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“La natura amica e la difesa del silenzio: la poetica di Michela Tombi”, a cura di Lorenzo Spurio

Creato il 21 marzo 2016 da Lorenzo127

La poetica di Michela Tombi, poetessa pesarese che negli ultimi anni ha ottenuto vari riconoscimenti in premi letterari, si caratterizza per la soavità dei contenuti e la descrizione attenta del suo mondo personale e ambientale. Il linguaggio, sempre sostenuto da introspezioni molto profonde, sembra manifestare una certa allergia nei confronti delle forme retoriche che spesso, banalmente e smodatamente, vengono impiegate in poesia con lo scopo unico di impressionare il lettore o di sviarlo da una più diretta interpretazione.

Nelle poesie di Michela Tombi non c'è niente di ermetico né di ostico, tutto è felicemente trasposto sulla carta con una forma semplice in grado di raggiungere tutti, con un'esattezza descrittiva che si sposa a un'efficace restituzione di immagini. Sebbene siano presenti in alcune liriche versi che reiterano la parte introduttiva, non siamo dinanzi a delle vere e proprie anafore, piuttosto -sembrerebbe- all'esplicitazione di un ragionamento che la Nostra va facendo, man mano, a voce alta, rendendoci partecipi delle sue disquisizioni e pensieri.

La prima plaquette pubblicata si trova sotto il titolo di Dedica al mistero (2013) ed è ben evidente da questo titolo quanto la Nostra, oltre ad essere particolarmente affezionata -come si vedrà- al mondo naturale, sia legata anche al mondo della filosofia, dell'elucubrazione, della religione ossia a tutte quelle brache dello Scibile che non hanno direttamente prova concreta di applicazione. In maniera particolare è necessario osservare che tutte e tre le sillogi poetiche si aprono con varie citazioni poste in esergo, in apertura al testo, che la Nostra deve aver selezionato con particolare cura sentendosi molto riconosciuta in tali definizioni sul senso dell'esistenza, sulla complessità umana, sul valore della natura. Ho sempre riconosciuto in chi cita una persona concreta e riconoscente che fa a meno di dar sfoggio delle sue conoscenze e studi per impiegare, invece, passi ed estratti particolarmente rilevanti per il suo percorso, necessari per arginare un discorso che si intende fare, come mezzo accessorio e collaterale per poter introdursi in una data piega dell'esistenza. La Nostra cita esponenti del mondo filosofico molto distanti da noi: Erasmo da Rotterdam, Epicuro, Talete di Mileto, Platone, Aristotele, Plutarco e letterati quali Oscar Wilde e il poeta del Dolce Stil Novo, Guido Guinizzelli.

La prima silloge si apre con una poesia dal titolo "La mia follia" dove la pazzia che la Nostra -mi pare di capire- intende come libera genialità, creatività senza limiti (e non in termini patologici) viene esaltata quale ingrediente necessario di un'esistenza spensierata e amorevole che la porta a dire: "La follia è la mia maestra"[2]. Concetto distillato nella citazione che, nel secondo volume dal titolo Lo scrigno dell'anima (2014), è contenuto nella chiosa di Erasmo da Rotterdam che così riporta: "Le idee migliori non vengono dalla ragione ma da una lucida, visionaria follia". Si capisce, allora, quanta importanza Michela Tombi riconosca non solo alla libertà di immaginazione ma all'esigenza che l'uomo senta su di sé di farsi artefice di qualcosa: "Senza creare/ non ha senso esistere".[3]

È possibile riscontrare varie immagini e tematiche di ampio respiro che pervadono trasversalmente gli interessi della Nostra ravvisabili in una poetica efficace e schietta, libera da orpelli, votata all'essenzialità delle esperienze senza liturgie semantiche né arcani linguistici. Una delle costanti è la presenza delle forme antinomiche, quelle che più generalmente potremmo definire 'contrasti' od 'opposti'. Si tratta di tutte quelle figure che, poste in risalto ed accomunate in versi contigui, la Nostra impiega per sottolineare la doppiezza e la multiformità dell'esistenza. Nella poesia "Contraddizioni", il cui titolo esplica già molto bene questa tendenza all'impiego di una semantica manichea, la Nostra esprime la totalità dell'animo umano nella figura di un sorriso e delle lacrime, testimoni di gioia e dolori. Altri contrasti di cui la Nostra si serve nelle sue divagazioni liriche sono quelle tra entità angelica-diavolo che possiamo semplificare in Dio-Satana, maschio-femmina, vita-morte, padre-madre, occhi-cuore, terra-cielo, acqua-fuoco, inverno-primavera in due liriche messe a specchio tra "la fine di un ciclo"[4] e la "dolce stagione",...

