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“La grande bellezza”: Paolo Sorrentino a Torino

Creato il 01 giugno 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online
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C. Medusa Film

In questi giorni è nelle sale “La grande bellezza“, film di Paolo Sorrentino.
Al sesto lungometraggio il regista napoletano è al culmine della sua carriera.
Anche per questo film presentato a Cannes (come i suoi celebri “Le conseguenze dell’amore”, “Il divo” e l’internazionale “This must be the place”) l’accoglienza è stata trionfale; nel nostro piccolo è stata ricreata a Torino il 30 maggio al cinema Massimo, dove il regista ha presentato personalmente il film. Tutto esaurito e moltissimi giovani, cosa che Sorrentino ha desiderato sottolineare, ammettendo di esserne piacevolmente sorpreso.

Parlando specificatamente del suo rapporto con Roma, ha voluto chiarire quanto questo film sia una dichiarazione d’amore piuttosto che una critica, ma di come abbia voluto descrivere come al tempo stesso, all’interno di una comunità grande come quella della capitale, convivano diverse anime che stanno andando incattivendosi. Le persone che vi arrivano, infatti, sono lì per coronare i loro sogni e tendono a prevaricarsi: tutti hanno qualcosa da dire, ma nessuno riesce ad ascoltare.

Questa dichiarazione è un po’ il motore del film e ne è  anche il filo conduttore: sproloqui letterari, dissertazioni pseudo-politiche, e speculazioni sul nulla bevendo vino su un terrazzo che dà sul Colosseo sono il pretesto per descrivere un mondo così  frivolo, vuoto e distante da quello reale.

Jap Gambardella,il protagonista interpretato da Toni Servillo (attore feticcio per eccellenza di Sorrentino), presentato subito da un suo monologo, si auto-definisce non un semplice festaiolo, bensì il re dei mondani, ed attorno a lui si snodano diverse vicende: l’amico Carlo Verdone, sfortunato in amore (come sempre) e deluso dall’ambiente in cui vive; Galatea Ranzi (attrice teatrale che vanta molteplici collaborazioni con Ronconi) ex-attivista politica, impegnata in sceneggiature di reality show, e tanti altri che scopriamo attraverso gli occhi di Jap, attento osservatore, definito dallo stesso Sorrentino “il mio Virgilio”, che ci accompagna alla scoperta di questo inferno paradisiaco che alterna musica commerciale a cori gregoriani, in una contrapposizione tra sacro e profano.

Un American Beauty italiano, un compendio dell’esistenza magistrale e girato con garbo, una ricerca della bellezza all’interno delle grandi contraddizioni di una vita. Un’alchimia che prende e affascina, diverte e commuove, lasciando quel gusto dolceamaro tipico del cinema italiano.

Per questo motivo molti critici lo hanno paragonato a Fellini, con un tocco di Malik, e, a giudizio personale, dei dialoghi/monologhi alla Woody Allen.

Un percorso onirico, un viaggio presentato dalla citazione iniziale di Viaggio al termine della notte, di Celine “Viaggiare è molto utile, fa lavorare l’immaginazione, il resto è solo delusioni e pene. Il nostro viaggio è interamente immaginario, è là la sua forza”, ed esplicato nei meravigliosi movimenti di macchina, veloci e fluidi, che catturano l’attenzione e riescono a dare una sensazione immaginifica di altrove.
Il tutto coronato da una fotografia molto suggestiva che da un lato è mozzafiato e dall’altro è di grande respiro.

Articolo di Silvia Cannarsa


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