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LA FILOSOFIA DEI CONTRASTI - parte 2

Creato il 22 febbraio 2012 da Upilmagazine @UpilMagazine

Nel numero 1 di Up! ho già accennato in questo studio sui “contrasti” come dalla loro combinazione possano nascere armonie gustative. (www.upilmagazine.it)
Le tabelle proposte nel capitolo precedente e nella versione integrale di questa seconda parte, (qui pubblicata in versione sintetica), possono essere propedeutiche per cuochi più o meno esperti che vogliano creare una propria linea gastronomica personalizzata senza dover necessariamente copiare una tecnica, un abbinamento o una ricetta.
Questa tecnica che ho battezzato “filosofia dei contrasti” e che vorrei divulgare è utile per cominciare ad avvicinarsi con metodo all’analisi sensoriale di un cibo e quindi concepire in autonomia nuovi abbinamenti e contrasti gastronomici.

Non ho velleità di creare, tuttavia sento la necessità di oggettivare i miei 20 anni di impegno professionale. Scrivere un testo che rappresenti il mio modo di sentire e interpretare la gastronomia e oggettivi le mie deduzioni e intuizioni nel mondo del food design è per me un bisogno necessario.

Nuovi metodi di fare cucina vengono proposti continuamente poiché, come ogni forma di espressione, è soggetta a continue evoluzioni.

Questi anni sono caratterizzati dalla chimica e, com’è già accaduto per il mondo dell’enologia, sta diventando ingrediente fondamentale per ottenere strabilianti risultati.
La tendenza è di stupire il cliente piuttosto di farlo godere, perciò “sfere liquide”, cibi che si scaldano o si raffreddano in bocca, pesci fritti nello zucchero, gelati mantecati all’azoto liquido e via discorrendo.
Questi i princìpi della cucina molecolare, corrente imperante del primo decennio degli anni 2000.
Quando nelle arti, così come succede per l’alta cucina, nasce una nuova tendenza, una nuova corrente o semplicemente si volta pagina, si crea un effetto mediatico intorno al nuovo che è curioso e ripetitivo.
Comincia una campagna di comunicazione verso il pubblico in cui il messaggio è: “Fate largo al nuovo che avanza, questi sono gli illuminati, giù il cappello” e tutti gli addetti del settore, giornalisti, redattori della stampa gastronomica, opinionisti e compagnia cantante saltano sul carro delle novità. Nella realtà com’è successo per la “nouvelle cuisine”, per la “fusion”, per la “creativa” e per altre correnti gastronomiche, la verità sta nel mezzo. Certo è bene che se ne parli!

A mio avviso è bene che si sperimentino e si cerchino nuove tecniche e nuove basi, tuttavia non nascerà mai, almeno per i prossimi anni a venire, un cambiamento così radicale da non essere sorretto dalle tradizioni, dalle cognizioni già consolidate, dalla qualità del prodotto.
Sicuramente ogni nuova tendenza lascerà in eredità qualcosa, una contaminazione culturale, una tecnica più moderna, un piatto o un abbinamento innovativo che diventerà un classico di domani.


Il mio accenno alla cucina molecolare spero non sia quindi risultato polemico o ironico, anzi rispetto e stimo profondamente i colleghi che hanno e stanno tuttora trasformando un’arte empirica, quasi alchemica e legata al talento individuale, come l’atto di cucinare, in una scienza esatta più codificata e sorretta da dati scientifici. Soprattutto utili a spazzare definitivamente tutte le “bufale” che ruotano intorno ai fornelli.
Tuttavia il mio riferimento non è casuale, ma vuole avvalorare le mie tesi.
Cito testualmente uno dei tanti redazionali pubblicati su una rivista di settore specializzata: “Ormai da qualche anno molti grandi chef giocano con le consistenze degli alimenti più che con il gusto, stupendo i loro clienti con piatti che hanno consistenze molto diverse da quelle originarie del prodotto. Uova crude con la consistenza della ricotta, gelati al gusto di sigaro, cocktail solidi, sono solo alcune delle proposte che vanno molto di moda di questi tempi”. “Giocano sulle consistenze”, ovvero fanno dei contrasti.
Allora quale che sia lo stile di cucina che facciamo, mediterraneo, creativo, fusion, molecolare, ecc. non si sta cercando di eccellere con un contrasto?
Ovviamente per avvalorare le mie tesi ho cercato i contrasti istituzionali i quali, non possono prescindere da una salsa equilibrata, con quelli, a volte, delle temperature, spesso contrastando le consistenze, anche se in maniera naturale. Ma soprattutto il contrasto che ho cercato è nell’aroma e nelle percezioni sensoriali. La mia teoria che è divenuta stile di lavoro è sorretta da tutto ciò che ho osservato e intuito ed è finalizzata a trasmettere tutte le percezioni possibili in un unico piatto, a volte in modo esplosivo, a volte in modo lineare. Alcuni piatti sono potenti e robusti altri sono delicati e ariosi, ma tutti cercano i contrasti che creano un’armonia.

