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La lana della salamandra

Creato il 14 febbraio 2012 da Alesan
La lana della salamandraNel constatare che anche per la giustizia italiana, e non solo per quella etica e morale, i gran capi di Eternit sono dei criminali, mi spingo a consigliare un libricino che lessi qualche anno fa e che mi spiegò, con le parole dei sopravvissuti e quelle di chi non ce la fece, quello che è il dramma di Casale Monferrato. Eternit è diventato sinonimo di morte in un tempo troppo recente rispetto alla sua storia, in una ricerca che riuscisse a correlare il cancro all'amianto durata 40 anni, in una battaglia condotta dai cittadini di Casale che perde le proprie origini in un tempo lontanissimo. La lana della salamandra di Giampiero Rossi (Ediesse, 2008), giornalista d'assalto diremmo per questa opera, è una storia devastante ma che si lascia leggere con attenzione e delicatezza, senza scagliare mai nel baratro il lettore, colpendo però allo stomaco come solo una terribile malattia potrebbe fare. Rossi ripercorre la storia della fabbrica, della città, delle persone, dell'Associazione delle vittime, delle organizzazioni, delle donne e degli uomini che a un certo punto lottarono perché la verità emergesse. Lottarono per gridare che l'amianto faceva ammalare. E uccideva.
La storia dell'amianto assume i magici contorni di una fibra in grado di resistere alle altissime temperature tanto che un'antica credenza portò a definirla, appunto, la lana della salamandra perché, proprio come l'animale, poteva sfidare il fuoco senza subire danni. Ma di magico non c'era nulla. Il libro ci porta ai primi operai Eternit che si ammalano dopo decenni, al tentativo di far riconoscere come malattia professionale l'asbestosi, una malattia polmonare cronica derivata dall'inalazione di asbesto, un nome più difficile da ricordare per definire nient'altro che l'amianto. E poi il tentativo di ricollegare quelle morti, che avvenivano lontane nel tempo, all'amianto che gli operai e i cittadini respiravano grazie alla Eternit. Un materiale indistruttibile con cui hanno costruito per decenni i nostri elettrodomestici, rinforzato le nostre vernici, costruito i freni delle nostre auto. Un materiale che celava un inganno mortale nel quale tutti credevano, come quei responsabili di produzione che per dar sicurezza ai dipendenti dell'Eternit di Casale, colti dai primi tremendi sospetti, entravano nelle zone produttive senza protezioni e consumavano un panino. "Visto?" avrebbero probabilmente detto. "Non succede nulla". Già, perché una volta inalata, una fibra di amianto, può portare asbestosi o il cancro, rimanendo una minaccia nascosta anche per trenta o quarant'anni. E così, anche quei responsabili, quegli impiegati, quei direttori di stabilimento, piano piano si ammalavano e morivano.
Al mondo intero è servito quasi un secolo per capire che l'amianto uccideva. Per metterlo al bando. Per far partire le bonifiche dei luoghi più colpito. Un secolo a contare più vittime che in una guerra, 2100 accertati nella sola Casale Monferrato, l'11 settembre dell'industria italiana. Eppure oggi, dopo una sentenza che è straordinaria a prescindere dagli anni affibbiati ai due titolari dell'azienda, perché ne riconosce il dolo, la colpa, la volontà, il disastro, fa parecchia tristezza vedere che non tutti i quotidiani abbiano deciso di aprire con questa notizia. Su alcuni, in prima pagina, non vi è nemmeno un richiamo. Perché certe menti devono sempre starci a spiegare come sarebbe bello il mondo se ascoltassimo loro e soltanto loro, e un po' gli scoccia ammettere che se la giustizia fosse sempre come quella di ieri il mondo sarebbe semplicemente un posto migliore. E forse non dovremmo sopportare l'onta e gli abusi degli ultimi due decenni.

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