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La (neuro)intervista

Creato il 11 giugno 2014 da Matteo Tosato @MatteoTosato87

Cerchiamo di capire lo stato dell’arte delle scienze umane tentando di miscelare due punti di vista: riduzionismo e olismo.

Con Marco Mozzoni,
Professore a contratto all’Università degli Studi di Milano Bicocca, Facoltà di Psicologia.

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Docente di neuropsicologia clinica alla Scuola Lombarda di Psicoterapia a indirizzo cognitivo neuropsicologico (Slop)
Nato a Legnano (MI) nel 1965. Laureato in Filosofia all’Università Statale di Milano (1990) e in Psicologia a indirizzo neuropsicologico all’Università di Pavia con una tesi sulla diagnosi precoce dell’Alzheimer con le reti neurali artificiali (analisi non lineare dei dati).
Iscritto all’Ordine degli Psicologi della Lombardia, è socio ordinario della Società Italiana di Neuropsicologia (SINP) e associato in formazione alla Associazione Medica Italiana per lo Studio dell’Ipnosi (Amisi).

Ho posto a Marco una serie di quesiti che cercano di illuminare il punto della situazione riguardo il grande fermento che circonda le scienze umane e gli aspetti di queste che influenzano le più antiche speculazioni filosofiche. Sono certo di non essere riuscito a coprire tutti gli aspetti importanti, ad ogni modo ho l’impressione ne sia uscita una interessante e stimolante discussione.

Viviamo nell’epoca dei correlati neuronali e del riduzionismo genetico. Siamo nell’età dell’oro delle neuroscienze.
Cosa ci dicono esattamente le risonanze magnetiche? Qualcosa come il tasso di irrorazione sanguigna nelle varie parti del cervello?
Quanta verità possiamo affidare a questo tipo di tecnologia, la fMRI [1]?
Il mio dubbio è forse epistemologico.
In altre parole, quanto è vero dire “c’è un’attivazione nell’area parietale, allora si tratta di questo…. “ piuttosto che “il paziente sta pensando probabilmente a …. “, “ha una reazione a …”.
Il processo di meccanizzazione che stiamo facendo sul cervello mi spaventa. Mi chiedo se non dovremmo andare più cauti nell’interpretazione delle misurazioni.

Firstly, I am not a Neurologist… Precisazione opportuna, per dire che poi bisognerà intervistare un vero (neuro)esperto. Col perfezionamento della tecnologia disponibile, prima o poi dal calibro passeremo al micrometro, non ho dubbi, ma per misurare che cosa? Il vero argomento, come tu hai ben colto, è a livello concettuale. Si dà per scontato che non vi sia nulla fra quel che si misura effettivamente con la macchina sempre più sofisticata e quel che si ha intenzione di “misurare” davvero, cioè un comportamento o una attività cognitiva o addirittura uno stato d’animo… Consideriamo soltanto le infinite variabili che ci sono realmente in campo: quasi impossibile escludere tutte quelle “di disturbo” (che poi chi stabilisce a priori che sono “di disturbo”?), difficile considerare tutte quante le variabili che di fatto sono in gioco. Vi è poi una constatazione che sembra banale, ma non lo è per niente, ossia i “termini” che usiamo per rappresentare le cose: se chiedessimo a 10 ricercatori esperti di spiegarci cosa intendono ad esempio quando parlano di misurare la “coscienza” credo avremmo almeno 5 o 6 concetti diversi riferiti allo stesso termine. Il “linguaggio comune” non basta, quando un termine può esprimere fenomeni diversi. Cioè, dovremmo ripartire dai concetti… Quindi: che cosa pensiamo di far misurare alla macchina? Lei, poverina, misura quel che è in grado di misurare per come è stata progettata e “tarata” e molto onestamente ti butta fuori dati certi. Ma che cosa rappresentano poi per gli umani questi dati certi? A cosa li riferiscono? Al mio o al tuo o al suo concetto di fenomeno di interesse espresso col medesimo termine? Che confusione… C’è una serie di passaggi che si fa finta di non vedere. Così come c’è una serie di passaggi che arbitrariamente non si considerano quando si assume che una percezione sia riducibile alla serie di processi elettrochimici che formano la sensazione che arriva a me. Ed eccoci al punto. A “me”. E che cos’è il “me”? Visto che è proprio in questo “me” che si svolge il teatro delle abilità cognitive, della “coscienza” (in qualsiasi modo vogliamo intenderla), delle emozioni, dei comportamenti umani… Tutte cose che interessano la ricerca. Oggi però poniamo (meglio presupponiamo) variazioni metaboliche “alla base” di tutto questo teatro. Come se da una associazione statisticamente significativa potessimo dedurre una relazione di causa – effetto. Ma è scritto nelle prime pagine di ogni manuale che non funziona così. Quindi, se vogliamo ostinarci a mettere una cosa sotto l’altra, giusto per ragionare per assurdo potremmo presupporre esattamente il contrario, ossia che la materia non è che una “autodeterminazione dello spirito”. Perché no? Chi ce lo vieta? Una opinione? Perché la nostra lo è (ma io lo ammetto). Secondo me lo scarto che facciamo senza rendercene conto sta qui: il cervello è così affascinante che lo abbiamo preso (del tutto arbitrariamente, anzi inconsapevolmente) come la chiave del tutto. Sembra non esserlo. Ora ti faccio una domanda: che cos’è una “abilità cognitiva”? Cioè come la definisci? Ha “sostanza” o no? Esiste o non esiste? Se non esiste e siamo solo un ammasso di neuroni, amen, problema risolto da sé; ma non vedo perché allora ostinarsi a volerle “misurare” queste benedette abilità cognitive, peraltro con pretesa di “maggiore oggettività” – alla fine è tutto un congegno strano che gira tanto per girare, o gira con un fine preciso ma che “ci” lascia indifferenti in quanto inesistenti nell’intimo che sentiamo come il “noi” più verace. Se esiste, allora perché, invece di interessarci direttamente a queste, ci interessiamo a una cosa diversa, cioè al “cervello”, per “spiegarle”? Non so, forse abbiamo buttato a mare troppo presto e troppo facilmente millenni di riflessioni filosofiche tanto da trovarci a dover reinventare la ruota.

