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La guerra: scenari - Scacco al califfo in tre mesi (Inchiesta l'Espresso/2)

Creato il 30 novembre 2015 da Tafanus

La guerra: scenari - E i parigini si arruolano (Inchiesta de l'Espresso - 2° parte)

Mosul

Mosul

I francesi corrono ad arruolarsi e, dopo il 13 novembre, affollano i Cipra (Centro di informazione e reclutamento forze armate) per presentare domanda ed entrare nell'Armée. La carneficina di Parigi ha triplicato il numero di richieste giornaliere, salito da 500 a 1500. Anche i cittadini della capitale, solitamente i più restii ad indossare la divisa, stanno rispondendo come non era mai successo in passato ed è raddoppiato il numero di chi vorrebbe scegliere la vita militare: da 15 a 30 domande al giorno. Tanto da far sembrare inutili i manifesti pubblicitari che erano stati affissi nelle metropolitane per favorire l'arruolamento.

Il presidente François Hollande dopo gli attentati di Charlie Hebdo e Vincennes di gennaio aveva deciso di rinunciare ai tagli alla difesa che erano già stati annunciati tanto che nell'intero 2015 dovrebbero essere in totale 15.000 le nuove reclute. Per l'anno prossimo il numero dovrebbe salire a 16.000 e fino al 2019 è stato deciso di soprassedere a tutti i tagli che erano stati previsti in un piano di spending review ormai obsoleto.

C'è sicuramente un fattore emotivo che incide in questo slancio. Ma anche una voglia di partecipare attivamente alla sicurezza del Paese. il terzo motivo, quello presente non da oggi, è, per le classi più svantaggiate, la ricerca di un impiego fisso. L'età media dei volontari è di 25 anni, alta la percentuale delle ragazze. Nel settore della sicurezza, oltre all'esercito, si aprono anche altre prospettive di lavoro. Hollande ha annunciato la creazione di 5.000 posti supplementari nella polizia e nella Gendarmeria, 2.500 nella giustizia e 1.000 nelle dogane.

Anche i privati sono alla ricerca di personale: le società che forniscono guardie del corpo sono subissate di richieste da parte di vecchi e nuovi clienti. La società "Securitas" ha ammesso: «Dal 13 novembre abbiamo mandato 800 agenti in rinforzo ma dal lunedì successivo non siamo riusciti più a soddisfare tutte le richieste». Dunque altre assunzioni. C'è anche chi, meno militarista, pensa all'aiuto delle persone. La Croce Rossa e la Croce bianca hanno ricevuto il 30 per cento di domande in più.

Il Califfato è ricco, ma non troppo

Le stime che ipotizzano entrate annue oscillanti tra uno e due miliardi di dollari vengono ridimensionate da molti esperti, che ritengono più corretto parlare di importi limitati a qualche centinaio di milioni di dollari. E sono pochi a credere che questo sia frutto delle donazioni di magnati fondamentalisti, del Qatar o di altri emirati. Lo Stato islamico infatti hadimostrato di sapersi autoinanziare.

C’è un documento eccezionale per comprenderlo: il bilancio della provincia creata nella Siria orientale, diffuso dal ito di Aymenn Jawad Al-Tamini. Si tratta del budget relativo al gennaio scorso.

I proventi vengono per il 27 per cento dalla vendita di petrolio. Un altro 4 per cento lo incassano dalle bollette elettriche: garantire la luce in città devastate dalla guerra civile è stata una prova di eficienza dell’Is. Poi c’è un 23 per cento dalle tasse, riscosse in modo inflessibile. Ma i proventi più cospicui vengono dalla voce “conische”: oltre il 44 per cento. Di cosa si tratta? Proprietà di chi è fuggito e dei rivali imprigionati o uccisi; greggi e mandrie sequestrate ai contrabbandieri; sigarette, alcolici e altri prodotti occidentali requisiti per la legge coranica. Insomma, il profitto del Terrore.

LE SPESE -  Invece sostengono soprattutto lo sforzo militare. Il 43 per cento va nelle paghe dei miliziani e un altro 20 per mantenere le basi, inclusa la manutenzione di armi e veicoli. Un decimo sovvenziona la polizia islamica, voce che comprende i tribunali che amministrano la giustizia civile e dirimono le controversie commerciali. Il 17,7 per cento sostiene i servizi pubblici: riparazione delle strade, raccolta riiuti, assistenza medica, rete idrica. Poco meno del sei viene destinato agli aiuti: elargizioni per la popolazione oppure contributi per rilanciare l’agricoltura. Inine il tre per cento finanzia l’apparato mediatico di propaganda. Queste informazioni dimostrano però la capacità del Califfato nell’amministrare il territorio, tra paura e consenso. E la scarsa incisività dei raid occidentali, che non hanno scalito il business petrolifero. Solo nelle ultime settimane infatti i bombardamenti hanno preso di mira pozzi e installazioni che forniscono l’oro nero dell’Is.

UN MODELLO replicabile. L’attacco terroristico di Parigi, con le sue modalità inedite, «potrebbe essere ripetuto anche a Roma».

