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La micro intervista a: Such an amount of worse for you

Creato il 24 ottobre 2014 da Mamma In Oriente

Oggi ospite delle “Micro interviste” è un blog che seguo solo da qualche mese, ma che è diventato presto uno di quelli che prediligo leggere.

La micro intervista a: Such an amount of worse for you
Il suo nome è “Such an amount of worse for you”. Un nome, come ci spiega l’autrice Arya, che ha dentro di sé un significato profondo per tutti coloro che vivono lontano da casa.
Il non sentirsi più appartenere del tutto al paese d’origine, ma nemmeno a quello nuovo. Riporto direttamente parte della spiegazione che lei stessa dà del titolo del blog perché questa sensazione è descritta benissimo:

“E’ una vita in una terra di mezzo dove i confini si perdono e le abitudini si mischiano.
E’ il brivido del gap culturale, senza rete di protezione.
E’ la capacità di sentirsi a casa ovunque, con poco, ma anche la paura di non sentirsi più davvero di casa da nessuna parte.
E’ una storia comune, di coraggio e di follia, una storia di inappartenenza.”

Come ti vuoi presentare?

Sono Arya, una piccoletta nella terra dei vichinghi! Toscana di origine, chimico per studi, disoccupata da oltre un anno e dunque casalinga mio malgrado…al momento ho una pancia abitata per cui conto di aggiungere il termine mamma alla lista, anche se per ora mi pare uno scenario lontano e surreale.

Il perché del tuo espatrio?

La prima volta doveva essere solo per un anno, per fare la tesi di laurea in Germania. Sono poi tornata brevemente in patria, ma avevo già conosciuto quello che poi sarebbe diventato mio marito: svedese, chimico anche lui. Ho fatto di tutto per tornare da lui e lì sono rimasta. Abbiamo lavorato entrambi molti anni in Germania fino a che l’anno scorso lui ha trovato lavoro in Svezia e qui ci siamo trasferiti.

Se dico “casa”, qual è la prima che ti viene in mente?

Mi son resa conto che dipende dalla lingua in cui lo dici. Casa, in italiano, è la Toscana, la casa dei miei genitori. Ma “home” è stata a lungo anche in Germania, e adesso “hemma” è in Svezia. A volte dico che in fondo il bello dell’espatrio è sentirsi a casa un po’ ovunque…e forse da nessuna parte, a voler bene vedere.

La tua casa attuale la vivi come un transito o l’hai fatta tua personalizzandola?

Adesso per la prima volta possediamo l’appartamento dove risiediamo, che abbiamo ridecorato con grossa spesa di tempo e denaro. Ad onor del vero però, ho sempre investito molte energie anche negli appartamenti in affitto in cui ho vissuto negli ultimi otto anni. Personalizzo gli spazi, tingo pareti, compro mobili (senza spendere una fortuna) sempre sapendo bene che ogni casa, persino questa in cui vivo adesso, è solo una tappa. Questo non mi provoca senso di ansia o di instabilità, anzi mi sembra una prospettiva eccitante.

Il tuo luogo dell’anima in Italia? Un luogo dove ti senti bene.

L’oliveto dei miei genitori in Toscana, in una di quelle giornate di dicembre quando il cielo è terso.

Il tuo luogo dell’anima a Göteborg?

A Göteborg ci sono bellissimi luoghi, specie tra le isolette dell’arcipelago. La mia preferita è Vrångö, dove questa foto è stata scattata.

La micro intervista a: Such an amount of worse for you
Il mio vero luogo dell’anima in Svezia è però la “sommarstuga” dei miei suoceri, una casetta di legno in riva ad un lago nella regione di Småland.

La micro intervista a: Such an amount of worse for you
C’è una foto scattata da te o a te, appartenente alla tua nuova vita, che riveste un significato particolare?

E’ ancora una volta la foto precedente del mio luogo dell’anima, alla sommarstuga dei miei suoceri. Insieme a questa che mi ritrae sulla barchetta sulla quale stavo imparando a remare e da cui ho scattato la foto della casetta.

La micro intervista a: Such an amount of worse for you
Quello che nessuna parola può descrivere è l’immenso senso di pace che vi si respira! La più grande lezione che la Svezia mi ha dato è l’amore per il contatto con la natura.

Una cosa o un oggetto che ti segue in tutti i traslochi?

Due cuscini a righe multicolore: i primi oggetti di arredamento che comprai per la mia cameretta da studente in Germania. Non certo perché di grande valore, ma perché rappresentano il mio sforzo di sentirmi a casa ovunque.

L’abitudine svedese che hai fatto tua?

Sono molte, ne ho contate almeno dieci una volta. Le principali sono: mi tolgo le scarpe entrando in casa, mangio salato a colazione e ho abolito le scarpe eleganti in favore di quelle adatte alle intemperie. Ah… e a letto abbiamo due coperte singole, non la matrimoniale!

L’abitudine italiana a cui non sai rinunciare nemmeno lì?

Il caffè! Noi beviamo solo espresso a casa, anche se fuori mi adatto di buon grado al caffè da filtro, quello che si trova sia in Svezia che in Germania. Sono orgogliosa di aver convertito anche mio marito.
E poi l’olio d’oliva invece del burro, specie se sono così fortunata da riuscire a trasportare fin qui quello dei miei genitori.

Cosa fatichi ad accettare della Svezia?

Forse la loro fobia dei conflitti, che li porta a valutare in modo negativo le esplosioni emotive che per noi sono tanto naturali. Vengo ancora redarguita per il mio modo di alzare la voce quando mi infervoro in una discussione!

Affetti esclusi, cosa ti manca di più dell’Italia?

Lo ammetto: mi manca la ”cecina” o torta di ceci che, fuori da un ristretto fazzoletto d’Italia, risulta introvabile. Una stupidaggine, lo so, ma è proprio un sapore di casa. E poi certe espressioni toscane, perché qualcuno con il quale parlare italiano si trova facilmente, ma il dialetto diventa un suono lontanissimo.

Se immagini il tuo futuro, d’istinto, senza se e senza ma, dove ti vedi?

In Svezia. Non necessariamente qui a Göteborg, il nostro sogno sarebbe una casa fuori città, con tanta terra intorno. Da quando conosco mio marito, la Svezia è sempre stato il paese dove sognavo di far nascere e crescere dei figli.

Vuoi dire qualcosa per concludere?

Quando si espatria si rischia di oscillare tra due estremi: da un lato vedere il paese di arrivo come un luogo perfetto, dall’altro guardare a quello che abbiamo lasciato con una nostalgia che lo trasforma in un paese ideale. Nessun paese è perfetto anche se magari un paese si può adattare alle nostre esigenze meglio di altri. Quando sento svedesi criticare l’Italia, o italiani criticare la Svezia (idem per la Germania prima) io mi irrito in egual misura. È un po’ come quando un estraneo critica la nostra famiglia: anche se sono le stesse critiche che faremmo noi, non va lo stesso bene!

Grazie Arya per esserti fatta conoscere meglio!
p.s.: il tuo luogo dell’anima è meraviglioso, mi ci troverei benissimo anch’io!!

Se ti sei perso le altre “Micro interviste” leggile qui:

La Micro intervista a “Still Words”

La Micro intervista a “Blu Indigo”

 


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