Potrebbe esserci una relazione fra il fatto che gli psicologi e neuro scienziati che attualmente si occupano di ricerche sono un grande numero, e l’enorme quantità di notizie, scoperte, assunzioni di verità che ogni giorno riempiono la mia raccolta dei feeds? Insomma tutti dobbiamo mangiare … è come se le neuroscienze siano si molto lanciate, ma con un motore ingolfato. Molte menti al lavoro, ma nemmeno all’orizzonte si intravede la spiegazione tanto agognata.

Dici bene “molte menti al lavoro”. Nell’Ottocento i libri erano scritti da una sola testa per volta, magari nell’arco di 20 o più anni. Ma che capolavori ne sono usciti… Testi che hanno davvero rivoluzionato le diverse discipline, a livello concettuale. Oggi cosa abbiamo? Ai giorni nostri in 20 firmano uno “studio” di cinque pagine (comprese le tre di bibliografia), prodotto in qualche settimana, a volte da ghost… Se nell’Ottocento abbiamo fatto passi da gigante in quasi ogni scienza, oggi stiamo contando i granelli di sabbia di quel che potrebbe essere una spiaggia o un deserto (e ciascuno ha la sua “opinione” in merito, se sia una spiaggia o un deserto, pur definendosi “scienziato” uguale). Perdonami una battuta: facciamo più metafisica oggi che ai tempi di Aristotele! Solo che ai tempi dello stagirita lo si sapeva, mentre oggi non ne siamo proprio consapevoli pur agendo da perfetti metafisici (nel senso deteriore, cioè da ipostatizzatori). Cioè diamo per buono certi principi che andrebbero quantomeno discussi a fondo prima di metterli “alla base” di questo o di quello, che poi – è vero (ma è proprio questo a essere pericoloso, perché dà senso di razionalità di tutto processo, assunti compresi) – “scientificamente” deriviamo con rigore. Ecco dove la Filosofia è ancora utile anzi indispensabile, oggi più che ai tempi di Aristotele. Ma non una filosofia che salta sul carro del vincitore del momento, per questioni di visibilità e consensi e cattedre e instant book distribuiti nelle librerie… Penso a una filosofia “critica” nel senso più pregnante, una filosofia che osa disturbare ciò di cui nessuno dubita, perché sarebbe “antiscientifico”. Che palle! Basta con questi roghi da santa inquisizione. Attenzione però a non confondere i piani di discorso. Che le neuroscienze facciano passi avanti è fuor di dubbio. Servono nuovi farmaci, nuove terapie mirate, per consentire cure personalizzate delle malattie più insidiose, che un giorno potremo anche debellare grazie proprio ai progressi biomedici e alle biotecnologie. E se c’è qualcosa da discutere sta bene, ma se funziona sul gran numero lo si usa e stop, pragmaticamente. Ma questo è un discorso diverso rispetto alle speculazioni che quotidianamente vengono fatte a partire da dati certi usati per “spiegare” (op, un altro salto) cose come l’amore, il pensiero, le relazioni umane, che francamente mi sembrano un pochino più complesse, effimere, sfuggevoli quando non complicate punto…

