Magazine Carriere

La fine del Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro

Creato il 20 ottobre 2015 da Propostalavoro @propostalavoro

CCNLEcco una notizia, che sembra di secondaria importanza, ma che, invece, è fondamentale, per tutti noi: una famosa onlus ha annunciato la sua intenzione di disdire il CCNL e di affidarsi alla contrattazione diretta con i lavoratori.

Il Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro, ovvero quell'insieme di norme che regolano i contratti dei lavoratori – sia a livello normativo, che a livello economico -, sulla base di accordi raggiunti, a livello nazionale, tra Sindacati e Associazioni dei datori di lavoro, sembra, quindi, destinato a sparire, come il defunto Articolo 18.

"Vecchio" e "superato dai tempi" sono le accuse maggiormente rivolte al CCNL, la cui fine è implicitamente contenuta nello stesso Jobs Act (la norma è rivolta ai soli contratti non previsti nei CCNL; ma, ovviamente, aperta una breccia, il muro, in ogni caso, crolla), che, infatti, punta tutto sulla contrattazione decentrata: ovvero, sugli accordi – riguardanti stipendio, straordinari, livello, mansioni, ecc. – presi direttamente tra l'azienda ed i rappresentanti dei lavoratori o addirittura i singoli lavoratori, senza alcun intermediario.

Un sistema più snello e moderno secondo alcuni; una calamità secondo altri, in particolare i sindacati. Perchè? Beh, prima di tutto, perchè è ovvio che i lavoratori, presi a piccoli gruppi o singolarmente, non potranno mai e poi mai avere la forza contrattuale per competere con i datori di lavoro che, forti della loro posizione dominantecrisi economica e fame di lavoro influiscono pesantemente -, ne approfitteranno per imporre maggiori carichi di lavoro, riduzioni salariali e restrizioni varie (meno malattie, meno ferie, più straordinari).

Una prospettiva impossibile? Tutt'altro: è già successo con la Fiat di Marchionne che, con la minaccia di delocalizzazione, ha potuto stracciare il CCNL e rivedere al ribasso la posizione contrattuale dei suoi dipendenti. Un precedente che ha spianato la strada ad altri.

Rischia, così, di sparire un altro importante pregio del CCNL, cioè quello di stabilire il livello base salariale di numerose categorie lavorative, creando così una sorta di "salario minimo". Certo, Renzi e Poletti, di fronte alle telecamere, hanno più volte ribadito di voler introdurre l'istituto del reddito minimo nell'ordinamento italiano, ma nel Jobs Act non ce n'è traccia, il Governo non ha un progetto definito per il futuro (solo M5S e SEL hanno già delle bozze pronte) e non è con le interviste che si fanno le leggi.

Nella legge delega del Jobs Act, era prevista la partenza, a livello sperimentale, del salario minimo legale, ma al Governo hanno deciso di rimandarlo a data da destinarsi ed inoltre, non sono ancora ben chiare né le modalità, né le coperture finanziarie del progetto.

A tutt'oggi, quindi, le premesse, per lo smantellamento del contratto nazionale, sono serie e concrete e  cosa ne prenderà il posto è, nella migliore delle ipotesi, ancora in fase di progettazione. Tuttavia non sono pochi – Confindustria in testa a tutti – coloro che chiedono un'accelerazione in materia, a loro dire, per permettere alle aziende italiane di poter competere con la concorrenza estera.

Una concorrenza che, tuttavia, il più delle volte è "truccata", perchè basata su condizioni di lavoro indegne di un Paese civile. Se per il Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro è davvero la fine, speriamo che la strada che vogliono seguire, non sia proprio quest'ultima.

Danilo


Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog