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La gatta

Da Pamirilla

Dedicato a Amy, morta di tristezza. Vetri e sigarette nella voce. Alcool nelle vene. Di quante ipotesi inutili ci sarà bisogno per capire? È morta di tristezza, è morta cento volte e questa è solo quella più definitiva.
Alcool nella voce e sigarette nelle vene: li hanno chiamati vizi, che nome assurdo per chiamare la tristezza. La sua voce bellissima allaga quest’estate ferma sotto un cielo di pioggia.

La gatta

Di preferenza se ne sta sotto il fico, Printil, nelle ore più calde l’erba e la brezza la fanno stare bene e si abbandona a lunghe e beate dormite. Quando ne ha voglia fa un giretto in paese, gli altri gatti la guardano ma senza diffidenza. Del resto Printil è una gran bella tipa: occhi verdi infiniti, la puntina bianca sulla coda dritta, la camminata sciolta.
Non è più deperita come quando la conobbi e sotto le carezze il manto è diventato morbido.
Gli occhi immensi a passeggio tra i vicoli silenziosi: spia curiosa nelle case di pietra. I ciottoli muti del suolo sembrano di velluto sotto le zampette.

Ho incontrato un uomo, mi ha fermata perché voleva guardarmi. Mi ha baciata perché voleva dirmi che ero bella; così bella per lui, bella all’improvviso. Mi ha preso la mano, attraversando la strada, perché le macchine correvano troppo. Mi ha preso la mano per proteggermi. Poi è andato via, lontano, ma tutte le mattine nel suo primo pensiero cerca me, poi va a fare la vita di sempre.

Al tramonto Printil torna verso “casa”, sotto al fico. Lì trova immancabilmente una buona cenetta perché non ha avuto paura di chiedere aiuto e un po’ d’amore e così di amici ne ha trovati tanti. Sembra in verità che ne abbia trovati persino più di quanti immaginasse e sul muretto davanti al fico c’è sempre qualche carta vuota o una ciotolina sporca. Chi arriva per ultimo pulisce i resti dell’ultimo pasto, butta le carte sporche nel cestino e lascia di nuovo qualcosa di buono per lei.

Me la ricordo secca e determinata, quel giorno che mi ha sbarrò la strada strillando a bocca spalancata che voleva attenzione, che voleva un amico e voleva vivere la vita……tutta, tutta quella che poteva.
Printil era stata abbandonata ma non si è lasciata abbandonare.
Me la ricordo così: affamata e sfacciata. Ora la guardo mentre lei placida perde il suo sguardo oltre le colline, non più magra e affamata, non meno sfacciata di prima.

 
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Ho passato la notte a parlare con uno sconosciuto che aveva i miei stessi turbamenti e bisogno di guardarli negli occhi di qualcun altro mentre io cercavo nei suoi occhi i miei. Nella notte che profumava di terra e acqua le nostre parole avevano il senso di un abbraccio, il solo scopo di dirle e lanciarle lontano come sassi in uno stagno. Bisogna dire parole, a volte, che non devono giustificare niente, parole non conformi e che non devono per forza sostenere l’idea che altri hanno di noi. Parole che non devono spiegare, solo dire.
Poi lanciarle come sassi e smuovere lo stagno.

Printil apprezza le leccornie come gli avanzi, accoglie con un lampo di verde e allegria chi passa dalle parti del fico, distratta e curiosa.
A volte, se le va, trotterella incontro a qualcuno che si sente solo, offre compagnia anche in cambio di niente.
Non offende nessuno, non si nega a nessuno, non è di nessuno. Forse non è nata selvaggia ma ora lo è.
Non si lascia prendere ma si presta alle carezze e fa le fusa contenta.
Non ha paura neanche quando passa davanti ai cani prigionieri dietro i cancelli. Abbaiano impazziti di rabbia alla sua libertà, lei li guarda e non li sfotte però li trova buffi.
Printil ha scoperto la vita senza muri, senza sicurezza, la vita nuda e cruda.
Non è rimasta sola ma lei lo sa, lo sa che si è soli comunque, alla fine.
Così assapora la sua vita selvaggia, passa un po’ di tempo con chi le piace quando ne ha voglia, va a passeggio tra i vicoli scuri e dorme sotto il fico, al fresco dell’erba. E non le sembra così male questa vita selvaggia. Solo qualche volta si sente triste, a volte il cielo è grigio e piove anche se è estate.  
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C’è un uomo……lo guardo senza sapere chi sia davvero, senza riuscire a capire cosa significhi per me.
Ma mi ha fatta ridere e non me l’aspettavo; non me l’aspettavo da lui, questo piccolo dono inatteso. Quanto tempo che non ridevo così? Mi ha fatto ridere invece di portarmi fiori; io l’ho lasciato appoggiarsi a me quel poco che voleva. Un’ape su un fiore. Una lucciola nella notte: un istante breve e impalpabile come un velo ma che si è annidato dolcemente sul mio cuore e resta con me per farmi compagnia come una carezza lieve.
Nella sera estiva un’intimità tra noi due fatta di niente, solo di se stessa. Giocosa, semplice. Un frammento di pace. Senza parole, ma una risata sì….quanto tempo che non ridevo così, con l’allegria di una bambina?

Printil un giorno mi ha sbarrato la strada, secca e affamata e senza nessuna paura. In fondo di cosa doveva avere paura? Paura di chiedere aiuto, paura di cercare un amico, paura di avere bisogno d’amore o piuttosto paura di morire di fame?

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