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La Dea della Transizione

Da Tmartino @pointlessmuse
La Dea della TransizioneMefitis, per gli Osci, deriva il suo nome forse da "medio-dluitis", donde "mefifitis" e quindi Mefitis, cioè "colei che fuma nel mezzo", oppure da "Medhu-io" cioè "colei che si inebria" o ancora - sembra con maggiore probabilità - "colei che sta nel mezzo" (cit. Torelli 1990).
Le si attribuiva il potere di fare da tramite, di presiedere al Passaggio, di personificare colei che presenzia ai dualismi come la vita e la morte, il giorno e la notte, il caldo ed il freddo, il regno dei vivi e l'oltretomba, ma anche come attestano due suoi epiteti "la terra" e "l'acqua" (Mefite Aravina da lat. "arvum", campo e Mefite Utiana, dal famoso "utur" delle Tavolae Eugubinae, dal gr. "ùdor", acqua)...
Le erano sacre le sorgenti e le pozze di acqua sulfurea, poiché la sorgente è il simbolo della forza dell'acqua che dalla terra sgorga e quindi passa all'aria, e il fumo è il tramite tra i Mondi per eccellenza.L'evolversi del culto la protese verso i benefici derivanti dall'utilizzo delle acque termali e quindi solforose connesse alla valenza di "sanatio", dal momento che le acque ed i fanghi solforosi, per il loro alto contenuto di zolfo, potevano essere adoperati per la cura di malattie umane ed animali.
La Dea della TransizioneE' probabile che il collegamento tra il culto della dea Mefite e le acque vulcaniche solforose sia postumo alla romanizzazione della penisola italiana e che una dea originariamente adorata dalle popolazioni osche quale ninfa delle sorgenti sia stata adorata quale dea dai Sanniti ma, con l'avvento dell'amministrazione romana, sia stata relegata quale divinità delle mofete e delle acque stagnanti, lasciando il culto relativo al fenomeno delle acque sorgive a divinità del pantheon consoni a Roma. Non è un caso che dal II secolo a.C. in poi, troviamo in territorio sannitico molti templi agresti nei pressi di sorgenti dedicati alla dea Diana. Nel Sannio settentrionale, nel cuore della dorsale appenninica cioè il territorio sannitico dove più che in ogni altra parte del Sannio si sono conservate le antiche tradizioni, scavi archeologici effettuati in aree sacre dedicate a Diana hanno riscontrato traccie di un più antico culto dedicato alla Mefite (Vastogirardi, Canneto delle Mainarde, Trivento).
Un aspetto non ancora indagato è il rapporto tra questo culto e la transumanza che, in effetti, trova riscontro sia nel fondamento della deità atta a presiedere un rito di transizione quale il passaggio delle greggi ai nuovi pascoli stagionali - quelli estivi di altura ed invernali di pianura - sia il fatto che alcune delle antiche aree sacre ubicate a ridosso dei percorsi tratturali erano dedicate alla Mefite.
Le fasi tarde della venerazione in età romana l'associarono quindi all'odore che emana dalle mofete (termine derivante dal suo nome come anche "mefitico" sinonimo di "male odorante") e da acque solforose o corrotte come quelle stagnanti.
Servio, il commentatore di Virgilio che nell'Eneide ne parla a proposito della Valle d'Ansanto, tenta una definizione della divinità e del fenomeno a cui è strettamente legata:
"Mefite è propriamente il puzzo della terra che esala dalle acque solforose e nei boschi è reso più pungente per la densità delle selve..."