Di particolare suggestione la lirica "Verde emozione" nella quale la Nostra ci parla dello spazio verde della sua città al quale sono legati momenti felici e dove spesso si ritrova a proteggersi e a colloquiare col suo animo. "Credo che ognuno debba avere il proprio bosco"[5] dice la Nostra e ci fa venire in mente il giardino segreto del celebre romanzo di F.H. Burnett, luogo di spensieratezza e pacificazione dove la bambina ritorna e si sente libera e felice. Del mondo dell'infanzia la Nostra richiama, nella poesia "Le tue violette", una propensione ludico-disincantata del suo essere affine alla genuinità e incontaminazione del pensiero tipica dei ragazzini: "Quel fanciullino che tanto Pascoli cantò,/ in me è ancora e sempre vivo".[6]

La seconda silloge presenta varie liriche dedicate a persone care alla Nostra, i genitori, i nipoti, la sorella, etc. nonché dei componimenti dove ancor meglio, rispetto al precedente libro, si riscontra una profonda spiritualità che si unisce a una poetica viscerale e delicata, dai toni colorati che mostra un fervido incanto verso la natura alla quale appartiene, pacata ed intelligente, in cui la Nostra è in grado di osservare il mondo con gli occhi dell'amore e della speranza. "L'altalena della vita"[7] può essere percorsa in maniera lenta od impetuosa, a strattoni o in maniera più regolare. Soprattutto, deve esser condivisa con qualcuno.

Il sentimento del paesaggio tipico nei poeti marchigiani più radicati alla terra è ben presente e si delinea per mezzo di alcune liriche che descrivono egregiamente e in maniera assai impressionistica paesaggi, ambienti, la natura incontaminata del Pesarese e della zona del Montefeltro caratterizzata dai "fiabeschi paesaggi"[8]. Dai promontori alle valli che degradano verso la costa caratterizzate dal corso dei fiumi di cui le Marche sono percorse secondo una conformazione a "pettine". Dal "Monte delle Cesane" leggiamo dei "pini, [...] le ginestre, belle/ altere come regine,/ lucenti come stelle"[9] mentre ne "Il mio mare" la sua città costiera diviene il punto privilegiato di un rapporto verso un'alterità difficilmente percettibile che si staglia indisturbata "verso l'orizzonte infinito".[10]

In questa intimità appassionata della Nostra col mezzo naturale non possiamo non notare l'importanza affidata al silenzio percepito come elemento necessario non solo per la contemplazione e una sana riflessione sul proprio microcosmo e macrocosmo, ma soprattutto quale condizione di tregua dal mondo rumoroso e indistinto di fuori: "Il mondo ha disprezzato il silenzio/ anche per questo la nostra esistenza/ non ha più un vero senso".[11] Tutto accade oggigiorno nella frenesia impellente, nella foga comunicativa, nell'abuso della comunicazione, nel fastidio e nel rumore dissacrante che non consentono il sano colloquio e raffronto, la giusta percezione dell'altro. "Sì,/ perché nel silenzio soltanto,/ i segreti nascono e fioriscono,/ e portano sempre/ nuova ricchezza e respiro/ ai nostri pensieri".[12] Ed ecco, allora, che il silenzio diviene quel tempo-spazio sospeso, privato e salvifico, per l'allontanamento dal tran tran consuetudinario, dal mondo di fuori e riscoprire sé stessi e ritrovare la pace dell'anima: "Avevo bisogno di silenzio,/ la collina è stata fatale"[13] con la consapevolezza che la natura silente e immota è partecipe alla nostra presenza in essa, imperscrutata ma costante: "I fiori ascoltano i tuoi silenzi".[14]

