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La noiosa orfanella di Budapest: Magda Szabò, Ditelo a Sofia

Creato il 12 ottobre 2015 da Consolata @consolanza
La noiosa orfanella di Budapest: Magda Szabò, Ditelo a SofiaDi Magda Szabò ho tanto amato La porta e La ballata di Iza, molto meno Via Katalin e L'altra Eszter. Ditelo a Sofia, pubblicato nel 1958 e ambientato a Budapest nel 1957, racconta di Sofia, undici anni, figlia di una psicologa dell'età evolutiva tutta teoria e niente pratica, e di un medico affettuosamente attento a lei. L'amatissimo padre, colpito da infarto nel suo ambulatorio, prima di morire pronuncia la frase del titolo su cui la figlia si interroga ossessivamente. Sofia è praticamente unIncompreso in gonnella: sua madre la sottovaluta e la considera un po' ritardata. Invece si tratta di una ragazzina piena di risorse, tenace e leale, che nella sua ricerca di una testimonianza sulla morte del padre, si ritrova a assistere un vecchio scorbutico e violento, un custode della sua scuola che è stato l'ultimo a raccoglierne le parole. Nell'interazione con il vecchio Pongráz si imbatte in un mondo di cui non sospettava l'esistenza, conquista nuovi amici e a modo suo si comporta eroicamente. Chi la capisce è la maestra Marta Szabò (di cui possiamo senza grande sforzo pensare che sia un alter ego dell'autrice, date anche alcune coincidenze biografiche), acuta osservatrice delle sue allieve, psicologa empirica e innamorata del suo lavoro. Sofia si agita sotto gli occhi perplessi di Marta mentre la madre non capisce niente, mentre il suo rapporto con Pongráz si sviluppa su binari che più prevedibili non si può. Nel frattempo le cose si complicano per via di uno zio che vuole scappare al di là della cortina di ferro con la sorella di una compagna di scuola di Sofia... dirò solo che la conclusione, ancorché positiva, mi è parsa molto debole. 
Qui mi fermo e se ne avete voglia leggetelo voi. Mi piange il cuore per il grande amore che ho per l'autrice e La porta, ma non riesco a mentire: è interminabile, soporifero, con una trama che si complica inutilmente nello sforzo di convincere il lettore che dovrebbero interessarsi alla vicende degli scoloriti personaggi. Certo l'ambientazione nel 1957 fa sobbalzare per la vicinanza con un anno che ha sconvolto non solo l'Ungheria, ma le coscienze e le vite di molti in Europa. Qui non se ne parla, e il personaggio che cerca di fuggire in Austria è totalmente negativo e riceve una punizione davvero perfida, nelle vesti dell'insopportabile moglie con cui gli tocca restare. Invece è interessante vedere il funzionamento della burocrazia e dell'amministrazione dell'interno, con la gestione della scuola e gli arbitrari spostamenti di funzionari e insegnanti, da cui non trapela alcuna critica, anzi tutto sommato il fatto che ci sia chi pensa e decide con giudizio e per il bene di tutti rappresent un elemento positivo e rassicurante.
Io penso che il sostanziale fallimento di questo romanzo sia essenzialmente anche dovuto alla scelta di usare il discorso indiretto libero fino allo sfinimento e al ridicolo, con le voci che si alternano di Sofia, della madre, di Marta Szabò, di Pongráz, e persino dei personaggi secondari come il muratore e l'altro custode. Contribuisce in maniera determinante a renderlo stucchevole la traduzione di Antonio Sciacovelli, che nel tentativo di differenziare e di rendere quelle che probabilmente in ungherese sono parlate popolari o dialettali, raggiunge effetti di goffaggine estrema.
 

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