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La morte di Savita Halappanavar accende il dibattito sull’aborto in Irlanda e provoca una crisi con l’India

Creato il 17 novembre 2012 da Cagliostro @Cagliostro1743

 

La morte di Savita Halappanavar accende il dibattito sull’aborto in Irlanda e provoca una crisi con l’India
Il caso di Savita Halappanavar, la trentunenne indiana morta di setticemia in Irlanda dopo che le è stato negato di abortire, ha inevitabilmente acceso il dibattito sull’interruzione di gravidanza.
Questa vicenda ha provocato un incidente diplomatico tra Irlanda ed India. L’ambasciatore indiano Debashish Chakravarti ha dettoche la donna sarebbe ancora viva qualora fosse stata curata in un ospedale indiano e che l’episodio ha provocato forti turbamenti nella comunità indiana in Irlanda e Regno Unito. Lo stesso The Times of India in un editoriale scrive che il divieto di abortire ha portato via una vita e si domanda come il bando all’interruzione di gravidanza possa conciliarsi con una visione “pro-life”?
Nel frattempo il movimento pro-choice irlandese si sta mobilitando e subito dopo la notizia della morte di Savita, duemila persone si sono radunate davanti al Parlamento irlandese per ottenere una legge più permissiva sull’interruzione di gravidanza mentre altre dimostrazioni sono state organizzate nel Regno Unito, in Belgio, a New York, a New Delhi ed a Bangalore.
A Dublino 20mila persone hanno marciato sino al parlamento scandendo lo slogan «Mai più». I dimostranti pro-choice sono stati osteggiati da alcuni attivisti anti-aborto. Sul manifesto di uno di questi si poteva leggere: «Milioni di bambini innocenti non ancora nati devono essere sacrificati a satana per la morte di una donna?». Altre manifestazioni pro-choice si sono tenute a Galway, Cork, Ennis, Clonakilty, Carlow, Limerick, Letterkenny, Kilkenny e Sligo.
Il padre di Savita si è rivolto pubblicamente al capo del governo: «Signore, la prego di cambiare la sua legge e di prendere in considerazione l’umanità. La prego di cambiare la legge sull’aborto che aiuterà a salvare la vita di tante donne in futuro».

 

Il senatore irlandese David Norris ha chiesto al governo di pubblicare un rapporto sulla riforma della legge sull’aborto nel Paese: «Questo rapporto deve essere pubblicato immediatamente. Lo stiamo aspettando da venti anni da quando il caso X ha stabilito che le donne potevano abortire se le loro vite erano in pericolo». Il caso X riguarda la decisione del 1992 dell’Alta Corte di Dublino che ha vietato ad una quattordicenne stuprata di partire per il Regno Unito per accedere all’interruzione di gravidanza: in quel caso la Corte affermò che l’aborto era consentito solo in caso di pericolo per la vita della madre. Anche allora migliaia di persone erano scese in piazza chiedendo che la ragazza fosse libera di andare in Gran Bretagna.
In Irlanda nel frattempo è cambiato l’atteggiamento nei confronti dell’interruzione di gravidanza e la maggior parte dei cittadini sono a favore della legalizzazione. L’attivista pro-choice Goretti Horgan scrive sul Guardian che l’aborto ormai è parte integrante delle donne irlandesi e l’opinione pubblica è in gran parte pro-choice: «Nessun referendum ha mai offerto gli irlandesi la possibilità di votare per una legislazione meno restrittiva sull’aborto. Eppure, nel 2004 un sondaggio da parte dell’agenzia governativa sulla gravidanza ha rilevato che il 90 per cento delle persone tra i 18 e i 45 anni di età era a favore dell’aborto in determinate circostanze mentre il 51 per cento delle donne pensava che dovrebbero avere il diritto di abortire». L’attivista riferisce che ci sono state già altre donne morte per non aver potuto abortire, come Sheila Hodges e Michelle Harte a causa di un cancro aggravato dalla gravidanza, ma nessuno di questi casi è emotivamente forte come quello di Savita.
Un referendum del 1992 ha garantito alle irlandesi di espatriare per abortire e Horgan scrive che «A seguito di ciò, il numero di donne che viaggiano in Inghilterra è passato da 4.402 nel 1993 a 6.673 nel 2001. Successivamente questi numeri si sono ridimensionati grazie ad una campagna del governo promuovere la contraccezione». Ovviamente sono costrette ad andare all’estero per abortire anche le donne che sono state stuprate.
L’attivista continua: «I termini del dibattito si sono trasformati. In programmi è possibili sentire donne che telefonano per raccontare come hanno raccolto il denaro per viaggiare per un aborto e chiedendo il motivo per cui non è possibile ottenere abortire qui. All’inizio di quest’anno, quattro donne sono apparse sulla tv irlandese più seguita chiedendo perché erano state costrette ad andare in Inghilterra per terminare la gravidanza malgrado gli fosse stato detto che il feto non poteva vivere dopo la nascita. Molte donne irlandesi della classe operaia non possono permettersi di pagare per un aborto privato in Inghilterra, acquistano pillole su internet e si auto-procurano l’aborto».
È chiaro che il governo irlandese dovrà offrire alcune risposte sia all’opinione pubblica che alla comunità internazionale: alcuni ministri e membri del partito di maggioranza Fine gael si sono espressi a favore di una riforma in materia. L’attuale legge sull’aborto è stata criticata anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e da cinquantatré europarlamentari di quindici diversi Paesi europei che hanno scritto una lettera al capo del governo irlandese Enda Kenny.
La questione pone al centro del dibattito anche la Chiesa cattolica irlandese che si oppone ad ogni cambiamento della legge: «I fatti ci dimostrano che in realtà abbiamo uno dei più bassi livelli di mortalità materna nel mondo, il che significa che le pratiche che abbiamo stanno producendo i risultati che dobbiamo rispettare», ha detto l’arcivescovo di Dublino Diarmuid Martin.
Nonostante la Chiesa sia ancora molto influente il suo peso è sensibilmente diminuito anche a causa degli scandali sessuali in cui è stata coinvolta: inoltre pur essendo l’Irlanda un Paese fortemente cattolico la contraccezione è ampiamente diffusa, dal 1996 è possibile divorziare e dall’anno scorso sono legali le unioni civili anche per le coppie dello stesso sesso.


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