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La Fatina Dispettosa

Da Silviarossi
La Fatina DispettosaC’era una volta una bella fatina. Aveva capelli lunghi e viola. Occhi grandi e azzurri. Ali piccole ma veloci. Proprio come tutte le fate. Eppure aveva una caratteristica particolare. Tutte le sue amiche fate svolazzavano qua e là con la bacchetta magica o la polvere di stelle a esaudire i desideri dei bambini. Lei no. Lei era dispettosa e si divertiva a fare sgambetti, storcere nasi e fare scherzi di ogni genere.Una notte – perché le fate si muovono solo la notte mentre di giorno dormono – una notte, dicevo, nel suo svolazzare si infilò dentro la cameretta di una bambina.
“Una fata!” esclamò la bimba contenta di vederla.“Come fai a vedermi?” chiese infastidita la fata dispettosa.“Perché io ci credo veramente nelle fate, lo sanno tutti che per vedervi bisogna credere veramente che esistete. Non sei l’unica che ho visto”.“Ma senti questa! Che insolente! E chi avresti visto?”.“Bè, a dire il vero non ho avuto molta fortuna. Una volta ho visto la Fata Turchina, ma è troppo seriosa! Tra tutti i desideri che ho espresso ha esaudito proprio quello dell’astuccio. Mi ha fatto trovare sulla mia scrivania un astuccio, molto bello, con tanti colori, matite, temperini, righelli. Ma io le avevo chiesto anche un cavallo, un paio di scarpe volanti e gli occhiali a infrarossi che vedono nel buio. Quindi l’astuccio è stato una magra consolazione”.“La Fata Turchina è sempre la solita noiosona. E poi chi hai visto?”“Poi ho incontrato a primavera la Fata della Neve che stava ritornando nel mondo delle fate visto che ormai l’inverno era finito”.“E che le hai chiesto?”“Cosa vuoi chiedere alla Fata della Neve? Le ho chiesto di farci avere ancora una bella nevicata. Ma anche questa volta non è andata molto bene. Sono uscita in giardino per fare l’ultimo pupazzo di neve e mi sono presa un gran raffreddore”.“Ahhaaahhhh” la Fatina Dispettosa scoppiò in una fragrante risata.“E tu che fata sei? Forse con te avrò più fortuna”.“Credo ti sia andata male, cara! Io sono la Fatina Dispettosa e l’unica cosa che riesco a fare sono i dispetti”.“Wow! Ma è fantastico! Allora sei proprio la fata giusta. A scuola c’è una bimba che mi fa sempre arrabbiare. Dice la bugie su di me alle altre compagne così loro se la prendono con me e io rimango spesso a giocare da sola”. “Ummm” si mise a pensare la fata. “Domattina farò uno strappo alla regola. Uscirò di giorno e verrò con te a scuola”. “E che farai?”“Questo lo vedrai”.Il mattino seguente, la bambina si svegliò, si guardò intorno e non vide nessuno. Pensò che forse l’incontro con la Fatina Dispettosa era stato solo un sogno. Fece colazione e andò a scuola. Mentre era al suo banco aspettando che suonasse la campanella per l’inizio delle lezioni entrò la bimba cattiva. Davanti era ben pettinata col suo solito odioso fiocchetto rosa che esibiva con superbia ma da dietro le partiva un ciuffo che le stava dritto come una torretta. Era così buffa che al suo ingresso in classe tutti sghignazzarono. La maestra entrò in classe e chiese se avevano studiato la lezione perché voleva interrogare. Alcuni dissero di sì altri invece nascosero la testa dentro la cartella facendo finta di cercare libri e quaderni. La bimba cattiva rimase a testa alta. Allora la maestra disse vieni tu alla lavagna. La bimba si alzò e con quel ciuffo ritto fece ridere di nuovo tutti compresa la maestra. “Allora dimmi cosa hai studiato?”La bimba aprì bocca ma le uscirono solo parole incomprensibili “ljvfnvòskhuvn-lkurhjsbgfuygiahc”“Ma cosa dici? Se non hai potuto fare i compiti basta dirlo” cercò di scusarla la maestra.E la bimba “nfb lghvfiaerhfknckjnouh”“Non va per niente bene. Non sono scherzi da farsi. La scuola va presa sul serio!”“kjvvbkòehvòbvekjnskjn”. Poveraccia. Non riusciva a pronunciare una parola che avesse senso. E dalla disperazione si mise a piangere.“Vai a posto!”La fata dispettosa aveva esaudito il desiderio della nostra eroina. Eppure lei, anche se si era divertita, ora non era contenta di vedere la sua compagna piangere. La fata se ne accorse, si posò sul suo astuccio e le disse: “Che c’è? Non era questo che volevi?”“Sì, credevo di volerla far soffrire come lei faceva soffrire me. Ma ho capito che in realtà volevo solo esserle amica”.“Allora, ti do un consiglio. Vai da lei. Prendile la mano. Portala in bagno e buttale giù quel ciuffo ridicolo. È da lì che parte l’incantesimo delle parole. Quando lo farai ricomincerà a parlare e vedrai che ti sarà riconoscente”.
La bambina fece così e la sua compagna fu così contenta che non fu mai più cattiva né con lei né con le altre bambine e furono buone amiche per sempre.

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