del celebre gruppo ABC è quindi l’Argentina ad aver perso la sfida con il Brasile e il Cile per la corsa alla leadership all’interno dello stesso. Se il Brasile tende la mano all’Europa, lo sbocco sul Pacifico e le conseguenti relazioni con la Cina sono occupate dal trio Cile, Ecuador e Messico. Il Paese del neo-Presidente Michelle Bachelet, in crescita del 5,4% nel biennio 2014-2015, sposterà i propri rapporti commerciali sull’asse del Pacifico coordinando le attività con l’Ecuador e il Messico dell’ambizioso Peña Nieto.

Sebbene l’Argentina sia storicamente dipendente dall’export agricolo verso la Cina, la sterzata asiatica verso Pechino appare ormai impercorribile e – come nel 2001 – il Paese latinoamericano sembra non poter rifiutare le dipendenze economiche ed i massicci sussidi che Washington offrirà nei prossimi mesi.

* Francesco Trupia è Dottore in Politica e Relazioni Internazionali (Università di Catania)

[1] Sulle agenzie di rating si sono mosse forti critiche: quest’ultime, attraverso l’esercizio delle loro attività, possono condurre alla rovina milioni di persone, forse Stati interi, senza peraltro che la stessa agenzia di rating sia venga assoggettata a particolari obblighi ed ancor meno ad alcuna forma di responsabilità. Così in Mediterrean Journal of Human Rights, 2002, cit., pag. 134, 135.

[2] J. Stiglitz, La globalizzazione ed i suoi oppositori, 2002, Einaudi Editori, cit., pag. 224.

[3] Tale indice inflazionistico è il più alto di tutta l’America Latina. Subito dopo l’Argentina vi è il Venezuela, attraversato dalla sua ennesima crisi ciclica.

[4] L’ultima presa di posizione della Kirchner contro l’Occidente ha riguardato il referendum voltosi in Crimea. L’ufficializzazione dei risultati e la condanna degli Usa in merito allo stesso referendum definito illegittimo, la Kirchner ha sentenziato contro l’Occidente appellandosi al diritto dei popoli e alla loro autonoma e libera autodeterminazione.

[5] P. Khanna, I tre Imperi, 2009, Fazi Editore, cit., pag. 223.

[6] Per maggiori informazioni sul grafico: http://www.worldbank.org/en/publication/global-economic-prospects/data?variable=NYGDPMKTPKDZ&region=LAC

Photo credits: Diego Giudice/Bloomberg News

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