Lo rivelano a “l’Espresso” fonti governative e dell’intelligence che stanno studiando al rallentatore ogni fotogramma, ogni mossa compiuta dal commando di attentatori kamikaze che ha colpito sei volte in 33 minuti nella capitale francese nella tragica notte di venerdì 13 novembre. Un attacco senza precedenti in Francia, si è ripetuto ino alla nausea, ma gli esperti danno corpo alla frase fatta, i loro appunti rivelano che è stata n’azione segnata da tante “prime volte” per l’Europa. La prima volta di un assalto compiuto di venerdì, giorno di preghiera per i musulmani. La prima volta di una cintura esplosiva, indumento tipico del kamikaze che fa il suo debutto in Europa. La prima volta di attentati nella notte, che presuppone una maggiore conoscenza del territorio, per muoversi con agilità al buio. La prima volta, inine, di un commando composto da più gruppi di fuoco, almeno tre, coordinati tra loro, in grado di agire in un tempo relativamente breve, con obiettivi lontani tra loro sette chilometri e a venti minuti di distanza. Tutti elementi che fanno ritenere all’intelligence italiana che un attacco come quello avvenuto nella capitale francese possa essere replicato in Italia, a Roma. Un incubo sul tavolo di Palazzo Chigi, che giustiica il realismo, anzi la prudenza, di approccio di Matteo Renzi alla guerra all’Is. Prudenza che riguarda soprattutto un eventuale ingresso “in guerra” al ianco della Francia in base all’articolo 5 dell’Alleanza Alantica in cui si afferma che un «attacco armato » contro uno o più alleati della Nato va considerato come un attacco contro ogni componente, consentendo a ciascun paese di decidere le azioni che ritiene necessarie a «ristabilire e mantenere la sicurezza», compreso «l’uso delle forze armate».

L’incubo ha un nome. Si chiama eterodirezione. La replica in Italia dello scenario parigino: un commando misto di nativi del luogo e di terroristi arrivati da fuori o rientranti. Diretti dall’esterno. Fino ad ora in Italia si temeva l’attacco di “lupi solitari”, di cani sciolti, com’era successo in Francia il 7 gennaio con la strage a “Charlie Hebdo”, afidata all’azione individuale, lo spontaneismo senza vie di fuga. Senza pianiicare. Ora il pericolo è il piccolo commando organizzato: gruppi in grado di attuare progetti di morte sincronizzati e programmati.

Gli esperti di antiterrorismo ricordano che il 13 novembre di Parigi ricalca la mattanza di Mumbai, quando la città indiana fu scossa da dieci attentati terroristici il 26 novembre 2008. Avvennero simultaneamente nella metropoli centro finanziario dell’India e i morti furono 195. «L’Italia è esposta al pericolo», spiegano i responsabili dell’ordine. Per questo motivo le misure di sicurezza sono state innalzate a livello 2, il più alto prima del livello 1 che presuppone un attacco già in corso, con la reazione degli apparati di sicurezza, i reparti speciali delle forze di polizia da attivare «in  chi minuti» e il coinvolgimento delle forze speciali militari. E sono scattati i controlli alle frontiere, senza dichiarare la formale sospensione del trattato di Schengen, come hanno fatto altri paesi.

L’attenzione si è spostata nelle ultime settimane verso i Balcani: «sono stati negli anni Novanta la  culla del radicalismo jihadista, da lì arriva un imponente lusso migratorio, la possibilità di iniltrazioni è elevata». Gli spostamenti di soggetti a rischio, o sospettati di essere terroristi, sono segnalati periodicamente dall’Interpol alle forze di polizia. Così si fa rete e si protegge il Paese. Un modo per fare prevenzione è pure il monitoraggio nelle carceri. La sera dell’attentato a Parigi quattro dei 21 terroristi islamici detenuti nella sezione speciale del carcere di Rossano in Calabria hanno esultato al grido di «Viva la Francia libera» dopo aver saputo della strage. Un grido di gioia misto a sida per aver «liberato» la Francia dagli «infedeli».

Alcuni dei 21 detenuti appartengono alla cellula di al Qaeda e sono considerati soggetti attivi del  terrorismo. Non ci sono state reazioni in altri istituti di pena, dove la notizia è stata accolta in silenzio. Come in silenzio è rimasto l’unico musulmano sottoposto al 41 bis, il carcere duro. È un libanese di nascita e italiano di adozione, non ha fatto alcun commento quando ha seguito le cronache in tv dei fatti e ha visto le immagini del minuto di raccoglimento. Lo stesso contegno hanno tenuto i boss maiosi.

In vista del Giubileo, che vedrà nella capitale l’aflusso di milioni di pellegrini, viene preso in considerazione il modello di sicurezza utilizzato a Milano per l’Expo, anche se questo si svolgeva in un luogo circoscritto. Ma per Renzi la partita della guerra asimmetrica si gioca soprattutto sul piano politico. Il pomeriggio del 14 novembre, poche ore dopo la strage, è stato convocato a Palazzo Chigi il tavolo nazionale anti-terrorismo, allargato a tutti i capigruppo parlamentari, Lega e M5S compresi. Un inedito clima civile, da unità nazionale, il contrario di quanto si è visto nei talk o in rete, con Matteo Salvini e il ministro Angelino Alfano impegnati in una gara all’insulto più infamante. È la quarta volta che il tavolo si riunisce. Ai presenti Renzi si è mostrato preoccupato: la strage di Parigi avrà conseguenze sull’umore degli italiani, dificile parlare di happy days in mezzo alla paura di essere uccisi, con qualche ricaduta economica negativa. La consultazione delle opposizioni sul terrorismo è una misura politica preventiva: coinvolgere tutti. Nessuno resti escluso. Non si sa mai.

 (di Lirio Abbate e Marco Damilano - l'Espresso)


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