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La maledetta orchestra di Memphis- Parte II

Creato il 22 settembre 2011 da Thinker

 Questa che v’apprestate a leggere è la seconda parte di cinque articoli in ossequio ai Memphis Grizzlies. Gli scritti verrano pubblicati con una cadenza di cinque giorni, quindi potrete leggere la Parte III lunedì 26,

Buona lettura

 

Tremilacento chilometri dividono Vancouver (nome derivato dall’esploratore britannico George Vancouver) -British Columbia, sud ovest canadese- e Memphis (nome derivato dalla città egizia di Menfi) -Tennessee, pieno Midwest. Per quanto ampia sia la lontananza fra queste due città; la distanza paesaggistica, sociale e culturale rimane più vasta.

La prima, cristallina e linda, viene lambita dall’Oceano Pacifico a ovest e abbracciata dai monti a est, il clima è costiero, il livello di vita alto e la criminalità pressocché nulla; diverse etnie si mescolano in un agglomerato fervido di umanità. La seconda, invece, sordida e laida, è nell’estremo sud ovest del Tennessee, la vita viene scandita dal compassato scorrere delle acque del fiume Mississippi, che rendono il clima prevalentemente umido e afoso, il tasso criminale viene annoverato fra i massimi degli Stati Uniti.

La maledetta orchestra di Memphis- Parte II

Memphis è ciò che nella NBA viene definito uno small market, ossia franchigia per il risanamento della quale è in corso il lockout. Infatti la città, essendo più piccola di Indianapolis o Charlotte, ha difficoltà ad attrarre free agents importanti e i risultati mediocri si riflettono in perdite monetarie data la pochezza delle vendite legate al merchandising e ai pochi spettatori disposti a pagare per assistere a una partita (Memphis ha sofferto del ventisettesimo posto nella classifica NBA riguardante gli spettatori paganti). L’unico aspetto che salvò i Grizzlies da una possibile contraction fu la clausola, ancora vigente, stipulata fra la franchigia stessa e il FedEx Forum, palazzetto dove si esibiscono, la quale prevede(va) un costo esoso nel caso la squadra di Heisley avessero cessato di giocarci.

Eppure Memphis respira il basket, Memphis è il basket. Insieme alle metropoli di New York e Los Angeles e allo stato dell’Indiana, la città del Tennessee è la maggiore fucina di talento cestistico al mondo. Negli ultimi trentacinque anni dai licei di Memphis sono usciti sedici giocatori NBA, tra cui: Larry Finch (a cui è intitolato il Finch Center, palestra affollata d’estate da professionisti per vari tornei), Afernee Hardway, Thaddeus Young, Lorenzen Wright e William Bedford.

Inoltre l’università locale, Memphis University, è uno dei college con più seguito e successo. Per ventitré volte si è qualificata effettivamente al torneo NCAA, è giunta alle Final Four in quattro stagioni e ha vinto la Conference USA cinque volte negli ultimi sei anni. Prima di diventare professionisti NBA trentatré giocatori hanno vestito la divisa dei Tigers, fra cui: Earl Barron, Rodney Carney, Joey Dorsey, Chris-Douglas Roberts, Cederic Henderson, Rich Jones, Larry Kenon, Elliot Perry, Derrick Rose, Darius Washington Jr., Shawne Williams, Tyreke Evans e Elliot Williams.

Per una franchigia NBA dividere la piazza con un’università prestigiosa è arduo, essendo lo sport collegiale quello su cui viene investito il maggior capitale emotivo dai tifosi. Accade agli Charlotte Bobcats (North Carolina, Duke, Wake Forest e North Carolina State), agli Indiana Pacers (Indiana, Indiana State, Purdue e Notre Dame) e accade ai Grizzlies. “They [Tigers] sucked all the oxygen out of the air in this city. There was nothing left for us. We were a nonentity”, disse Chris Wallace riferendosi alla condizione della squadra che dirige.

