Magazine Diario personale

Là dove muoiono i sogni

Creato il 04 novembre 2012 da Nataliaamepiaceilsud

Dal mio ultimo viaggio in Italia mi sto ancora riprendendo. Mi sono scontrata di nuovo con la realtà e stavolta è stata più dura di sempre, forse perché mai quanto oggi sono determinata a rientrare.

La settimana scorsa sono andata a Roma per partecipare al famoso concorsone di cui ho parlato in questi due post “il concorso pubblico” e “la preselezione”. Non la tiro troppo per le lunghe: non ho superato la fase preselettiva, ma poco importa in effetti, perchè per superarla avrei dovuto imparare a memoria una montagna di “informazioni” e di notizie di attualità che riguardavano presentatori di programmi televisivi, il numero di edizione del grande fratello a cui ha partecipato Pietro Tarricone e quali ha presentato la Marcuzzi e poi una seria di quiz di logica, informatica, inglese e cultura generale.

Se anche avessi passato questa prima fase, mi avrebbero atteso degli arrovellamenti di stomaco che ringrazio di non dover affrontare.

Spiego perché.

Il concorso farsa

La prova preselettiva è finita con la chiamata ai carabinieri e proteste animate, come documentato in questo articolo di Repubblica.  Una pantomima per mascherare un concorso per interni. Aggiungo io: finanziando il tutto con i soldi di chi, per partecipare e presentare domanda, ha dovuto versare circa €10. €10 moltiplicati per le 6,000 anime che hanno fatto domanda, fa un totale di circa €60,000, con i quali, in pratica, abbiamo pagato noi, per qualche mese, lo stipendio ai fortunati vincitori, che non c’è dubbio saranno in gran parte interni a Zètema, la società che ha indetto il concorso. Una società privata che indice un concorso pubblico per l’assunzione dei suoi dipendenti.

Dico che andranno a chi ha già lavorato per loro i posti perché il punteggio più alto per la graduatoria arriva da esperienze per enti affini in ruoli simili. Per alcune posizioni, chi aveva già lavorato per la società poteva addirittura saltare la parte preselettiva. Chi, invece, ha passato una vita tra tirocini, stage, volontariato e tutte le varie forme di lavoro non pagate o non regolamentate da contratto, che è poi il modo in cui la maggior parte di noi è costretta a lavorare oggi, non si vede riconosciuto alcun punteggio. Non valevano quindi curricula, qualifiche varie o anni di esperienza all’estero sebbene sei delle posizioni ricercate siano per chi parla l’inglese, più una tra altre sei lingue.

La visita al capo-redattore 

Diciamo che alla sconfitta al concorso sono andata preparata ed ero pronta a lasciarmi alle spalle la preannunciata delusione. Quello che non ero pronta ad affrontare era ciò che è capitato il giorno dopo nell’ufficio del capo della redazione romana di un quotidiano che mi aveva invitato a passare a trovarlo perchè “colpito” da alcune mie email di segnalazione di errori negli articoli pubblicati sul sito del suo giornale, in cui mi ero proposta come correttrice di bozze.

Non sono andata lì nella speranza di trovare lavoro o di pregare nessuno di darmene uno. Ho raccolto l’invito perché, per la prima volta, ero stata invitata in una redazione importante, io che sognavo di fare la giornalista e che per anni ho cercato di farlo.

Non scenderò ora nei dettagli perché l’incontro merita un intero post che cercherò di pubblicare il prima possibile, ma due parole le devo spendere. L’incontro mi ha lasciato un vuoto dentro e un rodimento d’anima incredibile.

È stato un pugno in piena pancia. Sono entrata in quell’ufficio con la semplice idea di conoscere un giornalista “vero” e magari di farmi un contatto nel settore in cui sognavo, un tempo, di lavorare. Sono invece uscita da quell’ufficio trattenendo le lacrime e ributtando giù nello stomaco tutto quello che mi saliva in bocca, proprio fino alla punta della lingua, mentre il suddetto giornalista parlava e che ho dovuto trattenere, data la piega poco simpatica che la conversazione stava prendendo.

Pur senza sentirmelo dire, durante la chiacchierata col caporedattore mi sono sentita:

  • vecchia: o meglio, non più una ragazzina ma neanche troppo “âgée”, lo cito direttamente;
  • stupida: per aver speso anni della mia vita e soldi a pagare un tesserino da giornalista pubblicista che, come ho imparato da sola “non serve a nulla“, ma che detto da un giornalista fa un certo effetto;
  • illusa: “perché non è che uno se ne va all’estero e poi pensa di poter tornare qui e …” era talmente tanto scazzato che non terminava neanche le frasi, o almeno non faceva in modo che io potessi sentirlo;
  • male informata: perché “è colpa dei giovani che non si informano“, sottoscritta compresa, se buttano i soldi a pagare la rata annuale di iscrizione all’albo dei giornalisti, registro pubblicisti, pensando che quello abbia qualcosa a che fare con il giornalismo;
  • arrendevole: perché sarei dovuta rimanere qui in Italia invece di andarmene a lavorare all’estero;
  • senza speranze: perché è solo con la scuola di giornalismo che si diventa giornalisti e approfondirò parecchio questo punto nel post che dedicherò a breve all’incontro;
  • recidiva o forse idiota: perché secondo lui quando torno in Italia dovrei contattarlo nuovamente per vedere se qualcosa succede!

Ci è voluta una settimana abbondante, ma mi sono ripresa e posso dire che non saranno episodi e persone come queste a farmi cambiare idea perché io voglio tornare in Italia e ho intenzione di farlo anche se dovrò combattere ogni giorno con questi personaggi e con l’arroganza di questo sistema di potere che ai “giovani” non riconosce neanche il merito di continuare a provarci e di cercare la propria strada anche allontanandosi da casa a volte, per crescere e tornare più formati e preparati di prima. Neanche questo.

E sono quelle stesse persone che poi ti parlano del dramma dei cervelli in fuga!

Come se la fuga fosse un vizio della nostra generazione e non un risultato e una colpa di molti di quelle precedenti e dei loro giochi di potere e imbrogli.


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