Sulla rivista scientifica “Mente & cervello” del mese di Maggio 2013, lo psichiatra John Allan Hobson parla dell’interpretazione dei sogni sostenendo si tratti di una delle più grandi balle che l’uomo abbia inventato per ingannare se stesso. Nel corso della conversazione le definisce proprio così, con un termine inglese tutt’altro che elegante: “bullshit“. Da appassionato di psicologia del profondo, e per mia esperienza diretta, trovo assurda tale affermazione. Tu che cosa ne pensi?

Dico sempre la verità. Non ho letto l’articolo quindi non lo posso commentare. Leggerlo per darti una risposta me lo farebbe perdere di spontaneità. Per cui soprassiedo. Mi va però di rispondere alla provocazione. Passiamo gran parte della nostra vita nel “mondo dei sogni” che sarebbe davvero un peccato se fossero “tutte balle” o tempo buttato via che potremmo impiegare a fare altro. Per l’attività che faccio – da clinico non freudiano che usa l’ipnosi – “credo” che i sogni siano un modo per ricordarti sistematicamente che c’è tutta una parte di te che si lascia poco ingabbiare nelle maglie strette della tua mente cosciente, di quella “ragione” che “crediamo” abbia tutto sotto controllo… Ma – da non freudiano, ripeto – credo fermamente in un inconscio buono, che non è una pattumiera dove schiacciar giù le cose da buttare, ma può rivelarsi una miniera di risorse utili, quelle che spesso ci dimentichiamo di avere, cioè come ritrovare in cantina un tesoro… Scusa le metafore, ma siamo in questo mondo qui. Comunque io i sogni non li interpreto per conto dei miei pazienti, ma non mi dispiace quando loro stessi intendono “esplorare” direttamente e lasciar sviluppare i sogni anche in maniere inconsuete per avere nuove prospettive da cui magari poterci trarre idee che in altri modi non sarebbero mai uscite. Insomma, la creatività e l’espressività umana non vanno mai castrate, ma stimolate. È il bello dell’umano, o no?

Scoperta molto recente ha dimostrato che i traumi subiti da nostri diretti progenitori influiscono sulla nostra vita, si ipotizza dunque esistere un metodo di trasmissione genetica non ancora ben conosciuto per i ricordi. Questo rappresenta un importante punto di interconnessione tra discipline ritenute inconciliabili. Tempo fa mi interessai di psicomagia e psicogenealogia, queste discipline con efficacia non scientificamente dimostrata sembrano trovare una strada di riconciliazione. Saresti favorevole per una loro rivalutazione anche in termini più scientifici? Forse dovremmo tornare ad allargare il significato di questo termine “scienza”?