Nell'ultima raccolta, Con gli occhi della luna (2015), sembra scorgere una dedica sottaciuta unica delle varie liriche che parlano delle e alle donne. La lirica d'apertura, "L'arpa" ci parla, infatti, dell' "incanto poetico di Saffo,/ la devozione di Penelope,/ la saggezza di Ipazia,/ la forza di Cleopatra,/ il coraggio di Giovanna d'Arco,/ la passione di Artemisia"[15] associando a sei celebri donne della mitologia e della storia (l'unico personaggio storico citato è Giovanna d'Arco) altrettante virtù e caratterizzazioni del gentil sesso quali, appunto, l'ardore della passione e la sublimazione poetica. La stessa presenza della luna, citata nel titolo, è ulteriore collegamento alla sfera femminile, alla simbologia mitica della Grande Madre dove i cicli lunari e i cicli femminili si manifestano con una tendenza analoga.

Importanti e ricorrenti i moniti sociali della Nostra che da una parte attestano una civiltà imbarbarita, automatizzata e dal sentimento annichilito e dall'altra intimano a una maggiore solidarietà, attenzione, connivenza sociale e interesse verso l'altro. La presa di coscienza non di rado è abbastanza scoraggiante, la Nostra non cela la perplessità verso una società che, alla tumultuosa rincorsa al soddisfacimento di ogni genere di egoismi, ha perso di vista i valori autentici e basilari alla difesa del bene comune: "Il più grande, radicato mito del nostro tempo/ temo sia il vuoto/ e l'apparenza che lo anticipa/ come una veste regale".[16] Di grande impatto questi versi dove la vuotezza, la mancanza di moralità e la depravazione che dilagano si presentano in alta foggia, impreziosite da un abito di sfarzo che illusoriamente alletta e richiama, ma svia e depista finendo per fagocitare chi, privo di baluardi e punti di fermezza, è in balia di meccanismi annichilenti e mendaci.

In "Spreco" la Nostra si rivolge in maniera mesta ai "nostri fratelli del mondo"[17] mentre nella poesia scritta nell'occasione delle celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia, dopo un sintetico panegirico sulla grandezza fisica e culturale del Belpaese, non manca di mostrare fastidio per la mancata coesione e collaborazione delle genti che lo abitano, serrando il componimento con un anticlimax discendente di delusione e dolente scoramento. Sensazione fastidiosa che si amplifica ancor più nella dolorosa presa di coscienza di un mondo sociale distante e disattento, pericoloso e incapace di ascoltare: "L'umanità senza coscienza/ della propria anima/ mi spaventa".[18]

L'animo speranzoso della Nostra è accentuato, però, in quelle liriche in cui l'edenicità della natura non è inquinata dalla presenza indecorosa e malevola dell'uomo come in "Certezza" dove la Nostra si appiglia con virulenza a una celebre chiosa di dostoevskijiana memoria: "La bellezza salverà il mondo!"[19] Alla natura amica, alla sua presenza costante, con la quale non di rado la Nostra agogna a un vero e proprio discioglimento panteistico, Michela Tombi intravede una possibile traccia di effettiva apertura e di percorribile speranza: "Madre natura, alberi,/ è bello vivere con voi/ sotto lo stesso cielo".[20] Da culla protettiva a spazio d'evasione, la natura incontaminata è quell'ambiente che va preservato ed ascoltato, nei suoi tanti silenzi, annullando dalla propria testa i ritmi incalzanti e le cacofonie stancanti dei giorni l'uno uguale all'altro: "Il fiore sboccia/ nonostante tutto./ Nonostante la guerra, la violenza./ [...]/ Per un momento/ dimentico le miserie umane,/ il loro spaventoso lezzo".[21]

Non tutti sono così disposti a trovare del tempo per osservare un fiore che sboccia e stupirsene. A farsi trascinare da un processo naturale che ha in sé tanta magia e poesia al contempo. La Nostra, che ha sposato la pacificante idea che la "Poesia è vita vera, vissuta"[22], come una silfide contemporanea ama perdersi in quella natura che, seppur poco distante dalla città, è in grado di farla star bene, rinvigorire i pensieri, rinforzare ogni volta di più quel patto segreto con la terra.


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