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“La gente che sta bene” – Intervista Esclusiva a Federico Baccomo.

Creato il 30 marzo 2011 da Daniele7
“La gente che sta bene” – Intervista Esclusiva a Federico Baccomo.

La gente che sta bene

Federico Baccomo: lo abbiamo conosciuto proprio su questo blog l’anno scorso in occasione della pubblicazione della sua opera prima: Studio Illegale, edito dalla Marsilio. Un blog che diventa un best seller letterario. E dopo 35mila copie vendute, sette ristampe, i diritti venduti per un film con Fabio Volo come protagonista, il giovane scrittore torna con un nuovo travolgente romanzo: La gente che sta bene.
In questa intervista seguiremo un percorso a tappe: partiremo da Studio Illegale per arrivare a La gente che sta bene.

Sei stato ospite alla facoltà di Giurisprudenza della LUISS Guido Carli di Roma per partecipare ad una lezione di orientamento professionale. Tu che hai lavorato nella sede milanese di un primario studio legale internazionale, che hai raccontato di un ritmo frenetico, dello stress, dell’ansia, delle riunioni, del suono del Blackberry che trillava in continuazione, del fuso orario, delle notti insonni, di un mondo di cui non volevi più far parte. Non sei certo un modello da seguire per i giovani studenti di Legge. Ti definisci un elogiatore o un demolitore della professione legale?

In realtà non direi né l’uno né l’altro. È vero che ho raccontato gli aspetti meno edificanti della professione d’avvocato, un certo tipo di avvocato, ma ho sempre cercato di mettere in chiaro che l’idea non era quella di demolire una categoria professionale, sarebbe sciocco, l’idea era quella di raccontare quel tipo di professioni sempre più diffuse che richiedono un notevole grado di coinvolgimento, di impegno, di passione, a discapito spesso del cosiddetto tempo libero, della vita privata, e, con questo, raccontare quella sensazione che mi pare in tanti abbiamo provato, la sensazione di aver sbagliato qualcosa, di aver preso una strada che forse non ci appartiene, o non ci appartiene più. C’è una frase che pronuncia il protagonista e mi pare sintetizzi bene questo concetto, dice: “Alle volte sono convinto di essere destinato a qualcosa di più grande, altre volte mi basterebbe essere destinato a qualcosa di più piccolo”. Ecco, una professione, ma potrebbe essere anche una relazione sentimentale, una qualunque vicenda personale che non funziona più, può finire per mettere in difficoltà con questa ambivalenza, qualcosa di troppo piccolo, o troppo grosso, sicuramente qualcosa in cui non ci si riesce più a stare.

Sei un EX avvocato in “carriera”, ora scrittore di successo, ma il termine “carriera” non è di tuo gradimento, perché?

Più che altro mi sembra che nel termine “carriera” ci sia una componente di conflitto, di aggressività, anche di disperazione, che non mi sembra si sposi bene con quella che in fondo è solo la realizzazione di sé.

Come procede la sceneggiatura nonché la produzione del film ispirato al tuo primo libro?

I tempi cinematografici son parecchio diversi da quelli editoriali, coinvolgono una quantità di mezzi e persone che rendono il processo più complicato, più macchinoso, anche solo più ponderato. La scrittura procede, mi sembra di vedere impegno, entusiasmo, idee, da parte di tutti i soggetti coinvolti, mi fa piacere.

Passiamo ora al tuo nuovo romanzo: La gente che sta bene. Ma chi è la gente che sta bene? Cosa significa?

La gente che sta bene è una di quelle categorie con cui spesso si semplificano le cose, è una locuzione che sembra dire tanto e in fondo non dice nulla. In questo caso poi c’è anche un grado di ironia abbastanza immediato, vien subito da pensare che questa gente che sta bene probabilmente poi nel romanzo non starà benissimo. Ecco, mi è parso un titolo perfetto per raccontare uno degli esponenti di questa categoria, il più sconclusionato forse, che piano piano finisce per perdere le sue certezze, i suoi motivi d’orgoglio.

Il libro nasce da una costola di Studio Illegale. Da uno dei protagonisti: Giuseppe Sobreroni, partner dello studio legale internazionale Flacker Grunthurst & Kropper. Racconti l’arrivismo, la spregiudicatezza, il narcisismo, l’egoismo di un uomo d’affari in ascesa, ma col timore che, all’improvviso, tutto ciò che ha costruito nel tempo possa crollare inesorabilmente. Come è nata l’idea?

