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“La fatica di essere se stessi” – Alain Ehrenberg

Creato il 12 aprile 2012 da Temperamente

EhrenbergIl mese scorso, grazie all’Epoca delle passioni tristi, abbiamo imparato che il disagio giovanile dei nostri giorni è soprattutto di natura culturale e che le forme della sofferenza sono epocali. Questo significa che le pratiche terapeutiche non possono prescindere dagli apparati culturali del proprio tempo, come è stato già per i grandi sistemi della psicologia moderna di Janet, Freud o Adler. E veniamo alla domanda: Perché Freud non funziona più? Secondo Alain Ehrenberg, autore della Fatica di essere se stessi, la struttura psicanalitica freudiana funzionava molto bene nelle «società della disciplina», cioè all’interno di quelle società caratterizzate da regole abbastanza rigorose cui conseguivano delle deroghe. Dalla relazione conflittuale tra regole e deroghe, infatti (o, per dirla nel linguaggio di Freud, dal conflitto tra il Super-Ego, luogo del divieto e del dovere, e l’inconscio pulsionale o Es), scaturiva la nevrosi.

Poi, a un certo punto della nostra storia, intorno agli anni ’70 del secolo scorso, siamo passati da una società della disciplina a una «società dell’efficienza e della performance spinta». Vale a dire che l’impianto freudiano che individua la nevrosi nel conflitto tra regole e deroghe non funziona più, perché la società dell’efficienza non ci proibisce deroghe, ma ci chiede “solo” di spingere al massimo le nostre capacità e di ottenere i massimi risultati, ovvero di raggiungere i valori dell’età della tecnica, che sono produttività ed efficienza. E l’affermarsi del nuovo paradigma ha determinato un cambiamento radicale anche nel senso di colpa, intorno al quale si era organizzato la psicanalisi. Se il saggio ha per sottotitolo Depressione e società è proprio perché oggi la depressione ha cambiato volto: non è più organizzata sul senso di colpa, ma sul senso di inadeguatezza. Un’inadeguatezza che si è costituita sulla base di un nuovo interrogativo, non più relativo a cosa ci è permesso e cosa ci è proibito, ma relativo alla nostra capacità di farcela o di non farcela. In altre parole: se il rafforzamento e l’indebolimento della nostra identità dipendono rispettivamente dal conseguimento e dal non conseguimento degli obiettivi richiesti dai nostri apparati di appartenenza, allora sarà ovvio che, se questi traguardi vengono continuamente portati di anno in anno a un livello superiore, vivremo sempre in un senso di inadeguatezza. Non è più una questione di colpa: qui si tratta direttamente della nostra identità, del «chi siamo» e del «cosa ci facciamo al mondo».

Personalmente trovo molto interessante che questo libro sia stato scritto da un sociologo. Forse è per questo che, mentre fra le nuove leve di psicologi va molto di moda “sparare su Freud”, Alain Ehrenberg ha ben compreso che Freud, figlio del suo tempo, era un grande analista dei disagi della sua generazione e che se alcuni aspetti del suo pensiero non aderiscono alla nostra epoca è innanzitutto perché la psiche è storica. Altro merito dell’autore, poi, è quello di aver individuato – già nel 1998, anno di pubblicazione del saggio – l’affacciarsi di un nuovo tipo di soggetto che, per sfuggire al senso di inadeguatezza e quindi alla depressione, ha come sola alternativa quella di autopromuoversi e di investire su se stesso: «l’equilibrio interiore comincia a trasformarsi in un immenso composito mercato, e la dinamica dell’autostima mette in funzione un vero e proprio business delle relazioni pubbliche, con un linguaggio proprio, una letteratura propria e tecnologie proprie». E questo, credo, sia un tema che ci riguarda molto da vicino.

Andrea Corona

Alain Ehrenberg, La fatica di essere se stessi. Depressione e società [1998], Einaudi, Torino 1999, 320 pp., € 24,00.


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