Per meglio capire questa filosofia e trasmettere il percorso mentale utilizzato per comporre nuovi piatti e abbinamenti, ho pensato di mettere a disposizione un iter esplicativo.

Questo iter è stato mappato in un grafico schematico che ne facilita la lettura. Tuttavia per motivi di impaginazione si sono omesse tali tabelle e quindi si può anche leggere dividendo gli stessi concetti in fasi.
L’iter di composizione di un piatto attraverso questa tecnica ha 6 fasi:

Partendo dal campo “Prodotto” si comincia, in senso orario, verso la struttura e la progettazione di un piatto. Dal prodotto principale, il soggetto cucinato, si deve scegliere il metodo e la tecnica per trasformare il sapore in uno stato liquido (fondo, brodo, essenza, infuso, olio essenziale). Questa è la 1° fase!

La fase 2: valuta e sceglie il tipo di cottura ottimale in base al contesto, al risultato da ottenere e alle caratteristiche del prodotto.

La fase 3: si risolve in modo creativo e ponderato. La stagione, la cultura gastronomica e la zona geografica determineranno i prodotti adeguati per essere abbinati e composti nell’insieme. L’unica regola da seguire è che i complementi hanno un ruolo di supporto e/o di contrasto verso le consistenze o verso i sapori e gli aromi primari, perciò non devono mai spiccare o sovrastare il prodotto principale.
Comunque è bene tenere conto di molte variabili:
• Identità del piatto che si vuole delineare.
• Stile di lavoro dell’esecutore
• Disponibilità dei prodotti secondari (aromi, spezie, erbe)
• Contesto generale
In questa fase la sensibilità e la capacità del cuoco determinano il risultato finale, tuttavia non è obbligatorio inserire sapori che possono snaturare l’insieme, perciò in caso di dubbio si può lasciare campo libero all’espressione del sapore primario, lasciando questa fase neutra.

La fase 4: è trovare il bilanciamento dell’insieme. In realtà sono 2 i bilanciamenti da ricercare: il bilanciamento dei sapori primari e il bilanciamento fra il prodotto principale e gli ingredienti di supporto o caratterizzanti, ossia i sapori secondari.
Il 1° obiettivo è ottenuto con la perfetta cottura del prodotto in simbiosi con l’adeguato confezionamento delle sue essenze liquide oggettivate con una salsa o da un condimento.
Esempio: Un tortello o raviolo ripieno di polpa di coniglio può essere magistralmente accompagnato da un fondo di cottura, ricavato dalle ossa del coniglio, adeguatamente ridotto e concentrato e versato sui tortelli conditi a parte con un grasso crudo.
Esempio: Una darna di pesce, cotta perfettamente può essere esaltata da un fondo bianco ricavato dalle teste dello stesso pesce, opportunamente concentrato e bilanciato dalla giusta percentuale d’acidità e di grasso.
Il discorso del bilanciamento delle salse è ancora un sotto argomento, che vedremo in seguito, ma molto importante al fine di ottenere l’obiettivo principale di questa fase.
Il secondo obiettivo, come accennato, mette in relazione il prodotto e la sua essenza con i sapori e gli aromi dei complementi che possono essere neutri e d’appoggio oppure, al contrario,
caratterizzanti e in contrasto. Naturalmente il solo fatto di essere in contrasto non assicura un risultato oggettivamente buono: il contrasto deve attenersi all’insieme e creare un’armonia.