Per me la scienza può e dovrebbe potersi occupare di tutto, particolarmente dei fenomeni all’apparenza strani o che fanno storcere il naso. Per i miei interessi mi sono anche occupato con rispetto di esorcismo e preghiera di liberazione ad esempio. Porre limiti agli argomenti della scienza è come negare di fatto la sua “potenza”, la sua capacità di aiutarci nella comprensione del mondo. Personalmente mi lascio aperto a nuove “esplorazioni”, senza pregiudizi ma con animo e mente ricettiva. Quante cose pensavamo fossero in un modo, poi con i progressi della tecnica (e dell’umano ingegno) abbiamo capito che c’erano altri livelli, altre prospettive, altre spiegazioni. Pensiamo soltanto al microscopio ottico e al microscopio elettronico. Oggi finalmente iniziamo a capire che se c’è un 99% di DNA che non codifica proteine ciò non vuol dire che non serva a nulla, che sia solo “spazzatura”. Siamo all’inizio della ricerca in questa direzione. Potrebbe tenere “tracce” di qualsiasi cosa, finché non indagheremo a fondo cosa contiene non lo sapremo. Anche tracce della storia umana sul pianeta in pillole… Guarda, a costo di passare per matto (già alcuni me lo danno del matto, per cui non sarebbe una novità), voglio dirti questo: recentemente mi sono messo a leggere la Bibbia dalla prima all’ultima pagina. Prova a farlo, ma non saltare pezzi, vai di getto, tutti i giorni quando hai un attimo di tempo finché non sei arrivato alla fine, nuovo testamento compreso. Meglio una versione senza commenti e introduzioni, vai proprio pulito alla “lettera”. Non stai facendo esegesi biblica ma semplicemente la stai leggendo come si legge un libro. Ci metti due o tre settimane. Nota i sogni che fai in quel periodo, scopri che emozioni ti salgono da dentro… Emozioni strane, forti, animalesche, diverse da quelle che sei abituato a provare nel XXI secolo (e a modificare a piacimento con farmaci e sostanze). Ma senti che in qualche modo ti appartengono, fanno parte di te, pur venendo da molto ma molto lontano, insomma ce le hai dentro anche se è chiaro che non hai vissuto in quei periodi remoti della storia umana (lasciamo perdere le regressioni alle vite precedenti; quella è un’altra storia ancora che non conosco per niente e non ne posso parlare se non a sproposito). Forse qualcosa di tutti resta in ciascuno di noi. Poi, anche se scopriremo “dove sta”, nel cervello, nei geni, “nell’osso” o chissà dove, sinceramente a me cambierebbe poco. Non mi serve sapere che una branca della scienza conferma che… quando lo sento dentro di me. Oggi invece è un peccato vedere persone che si autolimitano come umani, si disabituano a utilizzare certe facoltà decidendo a tavolino che non devono (brutta parola) appartenere all’umano. Se la scienza si ridurrà a potersi occupare di poche cose, preferirò la conoscenza. Poi alla fine, scienza, conoscenza, scienze umane… Tanti termini per cercare, classificando e distinguendo, di domare la complessità nella quale siamo immersi dal primo respiro che facciamo e anche da prima, dal concepimento in poi.

A livello personale, negli ultimi anni o fatto esperienza di varie discipline orientali, lo Yoga Kundalini poi è divenuto un mio importante interesse. Queste discipline si prestano senz’altro ad essere mezzo di ricerca. Vi ho trovato inoltre una splendida armonia tra scienza e spiritualità, caratteristica della filosofia orientale. Cito anche un autore che in modo particolare ha contribuito a formare in me l’idea di un possibile sodalizio fra ciò che per abitudine chiamamo scienza e spirito, Fritjof Capra.
Purtroppo se guardo nel panorama occidentale attuale, c’è un fenomeno di “desertificazione spirituale”, la situazione si aggrava man mano che confrontiamo generazioni sempre più giovani. Che cosa ne pensi del fenomeno? E’ valida un interpretazione prettamente psicologica? Come Jung sosteneva3, l’occidente si trova in uno stato sempre più grave di dissociazione psichica?

