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La mia settimana nera

Da Ant0n3l


Volevo pubblicare questo post sull’altro blog, quello personalissimo e che leggono in due gatti. Poi ho pensato che, invece, La Voce delle Mamme ha più numeri (lo leggono in tanti) e, dato che parlo della VIDAS (La dignità della vita fino all’ultimo istante – Assistenza gratuita ai malati terminali a domicilio) a cui, sempre, andrà il mio ringraziamento infinito per tutto quello che ha fatto per me e per la mia famiglia, voglio che lo legga il più numero di gente possibile.
Inizia oggi, la mia settimana nera. Due anni fa (anche se a me sembrano due giorni), in questo periodo, ho vissuto momenti terribili ma anche immensi, che porto nel cuore (e non voglio smettere di farlo). Sono parte di me e testimoni di Amore puro. Momenti che, nella loro drammaticità, ho avuto la fortuna di vivere perché mi hanno dato tanto, mi hanno lasciato tanto, tanto Amore. Per sempre.

Il dolore che si prova quando si perde una persona cara, una persona che è sangue del tuo sangue, non è descrivibile a parole. Una parte di te muore con lei e, sai, non tornerà più, in alcun caso. 

Più grande del dolore per la morte di una persona cara, è quello che si prova a vederla soffrire, a soffrire in modo disumano. Ingiusto. E vi assicuro che, chi non ha mai vissuto un malato terminale, non ha idea, non può sapere quanto si soffra, tutti. Quanto male faccia, tutto.

Fanno male il senso di ingiustizia che respiri e quello devastante di impotenza. Vorresti fare qualcosa ma non puoi fare altro che stargli vicino, vivere e basta, con questa persona, gli ultimi giorni della sua vita (ma anche un po’ della tua). E portarteli, poi, nel cuore.

Impari a fare tutto, a misurare la pressione, a fare le punture (in principio direttamente nella pelle ma poi, quando ci sono troppi buchi e non c’è più pelle con la cannula, ed è più facile), ricordi a memoria orari e dosi delle medicine e non c’è rischio di sgarrare, gli asciughi il sudore massaggiando con un panno la sua schiena che, sai, gli dà sollievo e, ad ogni massaggio, pensi che te lo dovrai ricordare, poi, quel momento, perché è ancora corpo, e tu lo senti e puoi ancora toccarlo. 

Impari a gioire quando riesce a mangiare due forchettate di riso allo zafferano che, sai, gli piace tanto e magari, se glielo cucini, mangia.

Impari a godere di ogni secondo che rimane. A vivere ogni respiro, a incamerare ricordi. E parole.

Impari ad accumulare la forza che ti occorrerà, dopo.

Impari a vedere la bontà e la generosità di certe persone, l’aiuto immenso che ti danno i medici e i volontari della VIDAS

Impari il significato di “riconoscenza”, il vero significato di riconoscenza.

Impari a capire cosa voglia dire “Terapia del dolore”.
Impari a maneggiare morfina come se fosse pane quotidiano, come se fosse la vita.

E intanto odi, sempre di più, Dio. Perché non puoi prendertela con nessun altro. Impari ad andare al funerale di tuo padre e a non fare neppure la comunione perché capisci che non c’è nessuno da pregare e che Dio è, invece, dentro ognuno di noi. 

Impari che Dio siamo noi, con i nostri gesti, con la nostra vita.

L’ho fatta io l’ultima puntura a mio padre. E lo rifarei, perché so cosa voglia dire Amare.

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