L’idea è nata da una piccola intuizione: il protagonista del mio primo romanzo vedeva un po’ le cose come le vedo io, provava le mie stesse sensazioni, condivideva i miei sogni, mi piaceva l’idea di provare a calarmi invece negli occhi e nelle frasi di un uomo che avesse una vita e dei pensieri completamente diversi dai miei. All’inizio è stata anche dura, la fase preparatoria, diciamo così, è stata complessa, si trattava di trovare la voce di quest’uomo, che esisteva solo come una sensazione, si trattava di renderla credibile, di sviluppare un’ironia nuova, un modo diverso di muovere alla risata. Poi, però, trovata la chiave, la sorpresa è stata scoprire il potenziale di questo personaggio, scoprire la gioia del raccontarlo, scoprire l’affetto che ho sviluppato per lui, il coinvolgimento così forte con una storia che sulla carta sembrava tanto lontana.

Hai detto che Fantozzi è stato un precursore, anticipando trent’anni fa cosa sarebbe accaduto oggi. Paolo Villaggio, Luciano Salce e Neri Parenti: lungimiranti, fortunati o geniali?

Direi le tre cose insieme, ma riferite a Paolo Villaggio, e a Luciano Salce, il regista dei primi film. In quelle dinamiche che hanno dipinto, in quei personaggi, in quella sensibilità lì, c’è davvero un nuovo mondo di prevaricazione e alienazione, che solo a distanza di anni ha iniziato a destare quella paura e quella preoccupazione che in qualche modo il profilo grottesco era riuscito ad ammantare di commedia.

Ma secondo te queste persone così arriviste, alla ricerca della beatificazione sociale, assetati di successo, affascinano oppure no? Sono dei vincenti o dei perdenti?

Non saprei, posso pensare all’esponente più famoso oggi della ricerca di beatificazione sociale, di successo, quel Silvio Berlusconi che sul fascino personale ha costruito la sua carriera politica, suscitando però anche un’onda di repulsione. Vincente? Perdente? Son categorie difficili da definire. C’è una canzone di Roberto Vecchioni, “Rossana”, in cui Cristiano, ripensando a Bergerac, a un certo punto si domanda: “Adesso non lo so se ho vinto io o lui che ti sognava”. Forse è sbagliato ragionare in questi termini.

C’è differenza tra la realtà che descrivi nei tuoi libri, la vita vera e quella che sogni Tu ?

Si può dire che la realtà nei miei libri cerca di mettere insieme quella vera e quella che sogno.

Federico, tu sei un talento e la prassi vuole che i cervelli fuggano via dall’Italia. Tu che farai?

Eh, a me spesso pare che anche senza talento ogni tanto convenga fuggire. Comunque per il momento l’idea è di fermarsi qui e continuare a lamentarmi.

5 battute flash a 5 domande di attualità:

1- Cosa pensi dei politici italiani?

È una domanda forse un po’ vaga, e un po’ vaga è anche la mia risposta, anche qualunquista, ma diciamo che non mi piacciono i politici in generale, né italiani né stranieri, è come se non riuscissi a fidarmi del tutto di chi in fondo, a prescindere dalla bontà delle sue intenzioni, cerca il potere, che sia di uno stato o di una sottocommissione.

2 – Di Berlusconi?

In America, che vien detta la più grande democrazia, hanno un sistema che limita il tempo di governo di un uomo, lo trovo un fattore molto democratico, questo fa sì che Bush abbia potuto distruggere gli Stati Uniti per un massimo di due mandati, ecco, credo che Berlusconi abbia distrutto l’Italia per un tempo sufficiente, ora tocca a qualcun altro poterla distruggere.

3 – Delle feste di Arcore e dei suoi invitati?

C’è un po’ questo nuovo trend del “ognuno è libero di fare quello che gli pare“, son d’accordo, lo dicono da anni anche i gay, o gli antiproibizionisti, o i malati terminali che cercano una soluzione, e tante altre persone cui viene impedito l’esercizio di qualche libertà personale da quegli stessi che “ognuno è libero di fare quello che gli pare“.

4 – Delle inchieste giornalistiche che si sovrappongono a quelle giudiziarie?

Non direi che ci sia una sovrapposizione dei giornalisti ai giudici, ognuno esercita il suo mestiere, i giornalisti dovrebbero cercare le notizie e informare, i giudici cercare la verità e giudicare. A guardar bene, al di là dell’esito, non sono lavori così distanti se condotti con serietà. Poi è vero che ci sono quelli poco seri.

5 – Della Guerra in Libia?

Una risposta sintetica a una domanda così complessa mi riesce molto difficile, diciamo che come paese non è che ne usciamo esattamente a testa alta.

Grazie Federico e in bocca al lupo per il tuo nuovo romanzo e per i tuoi progetti futuri.

Grazie a te e, come si dice, crepi il lupo.

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