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La favola della creatura dalle ali di giada

Da Theartship

La favola della creatura dalle ali di giadaAndrea M. Campo. Questa è la storia dell’angelo che sfiorò gli occhi del cielo e rubò la scintilla di Dio. L’epico narratore direbbe “c’era una volta” ma “una volta” in questo caso non è abbastanza. Perché l’angelo infranse la regola, il precetto e perfino il suo cuore, pur di concedere al mondo il dono prezioso dell’anima e pur di trovare risposta alla censura divina. Il viaggio fu lungo, intenso e pieno di pericoli ma il narratore fu privato del suo sapere e dell’estasi e presto dimenticò l’avventura e le gesta. Ciò che sarà narrato è, quindi, l’ultimo atto della vita straordinaria di Sigua, la splendida creatura dalle ali di giada.

Tornata nel mondo degli inganni e del dolore, la giovane Sigua portò il suo candore agli uomini cinto dalla vivida fiamma della volta celeste. Per mille volte, o forse più, provò a riscaldare il seno degli addolorati, per mille volte provò a illuminare la strada dei dannati e per mille volte ancora provò a placare la fame dei demoni avidi di peccato. Ma nessuno le prestò orecchio. Nonostante la sua voce si alimentasse dell’armonia della compiutezza e della sublimazione, nessuno ne comprendeva il senso. Nessuno era pronto ad accogliere in sé la voce universale delle terre e del cielo, nessuno credeva nella verità ancestrale.

Seduta accanto a un bambino proferì parole di gioco, offrì l’abbraccio materno e il candido giaciglio del ventre di luna. E il bimbo fuggì perché conosceva la paura.

A una giovane innamorata narrò dell’uomo e del suo giuramento, promise un saldo sostegno e l’armonia di una carezza sincera. E la donna fuggì perché era ferita.

A un uomo importante parlò della carità, del bene e soffiò via la cenere dai suoi vestiti. Ma l’uomo la spinse lontano. Non voleva tornare dove era già stato.

Il viaggio di Sigua continuò e negli anni incontrò poeti e musicanti, falegnami e banchieri, bambini senza un sorriso e madri senza una lacrima, vili guardiani dell’orto dai pomi dorati e santi all’ombra dei faggi nel letame del porcile ma nessuno comprese.

Sigua parlava tutte le lingue del mondo, conosceva la lingua del soffio vitale, conosceva speranze e dolori, il male e il bene di ognuno e aveva accesso ai loro segreti: le sue parole evocavano i giorni felici, l’armonia degli eventi e delle passioni.

Gli uomini timorosi del giudizio dell’angelo, celavano le loro colpe impugnando il velo dell’inganno e della menzogna, fingevano di non capire e di non sapere.

Nell’ultimo dei suoi giorni Sigua disperata volò attorno al mondo, tra le nubi più alte, e si strappò tutte le piume fin quando, ormai priva del sostegno delle ali, precipitò giù segnando per sempre la Terra col proprio sangue. Da allora di tanto in tanto, qualche dannato ritrova una piuma di giada dell’angelo e per qualche istante si libera dal peccato coprendosi l’anima con la voce di Sigua, la voce dell’angelo che aveva portato all’uomo il bene.

 


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