Nella storia dell’umanità spesso scienza e spiritualità si sono fuse per poi riallontanarsi ecc. Sembra come un respiro dell’umanità. Ti posso parlare di alcuni casi che ho avuto di persone che venivano da me per fare ipnosi, lamentando uno dei soliti problemi da manuale… Dopo qualche incontro (nemmeno tanti) arrivi al dunque e iniziano a tirare fuori il “vuoto interiore”, la “mancanza di senso” del vivere, il non potersi confrontare con nessuno perché “nessuno è più disposto a fare questi discorsi”. Allora io ricordo la fortuna di essere stato adolescente nei primissimi anni 80: niente telefono cellulare, niente tv a colori, niente internet, niente registratori digitali, niente facebook e cose simili… Insomma niente di niente, ma ti trovavi ore e ore in un parchetto a parlare e venivano fuori dei discorsi fiume sulla totalità dell’esistenza e ogni tanto ci stava anche una fumatina in gruppo, che non ha mai rincoglionito nessuno credimi, anzi ne ha placati molti che avrebbero fatto cose da non fare… Ovviamente nessuno di noi pensava minimamente di rivolgersi a uno psicoterapeuta! Era il gruppo che conteneva e accudiva. Non c’erano problemi di spiritualità, perché ti bastava l’esperienza che stavi vivendo. Oggi vedi la desertificazione spirituale perché ti poni il problema. Non c’era spiritualità diffusa allora non ce n’è oggi e forse non siamo fatti per la spiritualità perché ci basterebbe stare bene con gli altri. Ti volgi allo spirito quando non sai più che pesci pigliare e allora scopri che non c’è, negli altri. E in te c’è davvero questo spirito? Per tornare al testo di cui sopra; leggilo tutto e rispondimi: che cosa c’è di spirituale nella Bibbia? Sin da quando ero piccolo ho sempre pensato che posso fare il raffinato fin che voglio con discorsi idealistici ecc. ma se mi arriva un mattone sulla testa è finito tutto. Cosa c’è di spirituale in questo? Come vedi sono un provocatore. Questa è la mia indole. Chi mi conosce e non ha i giramenti a seguirmi nelle mie evoluzioni sa che sono un fervido sostenitore dello spirito assoluto… Però – per dire anche due parole ragionevoli in mezzo a queste libere associazioni – sono convinto che in certi ambienti dove c’è sofferenza e dove si perde ogni speranza del futuro (parlo delle case di riposo dove abbandoniamo i nostri “vecchi”, parlo degli ospedali in cui si muore di cancro in mezzo al dolore ecc.) pensare che la psicologia “laica” possa fare qualcosa è un’offesa a chi soffre: lì ci devono stare i preti, i religiosi, deve starci una persona che crede fermamente in una realtà altra da questa del mattone sulla testa. Solo così le persone possono (forse) ritrovare un senso di sé e rasserenarsi l’animo perché intravedono un futuro, di là, ma pur sempre speranza di non finire così come spegnere un computer. Ho lavorato per un periodo in una casa di riposo e sono scappato, non ce la facevo a sostenere la situazione, la mia impotenza di “clinico”. Ho notato che le persone messe peggio da un punto di vista fisico, ma credenti, col rosario in mano tutto il giorno e l’immaginetta della Madonna sul comodino, erano allegre quando scambiavamo due parole… Altri messi meglio fisicamente, con mente integra all’ingresso, ma “laiche”, nel giro di una settimana tracollavano cognitivamente e non si davano pace perché non trovavano un senso al fatto che la propria figlia li aveva abbandonati lì in quel modo, in mezzo a tanti medici e infermiere brave, nulla da dire, operatori che ti curano l’alimentazione in funzione dei tuoi bisogni personali ecc. ecc. ma completamente azzerati di futuro, con il proprio “ruolino” sociale strappato per sempre. Non servi più a niente. Che cosa vivi a fare? È devastante. Io non ce l’ho fatta a proseguire, non ero quello che serviva loro, non sono un prete, non avevo nulla da rispondere se non che avevano ragione loro, onestamente avrei detto “vanno riportati in famiglia, messi a capotavola, ascoltati e presi anche un po’ in giro dai nipoti perché son diventati sordi e sragionano ogni tanto ma intanto sono vivi e nel loro ruolo tradizionale”… La famiglia estesa è quello che ci manca. È un problema sociale di disgregazione e frammentazione in cui si delega tutto ad altri, sia per il fisico sia per il mentale… Allora c’è bisogno del prete per la “vita futura”… Un prete come lo specialista della sua materia… Non ne usciamo comunque, vedi? Ciascuno ha il suo specifico ruolo e deve nascondere l’umano dietro la specializzazione scritta sul badge. Non siamo più persone…

Come ultima domanda volevo chiederti un tuo parere circa la situazione economica e politica dell’Italia, ma anche del mondo occidentale in generale. Io credo che non vi siano strategie politiche di risoluzione se non marginale, che comunque in Italia non vengono attuate. Penso invece vi sia bisogno di un cambiamento radicale dal punto di vista del modo di vivere. La tua opinione?