Le ingenti difficoltà economiche nelle quali i Grizzlies si trovavano spinsero Heisley a cercare acquirenti per la franchigia. Nel 2008, a tre settimane dalla fine della trade deadline, Pau Gasol, giocatore simbolo dei Grizzlies e leader tecnico, venne ceduto ai Los Angeles Lakers insieme a una seconda scelta al Draft 2010 (Devin Ebanks), per Knwame Brown, Javaris Crittenton, Aaron McKie, i diritti sul fratello di Pau, Marc, e prime scelte ai draft 2008 (Joey Dorsey, scelta ceduta a Portland) e 2010 (Greivis Vasquez, playmaker velezuelano di 198 centimetri da Maryland, attualmente a roster).

Wallace fu pesantemente attaccato da media e addetti ai lavori. Gregg Popovich, allenatore dei San Antonio Spurs diretti rivali dei Lakers al titolo, apostrofò il GM: “What they did in Memphis is beyond comprehension, there should be a trade committee that can scratch all trades that make no sense. I just wish I had been on a trade committee that oversees NBA trades. I’d like to elect myself to that committee. I would have voted no to the L.A. trade.”

Alle accuse Wallace rispose perentoriamente: “Everyone wants to go and do that catty gossip like some high school cheerleaders, and that’s something I don’t appreciate. It makes doing business a lot harder.”

I motivi per i quali lo scambio fu compiuto sono palesi tre anni dopo: i Grizzlies volevano: spazio salariale per muoversi nelle estati immediatamente successive (la stessa offseason fecero un’offerta al restricted free agent Josh Smith, eppure gli Atlanta Hawks pareggiarono), e talento giovane. Ma soprattutto l’obiettivo era rendere più appetibile il rilevamento della squadra di Hesley; infatti Pau avrebbe guadagnato quasi 50 milioni per tre anni, dissuadendo qualsiasi investitore dall’acquisto. Benché Wallace neghi recisamente, la correlazione è forte,“Heisley did not push me to do this. No one put pressure on me to do this, and Michael Heisley has actually been reluctant to move Pau. So this wasn’t about enhancing franchise value.”

Marc Gasol era uno sconosciuto, un grande punto interrogativo che durante il periodo liceale fece gemere la bilancia con i suoi 154 chili. Cresciuto anche lui, come il fratello maggiore, nelle giovanili del Barcellona aveva traslocato con la famiglia a Memphis da imberbe adolescente per seguire Pau.

Mike Conley Jr, figlio dell’argento olimpionico nel salto triplo Mike Conley Sr. e nipote di Steve Conley (linebacker NFL), quarta scelta assoluta al Draft 2007, ha sintetizzato la realtà umana dei Memphis Grizzlies: “We have a whole team full of guys who think that they’ve been snubbed and mistread”.

Uomini, storie, dolore, successo. Calcanti il parquet e maestri d’orchestra dalla panchina.

Come Lionel Hollins, head coach. Hollins giocò nella NBA, scelto dai Portland Trail Blazers nel Draft 1975. Guardia mancina fisicamente compatta, 192 centimetri di scienza della difesa (primo quintetto difensivo nel 1978); vinse da titolare il titolo con i Blazers nel 1977 segnando 14.7 punti di media. Dal 1979 giocò per i Philadelphia Seventy Sixers dove visse altre due finali NBA da protagonista.

Ritiratosi si accorse di quanto la pallacanestro fosse fondamento della sua vita e decise di divenire allenatore. Correva l’anno 2000 quando a Hollins venne offerto il posto di capo allenatore per rimpiazzare, dopo venti partite di stagione, Brian Hill. Il record nelle rimanenti sessanta fu 18-42 e fu licenziato. Umiliato, fece esperienza due anni in CBA (non ciò di cui si discute in questi giorni, bensì l’acquisto di Isiah Thomas) a Las