5° fase: se i sapori e gli aromi sono importanti, non sono sicuramente da meno le consistenze, le quali, essendo percepite dal tatto, coinvolgono anche le temperature. In questa fase si deve valutare se il piatto ha in sé caratteristiche variegate per quanto riguarda le consistenze o le temperature. È palese che la carne dovrà essere tenera e succosa e di facile masticazione; il pesce, al palato, dovrà essere umido e sodo ma poi scioglievole; la pasta all’uovo, vellutata e leggera e così via. Tuttavia questa fase non verte su questi aspetti: il bravo cuoco è già attento a queste consistenze, diciamo… scontate?
In questo caso le consistenze riguardano anche i complementi, i supporti, le guarnizioni, ossia tutto quello che orbita intorno, ma che deve diventare un insieme, e allora quale migliore occasione per inserire qualche consistenza insolita così ambita dai cuochi tecnologici dell’avanguardia
molecolare?
In realtà nessun effetto speciale, personalmente sono contrario alla chimica in cucina, però ci sono molti modi di esaltare le consistenze di un prodotto, usando la fisica oppure in modo arcaico, ma lo stesso di successo, naturalmente se ci si pone il problema di farlo.

6° fase: l’ultimo tassello, la chiave di volta, la ciliegina sulla torta. Perfettamente inutile o perfino di troppo può essere questo passaggio, perché abbiamo già soddisfatto 5 fasi che da sole potrebbero rendere qualsiasi piatto straordinario. Non ho voluto quindi strafare, ho osservato, però le reazioni di molti corsisti, persone che seguono i miei corsi di cucina, davanti ad un piatto perfettamente eseguito e di qualità, ossia quelli in cui avevamo soddisfatto le prime 5 fasi. Ho registrato in seguito, durante corsi specifici in cucina di ricerca, le loro reazioni davanti a piatti arricchiti con questo nuovo elemento di contrasto. Ebbene i primi a distanza di anni si ricordano di aver assaggiato questo o quel pesce che era buono e saporito e in sostanza di aver mangiato bene. I secondi si ricordano il piatto nei minimi particolari e hanno impresso nella memoria l’emozione che gli ha suscitato.

Il metodo scientifico nelle cotture.
Negli ultimi anni ma, soprattutto in modo esponenziale negli ultimi 5, aldilà di tutte le tendenze
culinarie supportate dai media di settore o dalla comunicazione, la vera onda tecnologica fortemente voluta dalle azienda produttrici di forni e attrezzature professionali, riguarda la “scienza della cotture”.
Non v’è dubbio che l’approccio scientifico ad una cottura, ottimizzando sapori, colori, texture e durata di un alimento siano una parte fondamentale di una buona cucina d’autore.

Studiando la composizione molecolare e strutturale dei singoli alimenti e sottoponendoli a diversi ambienti di cottura con tassi di umidità controllata e misurata, i laboratori di molte aziende produttrici hanno creato a supporto delle loro macchine, un enorme e affidabile database di cotture codificate e programmabili. Senza contare che le tecniche di cottura a bassa temperatura in sottovuoto o le maturazioni in ambiente ventilato con sonda spillone al cuore (del prodotto) fornisce dei risultati straordinari in termini di calo peso, sapore e scioglievolezza delle fibre muscolari mai prima di allora raggiunti.

Conclusioni
I piatti che compongono il mio repertorio sono stati progettati seguendo quest’iter, successivamente sono stati provati, testati e migliorati in corsi di cucina specifici e perfezionati con dosi e tecniche sempre più precise.
Per la logica dell’ambiente e del contesto (tesi trattate a parte che mettono in relazione la capacità critica dell’utente di fronte ad una degustazione tenendo conto delle aspettative e delle informazioni subliminali dell’ambiente e del contesto), ma credo anche per la validità della filosofia in questione, il gradimento del pubblico è stato tale che mi ha spinto ad inquadrare, codificare e diffondere questo modo di fare cucina.

Non mi sento depositario della “verità ma in tanti anni di vita passata in cucina ho capito quale cosa è veramente soggettiva ed individuale, quella che non si può né incasellare né codificare: l’apertura mentale delle persone. Quindi ci si può inventare quello che si vuole, si possono usare effetti speciali o creare ambienti casalinghi, ma per trasmettere un’emozione attraverso il cibo, quale che sia lo stile o il prodotto usato, ci vuole la platea giusta, il giusto pubblico che afferri e percepisca le sfumature che avete voluto comunicare, persone che interagiscano e capiscano la vostra sensibilità e il vostro modo di comunicare cucinando.
 


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