Guarda, credo di avere anticipato molto di questa tua domanda nella risposta alla domanda precedente. Cercherò di essere più esplicito e mirato ora. Deresponsabilizzazione. Questo è il perno, a mio modo di vedere. Ci siamo deresponsabilizzati su ogni scelta, non ce la sentiamo più di assumerci l’onere del decidere una strada o un’altra, magari sbagliando (e che male c’è a sbagliare?) allora deleghiamo tutto allo specialista di turno (che ne sa più di noi e sa soprattutto cosa fare “di noi”, ce lo “prescrive” su un foglio che andiamo a consegnare ad altri ancora che ci danno la “sostanza” ecc.), anche in politica e – nel nostro piccolo – nel contesto dell’economia quotidiana. Accettiamo di lavorare senza essere pagati… Vedi tirocini, stage, ecc. ma anche lavori a contratto in cui si fa festa quando ti arriva il bonifico per il lavoro svolto quattro mesi prima. Questo giochino del non pagare chi lavora ha messo in ginocchio le PMI ad esempio, creando una voragine di crisi virale (sai il giochino di windows 3.1 campo minato?) Ci deresponsabilizziamo non soltanto a titolo individuale ma anche come società tutta, che non sa farsi carico di nulla e delega la “cura” delle persone nelle fasi più delicate e intime della vita dietro compenso: i bambini alle tate, i vecchi alle badanti e via così. I giovani li lasciamo nel limbo fin che non scenderanno in strada a far saltare per aria tutto quanto in un botto che toglie la soddisfazione ma poi? I “maschi adulti” (nel loro pieno vigore) li sbattiamo fuori dal mondo produttivo, gli strappiamo il “ruolino professionale” aspettando che si brucino il fegato con l’alcol e si rovinino alla fine con le loro mani, almeno a quel punto non serviranno più a nulla per davvero e non avranno più nulla a pretendere e li avremo neutralizzati per sempre (e speriamo che muoiano in fretta così non sono nemmeno più un costo sociale). Non parliamo delle carceri perché c’è da mettersi le mani nei capelli. Sei mai entrato una volta a San Vittore? Provaci. Poi mi dici le impressioni, le sensazioni che hai avuto soltanto chinando la testa per passare dalle porticine. Credo che un cambiamento radicale sarebbe utile solo se fatto in maniera partecipativa, tipo “insurrezione popolare”, ma bisogna dar tempo al tempo per queste cose, devono crearsi certe condizioni non facili da concentrare in un punto di rottura. C’è di vero che la democrazia rappresentativa ha fatto il suo tempo. Diversi mi hanno dato del fascista perché dico queste cose. Lascia fare… Io penso che la via di svolta è quella della comunità. Una sorta di ritorno al futuro. Visto che la famiglia estesa oramai è improponibile (sarebbe davvero un’utopia), apriamo delle comunità in cui il problema di uno è problema di tutti e una soluzione la si trova sempre, in cui il successo di alcuni è condiviso dagli altri, dove la sera si mangia tutti insieme e poi si parla per il piacere di farlo e le questioni non diventano mai problemi irrisolvibili, in cui se è il caso si prega insieme come un mantra rituale (e fa bene perché ti girano endorfine a manetta). A me piacciono i Mennoniti americani (gli Amish sanno troppo di film). Giovani e vecchi insieme. Il vero centro sociale autogestito. Senza guru e santoni. Gente che si ritrova insieme e vive insieme, una grande famiglia che può diventare contenitore anche di coloro che oggi buttiamo fuori perché sono di troppo… Una comunità che si dà le sue proprie regole e le cambia quando serve, da sé. Davvero rivoluzionario, oggi. E domani si vedrà, una volta che le persone – magari proprio grazie a questa palingenesi comunitaria – avranno ritrovato la lucidità e saranno disposte ancora (o forse per la prima volta) ad assumersi la responsabilità del futuro, a non delegare più nulla a nessuno di ciò che li riguarda direttamente, a non abbandonare più per la strada le persone scomode come fossero cagnolini in agosto. Questo è lo spirito profondo dell’anarchia, che “non vuol dire bombe” o caos, ma ordine responsabile. Quando cominciamo?

Note:

.1 http://it.wikipedia.org/wiki/Risonanza_magnetica_funzionale
.2 rian G Dias, Kerry J Ressler. Parental olfactory experience influences behavior and neural structure in subsequent generations. Nature Neuroscience, 2013; DOI: 10.1038/nn.3594
.3 C.G. Jung, L’uomo e i suoi simboli, 1967


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