La maledetta orchestra di Memphis- Parte II
Vegas e St. Louis. Nel 2002 la NBA lo cercò, lo desideravano nuovamente a Memphis come assistente, prima di Sidney Lowe e dopo di Hubie Brown. La stagione 2004-2005 vecchia di dodici partite vide Brown abbandonare l’incarico e Hollins si assurse ad allenatore in comando per quattro partite. Quattro sconfitte. Jerry West, allora GM, lo sostituì con Mike Fratello. Seguirono due stagioni d’assistente e poi Hollins non volle più tornare in quel mondo che lo aveva bistrattato malignamente. Decise di smettere per quello che sarà un anno sabbatico dopo che i Milwakee Bucks gli offrirono un lavoro da aiuto-allenatore. Il 25 gennaio 2009 i Grizzlies rimasero senza allenatore, contattarono l’ex Blazers e lui accettò, con un compromesso: la nefasta etichetta “interim” non sarebbe mai più stata accostata al suo nome.

“Memphis is a tough town, and not everybody loves it. It sounded like me.”  Il “me” è Zach Randolph, pittore del canestro. Il viaggio di Z-Bo incomincia a Marion, Indiana, cittadella addobbata da trentamila anime, trentamila lavoratori. Cresciuto insieme ai fratelli dallo Stato perché mamma Moe non li poteva curare adeguatamente, fu prima notato dalla polizia che dagli scout NBA. A quattordici anni venne rinchiuso in riformatorio trenta giorni per aver rubato un paio di pantaloni da un negozio, nel 1997 -sedicenne- Zach spese un mese agli arresti domiciliari per aggressione.

Un pingue freshman si avvicinò al suo coach di High School e gli disse: “I will be an NBA player someday”. Due anni dopo però, il talento di Zach Randolph fu ingabbiato di nuovo in riformatorio, per aver cercato di vendere una pistola rubata. L’allenatore lo espulse dalla squadra nel suo anno da junior a causa della condotta.

Z-Bo tornò da senior, redento e redentore.

La lungimiranza del freshman fu accolta dai Blazers, che lo scelsero al Draft 2001 utilizzando la diciannovesima chiamata. Circa un anno prima Marion HS vinse il titolo statale trascinata da Randolph, eppure il premio di Mr. Basketball dello stato venne conferito a Jared Jeffries, creando una delusione incolmabile in Z-Bo. Giunto alle Final Four guidando Michigan State University, approdò nei Portland Jail Brazers. Visse per sei anni in un ambiente nocivo e malsano, nel 2002 problemi con la legge per aver bevuto alcolici quando non aveva l’età minima consentita, nel 2003 colpì con un pugno Ruben Patterson (tristemente autoproclamatosi Kobe-stopper) durante un allenamento; pochi mesi dopo la guida in stato d’ebrezza fece capolino nella fedina penale di Randolph. Nel corso del 2004 Z-Bo mentì alla polizia per proteggere il fratello che sparò sulla pista da ballo di un night club. Vinse il Most Improved Player Award lo stesso anno, la stagione seguente firmò un contratto da sei anni per 84 milioni, poi occorse un infortunio alla mano e Portland  lo cedette a New York. Vestì la maglia dei Knicks una sola stagione perché l’intento di Isiah Thomas era creare spazio salariale per LeBron James. Il 21 novembre 2008 i Los Angeles Clippers si assicurarono il giocatore di Marion. Durò una sola stagione e il 17 luglio 2009 Chris Wallace trascese il Randolph schedato dalla polizia e ci vide delle mani da liutaio montate su 213 centimetri, scambiò per ottenerlo Quenitin Richardson con i Clips.

Memphis, il riscatto morale e sociale di Zach. Qui lo amano, qui lui ama. Dopo trenta anni di pellegrinazione in ricerca della quiete interiore, ha trovato la sua dimensione nella metropoli consumata e affaticata dall’amabascia del disagio. Paga mensilmente le bollette a 15 tra le famiglie più disagiate, perché quando era piccolo lui acqua e elettricità non c’erano. Come dice il cappellano Ken Bennett: “The Memphis Player is a little rough around the edges, hit a few bumps in the road, maybe ran into some legal situations. We love those guys”.


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