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La Grande Madre di Milano

Creato il 09 novembre 2015 da Leggere A Colori @leggereacolori

Manca poco meno di una settimana alla chiusura dei battenti di Palazzo Reale, fronte Duomo, della mostra più chiacchierata del 2015.

A cura di Massimiliano Gioni, sostenuta dalla Fondazione Trussardi, l’esposizione La Grande Madre, dai numeri titanici, oltre quattrocento le opere presenti, racconta la femminilità e la sua negazione fino alla riconoscibilità dell’oggi dai tempi più remoti.

Bulimica fin dalle prime sale, onnivora, vulcanica, la mostra trattiene a stento la propria esuberanza espositiva, per spingerci in un vortice comunicativo pantagruelico, risultato di un agglomerato corposo di testimonianze espressive che confermano la presenza femminile nell’incidenza genitrice culturale figurativa e sociale fra ventesimo e ventunesimo secolo.

Soggetto e protagonista, la madre/donna dell’esposizione, si espande faconda negli oltre 2000 metri quadrati di superficie del piano nobile di Palazzo Reale, lungo la rappresentazione di un secolo di conflitti tra emancipazione e tradizione, soffermandosi sulle trasformazioni di genere, la percezione del corpo, dalla quotidianità all’eroico, e su temi come violenza, aggressione, privazione e povertà. Non è assente lo spazio per il lirismo, la drammaticità, il rapporto madre/figlia e, naturalmente, una riflessione sul nodo interdipendente, come nel caso di Filippo Tommaso Marinetti e Benedetta Cappa, sulla coppia nell’arte.

Impossibile e forse superfluo sintetizzare il bacino prodigo e traboccante dei nodi genitoriali dell’esposizione: il suo andamento a tratti errante, quasi nomade fra opere, autori e materia torna sovente su se stesso fino a reiterare forme e contenuti, a confermare che una sola grande madre feconda non può contenere o esaurire la prodigiosità del soggetto.

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In questo oceano traboccante di spunti, sollecitazioni e appelli, senza alcuna volontà di oscurare il talento di alcuno, una segnalazione va fatta a tre artiste dal grande talento visionario: la svedese Nathalia Djurberg, classe 1978, videomaker graffiante, astro ormai consolidato della tecnica dello stop motion, che anima di vita propria creature di plastilina dai movimenti compulsivi che finiscono con l’assumere i caratteri di una umanità surreale, diversamente armonica fra ossessioni, attrazioni e repulsioni.

La perenne Louise Bourgeois, del 1911: una garanzia, una patente di possenza che irrora negli spazi espositivi immanenza piena e femminea eppure inquietata e spettrale: le sue dolls rosa, piccole povere sculture cucite che rimandano all’essenzialità delle veneri cicladiche, raccontano una maternità acuita, lancinante e solitaria, prima dell’anima che dell’essere. Infine una scoperta: Valentine Hugo, illustratrice di fino Ottocento di Paul Eluard, capace di rappresentare le costellazioni sul corpo di una donna. Precorreva i tempi Valentine Hugo: è così che noi oggi vediamo la società in cui maschile e femminile convivono, un composito insieme di astri fatto per brillare insieme l’uno senza oscurare l’altro.

A Milano, ancora per pochi giorni, la Grande Madre: fate anche voi le vostre scoperte!

Sito ufficiale



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