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La fine dei Beni culturali

Creato il 18 agosto 2011 da Albertocapece

La fine dei Beni culturaliAnna Lombroso per il Simplicissimus

 La Cgil Beni culturali lancia l’allarme: il Ministero dei Beni Culturali potrebbe chiudere. “Il taglio dello scorso anno sul quale il ministro Galan ha detto di resistere porterebbe a tagliare 19 dirigenti e altri 2.110 dipendenti portando il ministero ad avere otre 2.500 esuberi (abbiamo dovuto assumere i monopoli, Eti ora Cinecittà). Se – come prevede la finanziaria testé varata – arriverà un nuovo taglio,e visto che con l’esubero non si potrà assumere (non ci sono vuoti di organico), questo Ministero sarà avviato speditamente alla sua chiusura”.

 

Io non credo che l’ala “economicistica” della maggioranza voglia far fallire la cultura, ma che invece la voglia mettere in svendita come ha già cominciato a fare. A cominciare dai consumi culturali se guardiamo all’omaggio erogato silenziosamente alla Mondadori cui è stato conferita autorità di gestione monopolistica delle biglietterie di mostre ed eventi i più vari. Si in questo le due componenti della maggioranza si distinguono: gli uni la vogliono ad personam, recintata come le spiagge, decorativa come i dorsi dei libri comprati a metro e infilati nelle improbabili biblioteche del loro finto barocco piemontese, un bene privatizzato offerto a caro prezzo . Gli altri non vogliono proprio averci a che fare, come fosse un ingombro inutile anzi dannoso.


Un amico commentando stamattina la mia fin troppo garbata invettiva contro Bossi, attribuiva se non proprio questa particolarmente grossolana esternazione dello statista padano a un confuso tentativo di ridare dignità a culture contadine e locali dimenticate nel grande e complesso melting pot della globalizzazione. A me sembra che l’ostinato permanere nell’ignoranza sia senza patria e, mi auguro, straniero in ogni luogo. E non voglio nemmeno esplorare gli improbabili e inesplicabili rapporti che potrebbero intercorrere tra i corsi di radio Elettra e l’istruzione. E quelli ancora più imperscrutabili tra padania e cultura contadina. Ma fingiamo che tra i coevi della stirpe dei Bossi prima del futurista Trota vigesse quella divisione tra chi aveva libri in casa e insegnanti e chi invece contava su un sistema di trasmissione di conoscenze e fantasie legate alle esperienze concrete e ai sentimenti. Con una commistione di magia e religiosità, riti pagani e credenze insieme ai tempi della natura e agli eventi della quotidianità. Il passaggio delle informazioni era orale, le espressioni artistiche erano il racconto a veglia, le recite, la fiaba, la sceneggiatura delle processioni, lo stornello e le ballate. E certo ci vuole della gran buona volontà per intravvederne memoria o evocazione nella cerimonia furbacchiona dell’ostensione dell’ampolla con l’acqua poco potabile del sacro fiume.


Anche in quel caso la cultura sia pure contadina era il motore per condurre l’individuo a condividere l’ethos della società e consentirne il progresso. Con buona pace del mio amico, esattamente il contrario del pensiero leghista, che promuove solipsismo, isolamento, localismo, egoismo, risentimento, invidia, rancore. E che si fonda sulla diffidenza e sulla paura dell’altro per creare arroccamento, conservatorismo, misoneismo. La cultura popolare è stata soverchiata dal consumismo, dalla spettacolarizzazione, per mano del potere finanziario che esercita il controllo della percezione e delle opinioni attraverso i media e la Tv in particolare, attribuendo il primato al legame tra consumo e consenso. Non possiamo nemmeno chiamarla cultura di massa, questa parodia o sottofondo di slogan e stereotipi.

Il popolo è stato sostituito dalla massa e i cittadini dai consumatori o dagli aspiranti tali, monadi uniti da pulsioni a accumulare beni effimeri e inutili, simboli rassicuranti e tossici. Io ho speranza che ci siano delle falle in questo “progetto” di dittatura in gran parte realizzato, che ci siano disubbidienti oltre che indignati. Minoranze che invece di ritirarsi si aprano agli altri come sveglia per maggioranze sempre più destinate all’anomia e alla stupidità, al non pensiero e a una schiavitù accettata e perfino amata. Quelli che una volta saggiata l’invivibilità preferiscono la vita attraverso quella domestica procedura che consiste nella ricerca di sé e del dialogo con gli altri. Anarchici contro i barbari. Innamorati contro egoisti.


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