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La guerra è dichiarata, di V. Majakovskij

Creato il 19 agosto 2014 da Annalina55

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Sat, 22 Mar 2014 20:42:04 GMT
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majakovskij

La guerra è dichiarata è una poesia scritta nel 1914, proprio all’inizio della prima guerra mondiale, dal poeta e drammaturgo russo Vladimir Vladimirovič Majakovskij, cantore della rivoluzione d’ottobre e grande interprete della cultura russa post-rivoluzionaria.

La poesia fa parte della raccolta Semplice come un muggito del 1916; a differenza di diversi intellettuali europei che accolsero con entusiasmo la guerra, primi fra tutti i futuristi che la esaltarono, per Majakovskij la guerra non è altro che sangue, distruzione e morte. Egli sente risuonare nelle strade gli annunci della dichiarazione della guerra e assiste all’euforia della gente nei caffè e dei soldati che raggiungono la piazza pronti a combattere. A questo entusiasmo vengono contrapposte le immagini che esprimono la condanna del poeta russo, per tale evento infatti egli già vede la piazza di Mosca percorsa da rigagnoli di sangue, dal cielo piovere lacrime di sangue e dal fronte nevicare brandelli di carne umana. La posizione del poeta è pacifista ed umanitaria quindi alla quale corrisponde una posizione anche sul piano artistico, l’artista, secondo il poeta, è assertore di nuove tendenze e concezioni, di un nuovo modo di fare poesia che è contemporaneamente efficace dal punto di vista politico e creativo dal punto di vista linguistico. Le innovazioni riguardano soprattutto il linguaggio, essenziale, arricchito di espressioni popolari; in questo senso l’opera d’arte per Majakovskij è lo specchio della realtà, una sorta di mandato sociale per scuotere le coscienze e smuovere gli animi in un determinato momento storico.

Riportiamo la poesia:

<<Edizione della sera! Della sera! Della sera!

Italia! Germania! Austria>>

E sulla piazza , lugubremente listata di nero,

si effuse un rigagnolo di sangue purpureo!

Un caffè infranse il proprio muso a sangue,

imporporato da un grido ferino:

<<Il veleno del sangue nei giuochi del Reno!

I tuoni degli obici sul marmo di Roma!>>

Dal cielo lacerato contro gli aculei delle baionette

gocciolavano lacrime di stelle come farina in uno staccio,

e la pietà, schiacciata dalle suole, strillava:

<<Ah, lasciatemi, lasciatemi, lasciatemi!>>

I generali di bronzo sullo zoccolo a faccette

supplicavano:<<Sferrateci, e noi andremo!>>

Scalpitavano i baci della cavalleria che prendeva commiato,

e i fanti desideravano la vittoria-assassina.

Alla città accatastata giunse mostruosa nel sogno

la voce di basso del cannone sghignazzante,

mentre da occidente cadeva rossa neve

in brandelli succosi di carne umana.

La piazza si gonfiava, una compagnia dopo l’altra,

sulla sua fronte stizzita si gonfiavano le vene.

<<Aspettate, noi asciugheremo le sciabole

sulla seta delle cocottes nei viali diVienna!>>

Gli strilloni si sgolavano: <<Edizioni della sera!

Italia! Germania! Austria!>>

E dalla notte, lugubremente listata di nero,

scorreva, scorreva un rigagnolo di sangue purpureo.

 

Majakovskij è in polemica con la guerra poichè in essa non vede nulla di eroico ma solo un furore, un entusiasmo bestiale che colora la neve col sangue e coi brandelli di carne umana. Emblematica  è l’immagine del cannone che in quel folle delirio sembra sghignazzare come un mostro terrificante sorprendendo di notte la città mentre dorme.
Da quest’opera al poeta russo può essere accostato il ruolo di agitatore, di disturbatore sociale, in virtù della sua concezione dell’opera d’arte e della funzione che essa deve avere, dato che egli è stato un determinato sostenitore della rivoluzione bolscevica, in nome della quale, ha composto opere sia drammatiche che umoristiche.

La follia che sembra aver invaso tutti è espressa con toni grotteschi dall’immagine assurda delle statue di bronzo dei generali che supplicano addirittura di voler essere liberati per andare a combattere. La poesia, che consta di quartine di versi a rime alternate, è ricca di analogie (scalpitavano i baci della cavalleria), metafore e similitudini (gocciolavano lacrime di stelle come farina in uno staccio) conferendo all’opera maggiore immediatezza e simbolismo. L’ultima strofa ripete la prima con variazione del terzo e quarto verso.

 


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