Sempre Servio racconta che le vittime sacrificali (animali) dedicate alla divinità non venivano immolate ma semplicemente esposte abbastanza a lungo all'odore soffocante:
"Ideo autem ibi aditus esse dicitur inferorum, quod gravis odor iuxta accedentes necat, adeo ut victimae circa hunc locum non immolarentur, sed odore perirent ad aquam adplicatae, et hoc erat genus litationis" (SERV., Ad Aen., VII, 563 ss.).
La Dea della TransizioneIl commento di Servio a Virgilio chiarisce che è il terribile odore dello zolfo a uccidere chi si avvicina al luogo sacro e potrebbe sottolineare, forse involontariamente, che il sacrificio incruento ha ulteriore valore di "passaggio" (dalla veglia al sonno, dal sonno alla morte).
I fumi solforosi dei luoghi a Lei sacri, sono anch'essi sintomo del sacro oracolare (si pensi alla Pizia) a conferma di ciò, il grammatico Porfirio nel commentare versi di Orazio parla di un locus Mephitis caratterizzato da acque paludose con emanazioni putride sede di un oracolo.
L’appellativo che le attribuiscono irpini e calabresi di “aravina”, dal latino “arvum” la collega al ciclo agreste.
L’appellativo “arvia”, riporterebbe il nome alle sfera aruspicale.
“Kaporoinna” è l’appellativo legato alle “feriae ancillarum”, appartengono alla Dea Mefite i riti della fertilità e quelli della capra animale caro a Giunone.
La Mefite “utiana” fa appello alla sua funzione regale, quindi sacra , di dea.
Altri teonimi di Rossano Calabro sono “Venus cloacina”, “Venus Murcia” e “Venus Libitina” analogie che connotano la dea nella sfera matronale , matrimoniale , e funeraria. L'attributo di "venus", fa intendere che il sincretismo romano è già avvenuto, quindi è una Mefite "imbastardita" quella calabra.
La Mefite che si venera invece tra le mie genti lucane è Mephitis Utiana, la nostra è divinità delle acque celesti e terrene, ctonie è preposta ai riti iniziatici ed è psicopompa, prefica e nutrice. Fa parte anche del Cursus di Diana e prende parte ai suoi Giochi, con le sue sette figlie. E’ preposta alla purificazione (un esempio di una simile ritualità è riscontrabile presso il grande santuario osco-lucano (sec. IV a.C.) di Macchia di Rossano, in agro di Vaglio, che sorge infatti vicino ad una sorgente e il cui ruolo rituale delle acque si estrinseca in canali e fontane perché i fedeli si purificassero prima di entrare. Vicino, era costruito altro edificio con vasca coperta.
Così, proprio nei pressi di casa mia, era venerata presso pozzi e cavità carsiche, nelle grotte, fontane e polle naturali. Ancora oggi ci sono forti persistenze sincretiche del culto assimilate al solito ai culti mariani festeggiantisi in maggio e agosto oppure a febbraio, mese delle febbri e il giorno della festa cadeva proprio il 14.
A Grumentum vi è un’ altra iscrizione che ricorda Mephitis; a Ruoti le statuette femminili scoperte presso la sorgente chiamata “Fontana Bona”, possono ricondursi a Lei.
E’ spesso raffigurata come una kore con tre lune o un enorme disco lunare dietro il capo, ed è avvolta in pesanti coltri; si preferivano tre materiali per le sue statue: pietra, legno, metallo.Xoanon raffiguranti la dea sono per lo più irpine, taglio lineare, stilizzate e con una pesante ‘X’ sul petto (in realtà sono due V V, una capovolta e indicano le acque di sopra la terra e quelle di sotto, dalle nostre parti –infatti è spesso possibile trovare tre “v” , come gocce stilizzate–VVV- per indicare “Acqua”) le lucane, più spesso in pietra e corallo, spesso mancano della testa.
Per quanto riguarda l’attributo di “fisica”, le forti persistenze greche nella nostra lingua fanno chiaro che “fusikà” non significa altro che “magica” detto di colei che guarisce. (A. TRALL. 1,15-; v. SCL. AR. Pl. 883; GEOP. 2, 18, 8; o più semplicemente Vocabolario GRECO/ITALIANO, Lorenzo Rocci, Società ed. Dante Alighieri, PG, 1989. XXIV ed.); fusikà come padrona della Fysis che è l'etere infuocato che compone il famoso V elemento della Maghèia, secondo i presocratici; una energia di fuoco sottile però che si staglia dal fuoco fisico vero e proprio (almeno secondo Eraclito).


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