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La metamorfosi dell’Artico

Creato il 20 agosto 2014 da Straker
La metamorfosi dell’Artico
Da tempo il ricercatore indipendente e documentarista, Dane Wigington, denuncia il problema dello scioglimento del pack e del permafrost artico. La vera causa del fenomeno è, come è ovvio, da ricercare nelle coltri chimiche che intrappolano il calore nei livelli basssi dell’atmosfera e nell’impiego dei riscaldatori ionosferici. La principale conseguenza della fusione dei ghiacci è il rilascio nell’atmosfera e nell’oceano di gas metano all’origine di un aumento delle temperature. Tale crescita innesca, in un circolo vizioso, un’ulteriore liquefazione dello strato ghiacciato. Intanto la “scienza” accademica vede qualche particolare, ma in modo sfocato o brancola (quando non finge di brancolare) nel buio, incapace di distinguere tra fattori naturali ed antropici, tra un riscaldamento che, se correlato solo ai cicli geologici, di per sé non è preoccupante, e manipolazioni climatiche. Il global warming diventa fonte di inquietudine, quando si inquadra nella cornice di una degenerazione ambientale provocata in modo deliberato dagli interventi distruttivi della geoingegneria clandestina.
Ha suscitato un notevole sconcerto tra gli studiosi il misterioso cratere apertosi in Siberia all’inizio del mese di agosto 2014. Si ritiene che questo tipo di voragine si generi per le bolle di metano compresse nel sottosuolo, espulse poi a causa dello scongelamento del terreno. Questo, però, è solo il primo di una serie di inquietanti fenomeni a cui potremmo assistere nei prossimi anni, tutti causati, secondo gli “scienziati”, dall’innalzamento della temperatura del pianeta.
David Biello, sulla rivista “Scientific American”, nota che le temperature in tutto l’Artico mostrano un incremento circa due volte più veloce rispetto a quello del resto del globo. “Ad un certo punto, potremmo assistere ad uno stato del permafrost che non è paragonabile a quanto osservato negli ultimi cento anni," spiega Guido Grosse, geologo dell’Istituto Alfred Wegener per la ricerca polare e marina.
Uno di questi processi è in atto in alcune regioni artiche dove è possibile osservare un fenomeno noto come termocarsismo. Il termocarsismo tende a modellare il suolo, plasmando superfici molto irregolari, bacini paludosi, piccoli monticelli, cumuli di detriti. Essi si formano quando il permafrost si scongela. Molti di questi bacini carsici conservano grandi depositi di metano che si disperdono in atmosfera a volte con fiammate.
La N.A.S.A. afferma che il permafrost artico ha accumulato grandi riserve di carbonio organico: si stima che siano immagazzinate tra le 1400 e il 1850 miliardi di tonnellate, la metà di tutto il carbonio organico accumulato nel suolo della Terra. “Il riscaldamento del permafrost minaccia di rilasciare queste riserve di carbonio organico e di immettere in atmosfera biossido di carbonio e metano, sconvolgendo l’equilibrio dell’Artico e aggravando notevolmente il riscaldamento globale”, spiega Charles Miller della N.A.S.A. Tuttavia, una ricerca separata indica che alcuni laghi artici sono in grado di assorbire più gas serra di quanto non ne emettano in atmosfera. Questo contrasta con la visione “scientifica” diffusa secondo cui lo scongelamento del permafrost accelererebbe il riscaldamento atmosferico.
Di chi è la colpa? In primo luogo dei geoingegneri, sebbene il fenomeno sia anche connesso all’attività solare ed a cicli naturali.
Uno studio condotto dal professor Liu Zhengyu dell’Università del Wisconsin-Madison sembra, infatti, contraddice l’opinione corrente che il riscaldamento globale sia determinato dalle attività umane. La ricerca di Zhengyu mostra che l’innalzamento graduale delle temperature globali cominciò circa diecimila anni fa, molto prima della presenza di situazioni antropiche in grado di incidere sul clima dell’intero pianeta. Le simulazioni realizzate dall’équipe di Zhengyu attestano che la tendenza all’aumento dei valori termici è un fenomeno tipico dell’Olocene, l’attuale epoca geologica.
Fonte: ilnavigatorecurioso.it

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