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La inquieta e affascinante follia della parola

Creato il 22 luglio 2010 da Fabry2010

La inquieta e affascinante follia della parola

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di Roberto Roversi

Nelle pagine di prefazione (o di introduzione) di Francesco Pontorno è detto tutto ciò che si doveva dire, non c’è quindi bisogno di completare o aggiungere nulla, nello specifico e per l’occasione. Su queste pagine, posso semmai prendermi l’arbitrio, controllato, di stendere una breve riflessione semplicemente da lettore; su questo volume di Bordini che ha il merito e la forza (come è stato detto) di srotolare problemi, emozioni, violenze utili e riflessive. Proprio cosí.
Denso fino all’orlo, induce a questa disposizione problematica e alle piú specifiche considerazioni, entrando nel merito.
Dunque: è un breviario? è un libro di viaggio? un Wanderbuch con le relative implicazioni di sorprese e di risvegli intrisi di faticose consolazioni? Lo posso riavvicinare (si può dire?) alla dolorosa compulsiva agitazione letterariamente esaltante di Walser, al suo andare abbastanza intrepido, nelle sue passeggiate, sotto la sferza di una pioggia calda o fredda della vita? O è una autobiografia apertamente impietosa, tesa a scavare in ogni dettaglio delle giornate passate o perdute e a cercare di ritrovare una qualche unità con il dovuto vigore nelle regole ferree e sia pure dilacerate della scrittura?
Dico intanto che è un fiume. Un fiume che va e viene e si ripercuote, scorrendo, fra le rive. Ascolto il frusciare deciso delle parole (dell’acqua) sull’erba (le righe del testo, le parole che si aprono e si chiudono, si rinchiudono, scosse dal fiato dell’autore che le alimenta e non le lascia). Il fiume, cosí, delle parole non lo posso rallentare con le mani degli occhi; posso solo inseguirlo. Lo leggo come un ampio racconto, meglio: resoconto, epico in versi. Un progressivo testamento steso con una rabbia quasi feroce, però dentro a una luce forte. Posso dire: a cuore aperto? I vulcani, il loro misterioso cratere che sembra freddo e indifferente e che all’improvviso esplode, avvampa. Fuoriescono ceneri e fuochi, balzano a chilometri, in alto? Un Empedocle che ci gira intorno e si lascia, per fame di conoscenza, bruciare? Il racconto, cioè la poesia, si alza si abbassa, respira forte. Sfoglio (e leggo) le pagine; alle volte sembra di strisciare le mani sul tronco di un albero che trasmette il brivido del passare del tempo; che ha trapassato e ha resistito a cento naufragi di inverni, alle tempeste (della nostra esistenza turbata). Altre volte la pagina (le pagine) si apre e si ripiega docile, come un ramo nella fioritura di primavera, poi torna a distendersi, improvvisa, in un canto di qualche melodia; come fosse toccata (sfiorata)
dalla memoria che sopravviene e adagio la esalta. I buoni volumi di poesia hanno sempre, a mio parere, un contenuto
esplosivo; perciò, sempre a mio parere, vanno maneggiati (letti, riletti) con cura, con lo scrupolo di una attenzione costante per ogni dettaglio. Per arrivare al fondo, a percepirne il respiro interno, il mormorio (appunto) delle acque, il fuoco dei tramonti (appunto) il fiume Pecos e i bisonti che bivaccano vicino e osservano il cielo e non sanno che stanno aspettando la morte. Eppure sono scossi da un tremito. Nelle pagine densissime del prefatore è già detto tutto (lo ripeto) e si è portati a ben intendere, a capire. Ripeto: il volume è buono nel senso pieno e autentico di portatore di
umori, di valori, di rabbie e furori autentici (introiettati e distesi) . Aiuta, nella lettura, l’empito (trascinante) quasi eroico nei termini della pazienza e dell’infinita resistenza e insistenza sugli inestricabili (e affascinanti) lacci e legami che compongono (confortano o addolorano) una esistenza umana. Una vita vissuta. Per richiamarmi all’inizio di queste righe, direi proprio che questo libro è una autobiografia in frenetico dettaglio. Lo è; come i libri che contano e che parlano. Facendosi ascoltare.



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