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La divisione della gioia, di Italo Testa (Transeuropa). Intervento di Nunzio Festa

Creato il 07 luglio 2011 da Stefanodonno
La divisione della gioia, di Italo Testa (Transeuropa). Intervento di Nunzio Festa

Racchiusa in tre sezioni, “La divisione della gioia”, nuova opera poetica di Italo Testa, che è anche traduttore e saggista, alla sua seconda edizione, è esempio d'arte che s'assorbe in sé la vita. In “Cantieri”, tanto per cominciare, spuntano e si spuntano le lingue urticanti delle fabbriche del Nord (NordEst), da Marghera in oltre, nel contatto necessariamente generoso dei paesaggi della post-modernità, quindi i casermoni industriali spesso in disuso, con gli uccelli, gli alianti che fendono e sfrecciano per l'aria. Il primo segmento del libro, quindi, è maggiormente spedito nel cielo dell'esistente universale, in una porzione d'amore che supera il destino dell'amore doppio e/o a due. Qui il tono, evidentemente, è più civile. Si raccoglie il fruscio della speranza ammazzata e delle constatazione, per quanto è possibile, dello stato d'imbarbarimento degenere di 'certi' luoghi: nonostante la poesia. Scavalcata, a gamba molto alta, questa fase, o “la” fase, condita di frasi-versi che spopolano i deserti al fine di popolare i reperti della vita arriva il mistero dell'erotismo, in punta di dialogo esistente e inesistente, fra corpi e parole, dove si sparge la rosa, appunto, della divisione eterna fra la gioia d'un possesso che è accesso da tenere in conto nel momento dolorifico dell'abbandono assoluto. S'è parlato, quindi, di lacerante bellezza. Fra perdita, per l'appunto, e 'paura' per-della Perdita. Dopo i “Canti ostili”, il poeta Testa – che avevamo già avuto modo d'apprezzare, e persino tramite versi ripresi in questa nuova opera, in un'antologia curata da Franco Buffoni – si conferma cantore di fiamme alte quanto la disperazione, anzi verso la desolazione. Ma col rischio, soddisfacente a tratti, di scacciare l'urto dei timori di cui detto nella riproposizione in chiave eternamente sublimata di ciò che è stato, di ciò che dovrebbe ancora essere. Fra ansie, proprio, e proprie ribellioni interiori alla solitudine offerta dal maggior abbandono che si possa conoscere. Il canto gentile e sensuale di Testa, d'altronde, non lascia laghi e foreste all'abbattimento della noia. Nonostante il magistero della forza delle scomparse. Siano esse di luoghi che di persone. Siano della speranza, sempre accolta in Italo Testa, che d'una già finito e sfinito sentimento di speranza.

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